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La noia all’Eurovision: approcci psicologici alla sua comprensione

Angelina Mango ha vinto la 74° edizione del festival di Sanremo con il suo brano "La noia" in gara ora all'Eurovision per l'Italia

Di Angelo Valente

Pubblicato il 07 Mag. 2024

“La noia” di Angelina Mango

Angelina Mango ha vinto la 74° edizione del festival di Sanremo, collocandosi in un 2024 pieno di giovani promesse del settore artistico-musicale. Il suo nuovo brano, “La noia”, si presenta con uno scritto interessante gestito da più penne, tra cui quella di Madame, ormai icona pop affermata. I versi si segmentano con un linguaggio semplice e diretto, aprendo uno scenario concettuale semi-autobiografico atto a rappresentare un tema non propriamente sconosciuto alla cronologia autoriale italiana, se si considera ad esempio l’opera omonima di Giovanni Moravia nel campo dell’arte narrativo-letteraria.

Verosimilmente, se anche a suo tempo tale tema è valso allo scrittore romano il premio strega, ad oggi diverte pensare che il primo podio di Sanremo possa in parte validare la trascendentalità di un sentimento sempre più vivido e sentito al benestare dei paesi avanzati, in cui l’agire individuale si sottrae ai quesiti più intimi dell’esistenza, preoccupandosi solo di performare in nome dei risultati richiesti dai ritmi frenetici di un modello socioeconomico improntato prioritariamente al consumo. Ciononostante, anche davanti a questo, la noia non risparmia nessuno: essa si frappone tra la persona e l’esperienza che andrà a compiere sortendo conseguenze sempre più diversificate dal proprio agire, un po’ come nel caso del testo che si andrà ad analizzare introducendo qualche curiosità dal mondo della psicologia per dare un base di chiarezza ad un tema tanto confuso ma che ci riguarda da sempre. 

L’esperienza della noia spiegata dalla psicologia cognitiva

Nei versi della cantante lucana, ogni considerazione dell’io narrante pare quasi rifiutare l’assenza di risultati utilitaristici, al punto tale da arrivare a minimizzare i frutti del proprio lavoro:

Quanti disegni ho fatto
Rimango qui e li guardo
Nessuno prende vita
Questa pagina è pigra

Ad oggi sappiamo solo che nel mondo della ricerca psicologica la noia rappresenta un costrutto complesso, solitamente definito come uno stato di stimolazione piuttosto basso e insoddisfacente, ma che a differenza dell’apatia implica la ricerca attiva di qualcosa di più coinvolgente con cui intrattenersi, un po’ come per la protagonista che, in questo caso specifico, accenna brevemente alle proprie illustrazioni, mezzo artistico come tanti altri ormai incapace di fornire quell’alone estatico in grado di prendere vita per colorare ulteriormente le azioni del quotidiano, nella speranza di non cadere nell’abitudine e nella monotonia.

Per capire come controbilanciare al meglio questo fenomeno statico, uno degli autori più innovativi sul panorama internazionale, Mihaly Csikszentmihalyi, ha speso diversi anni con l’obiettivo di spiegare a fondo la sua ben nota teoria dell’esperienza di flusso, considerata alla stregua di uno stato psicologico ottimale in cui la persona si ritrova completamente immersa in un’attività, arrivando a esperire un profondo coinvolgimento al punto da perdere la percezione del tempo, oltre che delle proprie preoccupazioni, focalizzandosi prioritariamente sulle attività da svolgere. Questo tipo di esperienza permetterebbe dunque di poter smorzare l’insoddisfazione determinata dalla mancanza di senso e di significatività, sottolineando al contempo la necessità comune di andare incontro a nuove sfide e opportunità di autorealizzazione nella vita di ogni persona, cercando anche di assecondare le proprie esigenze emotive e cogliere di conseguenza l’occasione di poter esplorare ed esplorarsi, come nel caso della voce principale del brano.

La noia come meccanismo di difesa

Controbattendo la situazione di stallo iniziale il testo della canzone prosegue con un focus fulmineo e velatamente autobiografico:

E mi hanno detto che la vita è preziosa
Io la indosso a testa alta sul collo
La mia collana non ha perle di saggezza
A me hanno dato le perline colorate
Per le bimbe incasinate con i traumi
Da snodare piano piano con l’età
Eppure sto una Pasqua, guarda, zero drammi
Quasi quasi cambio di nuovo città
Che a stare ferma a me mi viene, a me mi viene
La noia…

Con una cornice metaforica, l’autrice evidenzia il suo personale sentimento rivolto al peso del proprio vissuto, percepito a mala pena come il tatto leggero di una collana di perle, per l’autrice un imprescindibile vademecum identificativo della propria persona e della propria esistenza, da cui si riserva la pazienza di raccogliere le giuste esperienze da “snodare piano piano con l’età” in attesa di un’avvenuta comprensione di sé nel rapporto con i vari traumi che hanno condizionato il suo attuale modo di vivere il presente. Lo stato dell’arte attuale colleziona a tal proposito diversi contributi tra le strategie di coping rivolte alla noia in relazione ai traumi infantili, sia da un punto di vista cognitivo che psicodinamico. Tra i più noti, non si può di certo trascurare l’influenza di Salman Akhtar, il quale vede la noia come un meccanismo di difesa atto a evitare la consapevolezza di esperienze interne dolorose o conflittuali, nonché un mezzo di regolazione emotiva distaccato da ogni atto introspettivo che potrebbe rendere dolorosa l’elaborazione diretta del trauma. Seguendo questa logica, la ricerca di conforto verrebbe proiettata esclusivamente verso il mondo esterno, unica figura simbolica dalla quale ci si aspetta di ricevere cura grazie alla moltitudine di eventi e all’esercizio artistico, raggiungibili tramite strategie di evitamento che spesso conducono all’esplorazione, sia in senso fisico che personale, con la conseguenza di subentrare rapidamente nel solito circolo di consumo dei propri stati d’animo, in cui ci si aggrappa ad ogni sensazione pur di continuare a sorprendersi davanti al mondo, almeno per vivere le proprie emozioni con l’intento di sentirle in ogni loro sfumatura. Di fatto, il testo recita a un certo punto:

Muoio senza morire, in questi giorni usati
Vivo senza soffrire, non c’è croce più grande
Non ci resta che ridere in queste notti bruciate
Una corona di spine sarà il dress-code per la mia festa…

Il ruolo emancipatorio della noia

Andando avanti, la voce protagonista del testo sembra quasi prendere consapevolezza di quanto si ritrova attorno: 

Quanta gente nelle cose vede il male
Viene voglia di scappare come iniziano a parlare
E vorrei dirgli che sto bene ma poi mi guardano male
Allora dico che è difficile campare
Business, parli di business
Intanto chiudo gli occhi per firmare i contratti, mmh
Princess, ti chiama “princess”
Allora adesso smettila di lavare i piatti…

Da qui sorge una presa di coscienza equivoca che, seppur non pienamente razionale, conduce ad uno stimolo di fuga sublimato attraverso la rivendicazione impulsiva delle proprie libertà individuali. L’io narrante sembra infatti ripudiare tutti i richiami di una vita dedita alla monotonia e agli affaccendamenti quotidiani che dipingono in modo deviante degli stili di vita più inclini a un lavoro intenso con le proprie emozioni, spesso fonte di emancipazione da tutti i precetti culturali volti a ritagliare dei ruoli inamovibili per ognuno di noi.

In questo caso, tale critica viene sollevata a circoscrizione del ruolo femminile, proferendo due versi che si scagliano contro la comune convinzione di considerare la propria individualità solo attraverso un rigido ruolo di genere. A fronte di un sentire tanto denso, sorge quindi uno spunto interpretativo proiettato sulla funzione del sensation seeking, definito come un tratto di personalità proiettato verso la ricerca individuale di sensazioni nuove, intense ed eccitanti, anche a costo di esporsi innanzi a sfide rischiose. La protagonista del brano, in questo marasma di stimoli piatti e pregiudicanti, sente di esprimere apertamente il proprio agio verso questa sua modalità percettiva con cui affronta le cose, venendo purtroppo non compresa se non addirittura malvista agli occhi delle altre persone da cui vorrebbe riscuotere un minimo di comprensione verso una sfumatura personologica potenzialmente portatrice di novità anche nelle vite altrui; ruolo che in fin dei conti viene portato avanti da chi con l’arte ci lavora, quantomeno per rendere meno noiosa la quotidianità altrui nel proprio piccolo. Questa intuizione emerge subito nei versi successivi, dove la protagonista appunta in tono umoristico quanto il proprio ruolo, nella buona o nella cattiva sorte, incida cospicuamente su una realtà che in molti affrontano passivamente, anche a costo di dover sfociare in situazioni imbarazzanti: 

Allora scrivi canzoni?
Sì, le canzoni d’amore
E non ti voglio annoiare
Ma qualcuno le deve cantare
Cumbia, ballo la cumbia
Se rischio di inciampare almeno fermo la noia
Quindi faccio una festa, faccio una festa
Perché è l’unico modo per fermare, per fermare, per fermare, ah
La noia…

La canzone si conclude infine con una trafila di versi decisivi per il messaggio da trasmettere con l’ultimo ritornello: 

Muoio perché morire rende i giorni più umani
Vivo perché soffrire fa le gioie più grandi
Non ci resta che ridere in queste notti bruciate…

Ribaltando il contenuto del precedente ritornello, questa volta la voce principale dell’opera esordisce con una presa di consapevolezza totale rispetto al proprio modo di porsi verso il mondo esterno, arrivando a conclusione di quanto in fin dei conti vivere di sole emozioni positive, con la pretesa di nutrircene passivamente e senza mobilitarci nell’intento, non potrà mai concederci la possibilità di imparare a scorgere bellezza nel mondo, anche quando non ce ne accorgiamo. Il dolore, così come tutte le emozioni negative ad esso associate, rientra tra le tappe obbligatorie del nostro disegno esistenziale, senza le quali non riusciremmo mai a scoprire e a godere di ogni situazione che rende le gioie più dense e significative, nonché i nostri giorni più umani. Da qui non resta che realizzare il potenziale adattivo della noia, senza il quale non potremmo mai arrivare a una piena consapevolezza del nostro vissuto e, di conseguenza, dei nostri bisogni, che nel rispetto delle libertà altrui meritano comunque di essere accolti e soddisfatti. 

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