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Vortex: uno sguardo introiettato al divenire della terza età – Recensione del film

Nel film Vortex, Gaspar Noé offre una rappresentazione nuda e cruda della terza età, della solitudine e dell'incapacità di costruire una necessaria inclusività

Di Angelo Valente

Pubblicato il 18 Apr. 2024

Vortex: la trama del film

Presso un labirintico appartamento di Parigi, una coppia di anziani si appresta a vivere gli ultimi istanti di una vita passata assieme, ma di cui non ci è dato sapere nulla del loro vissuto. Lui, critico cinematografico alle prese con una nuova pubblicazione, lei, psichiatra in pensione alle prese con i primi sintomi manifesti di una patologia dementigena.

Come in tutte le precedenti opere, Gaspar Noé offre una cornice narrativa priva di qualsivoglia condimento etico, nonché la pura descrizione di una realtà che, in questo caso specifico, si aggrappa gelidamente alle presenze inanimate di una vita ormai scritta, nella speranza di approcciarsi alla scoperta fortuita di un senso tangibile alla monotonia della propria quotidianità, ormai sempre più preclusa dalle movenze sofferenti di un corpo stanco, capace di parlare molto più di una coscienza ancora non propriamente disillusa nei confronti di sé e del mondo fuori.

Non a caso l’abitazione dei due si prefigura quasi come principale protagonista, trasformandosi in un archivio sordo e asfissiante che raccoglie i ricordi di un’intera esistenza, quasi diventando la sola essenza concessa nelle loro giornate. In quell’abitazione pullulante di volumi, locandine e fogli battuti si sperimenta raramente un contatto edificante con l’esterno, che davanti all’inesorabile frutto del tempo si profetizza come unico tempio capace di sancire ancora un’occasione per andare avanti nella certezza di poter rievocare il proprio passato senza perdersi. Tale evidenza emerge in maniera ancora più prepotente con l’arrivo del figlio della coppia. Data la consapevolezza dell’evidente stato di deperimento dei due, quest’ultimo, già alle prese con la sua tossicodipendenza, non trova altra opzione alle sue preoccupazioni se non tramite il loro trasferimento in una casa di riposo, ma si trova subito a interfacciarsi con il rifiuto del padre, incapace di lasciare l’unico posto da cui può ottenere delle risposte identitarie attraverso le sue amate cose.

Una riflessione sul tema dell’invecchiamento globale

Il film si pone come un espediente riflessivo, nonché rappresentazione figurativa iperrealistica, di uno dei fenomeni sempre più centrali nello sviluppo delle società contemporanee. Non parliamo solo dell’ormai evidente invecchiamento della popolazione, emergente anche dalle riflessioni indotte dalla filiera dell’arte cinematografica, ma di un riflettore accesso sulle modalità gestionali dell’assetto di vita degli anziani di oggi e di domani, ormai sempre più stravolte rispetto a quelle degli anziani di ieri. Di conseguenza, come ogni problematica determinata da fenomeni globali, diviene sempre più difficile garantire delle risposte univoche, capaci di esplicare le cause di una condizione che prende in considerazione innumerevoli fattori di stampo politico e socioculturale.

Gaspar Noé offre una rappresentazione nuda e cruda di un panorama su cui in tanti ci troviamo a procrastinare con il pensiero, sottovalutando il subdolo agire del tempo, che non solo si è fatto conoscere attraverso i nostri nonni, ma emerge sempre più nei nostri genitori in attesa del nostro turno, per cui potremmo arrivare sì preparati, ma si spera anche sufficientemente appagati dagli sforzi profusi per scardinare un tessuto stereotipico contemporaneo basato prettamente su un giovanilismo incattivito, spesso troppo preso da elevati standard sociali per capacitarsi di riuscire a creare una rete di reciproca connessione basata su un rapporto educativo tra giovani e vecchie generazioni.

Quella dei due protagonisti si prefigura come la vita di due persone ormai ritenute ininfluenti, ma che ciononostante vogliono ancora sperare di credere nell’attribuzione di un ruolo che li accompagni lietamente verso i confini del loro ultimo atto evolutivo, riconoscendosi ancora una volta come umani degni di continuare a sognare un mondo a colori, proprio quelli che il grigiore della realtà parigina sembra quasi negare loro per ricordare che il diritto di partecipazione sociale si ascrive solo a un fine biologico, e che in quanto tale non lascia spazio al riconoscimento di bisogni in apparenza riservati a chi è troppo impegnato a costruirsi un ruolo nel mondo.

Un tema simile non spinge solo a riflettere sulla qualità dei nostri paradigmi assistenziali, ma anche sulla necessità di imbastire un modello di scambio intergenerazionale basato su un approccio sano alla vita e alla fine di quest’ultima, tema ampiamente sorvolato se si pensa che durante il film regna sovrano, sia dai genitori che dal figlio, anche il rapporto con la solitudine, concretamente acclarato dalla mancanza di approcci comunitari che riescano a investire efficientemente sulla costruzione di un’attitudine proattiva basata sull’inclusività e la valorizzazione del capitale umano.

E tutto ciò, Gaspar Noé riesce a stimolarlo in modo privo di scrupoli e di secondi fini, senza alcuna presunzione morale o anti-idealistica che vada al di fuori della semplice descrizione, ricordandoci quanto il rapporto con una realtà priva di pretese ci impone di ricavare un significato grazie al potere informativo dell’angoscia che è capace di suscitare. Il benessere dei nostri anziani, in questo caso, non è solo un investimento, ma un motivo in più per imparare a capire dove andremo, anche se questo a volte non ci è dato saperlo.

Vortex: il trailer del film

VORTEX – guarda il trailer ufficiale: 

 

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