Scritto nel 1985 e messo in scena per la prima volta nel 1986, con Franco Branciaroli nel ruolo del protagonista, Confiteor rappresenta l’apice della produzione drammaturgica di Giovanni Testori (1923-1993), oltre che uno dei testi più significativi del teatro italiano degli ultimi decenni. È ispirato ad un tragico fatto di cronaca familiare avvenuto a Busto Arsizio.
Il regista e attore pugliese Alfredo Traversa da anni si dedica alla meritoria riproposizione di questo testo, che immagino costituisca per lui un oggetto di studio continuo, la cui visione è emotivamente molto forte per il pubblico a causa del suo particolare tema e di come viene esposto.
Si tratta, come tutto il teatro testoriano, di teatro della “parola”, in quanto molto più che alle forme è proprio alla parola affidato il compito della “rivelazione”: dei propri comportamenti, ma anche dei propri pensieri e della propria natura più profonda, in cui lo spettatore può identificarsi per quanto tale operazione possa risultare anche sgradevole e conturbante.
La scena è scarna, seguendo le indicazioni originali dell’autore: sul palco solo due sedie e i due attori, senza nessun altro arredo. Questo stesso spazio, vuoto e anche per questo angosciante, muta simbolicamente seguendo la narrazione, divenendo la casa dei protagonisti, madre e figlio, poi un’Aula di tribunale e, infine, il carcere, in un tempo dominato da delitto e castigo. Il dialogo tra i personaggi assume spesso i toni di due diversi monologhi, ad affermare il tema dell’incomunicabilità finale, come se gli esseri umani non potessero mai incontrarsi fino in fondo, separati da piani mentali diversi. Il protagonista, Rino, ha ucciso il fratello nato con un grave handicap, in un gesto contenente sia rabbia che amore, ed è pronto ad espiare con il carcere e la morte la sua colpa, mentre la madre tenta di salvare l’unico figlio rimastogli. Il padre è una figura totalmente assente, così come il grande padre, Dio, non risponde alle preghiere né agli interrogativi sul senso di tanto dolore in una povera famiglia cristiana. La dimensione religiosa è sempre presente in Testori, è incerta ma non supina, non è cieca e non evita i dubbi ma neanche la rassegnazione. Certamente nella scelta del protagonista di non evitare alcuna conseguenza al suo gesto, anzi quasi cercando la pena più severa e non il perdono, c’è sì la presenza del senso di colpa cattolico, ma anche il profondo senso di responsabilità delle proprie azioni. Rino è un eroe tipicamente testoriano, non un superuomo invincibile, ma un individuo che sceglie di pagare con la propria vita la colpa di aver sottratto il fratello ad una vita fatta di parole incomprensibili ed umiliazioni. È un assassino, ma nel suo gesto c’è anche pietà, ma soprattutto diventa eroe rifuggendo dal pietismo e dalla ricerca di attenuanti pure facili da rintracciare e che egli nega per affermare il primato della responsabilità. Per Testori, Dio non ci evita le sofferenze e le ingiustizie, non impedisce il male, ma sembra suggerirci di affermare comunque la nostra responsabilità, il nostro libero arbitrio. Sarebbe facile amare un mondo perfetto, abitato da persone perfette, ma la sfida dell’uomo è proprio ricercare un senso laddove l’ingiustizia è tanto forte che è difficile scorgere alcun senso.
Confiteor rivela già nel titolo la sua vocazione a connettersi con l’originaria funzione del teatro; la confessione è parzialmente liberatoria ma è pubblica, serve soprattutto a provocare un dibattito con noi stessi e con gli altri: il teatro sembra indicarci una strada per diventare uomini e donne migliori. Emerge l’importanza della pietà e della carità.
Le famiglie e gli operatori sanitari operanti in tale ambito sanno bene quanto la nascita di un membro con una grave disabilità sia un evento critico grave capace di modificare i ruoli, le funzioni e le relazioni familiari.
Un grave handicap talvolta può provocare un arresto delle fasi del ciclo di vita, con il fermarsi del tempo in relazioni di dipendenza che possono apparire immodificabili. A tutta la famiglia viene richiesto un importante riadattamento: a partire dal dolore per la nascita di un figlio “diverso” da quello fantasticato prima e durante la gravidanza, sino all’impegno costante e duraturo per ottenere risultati talvolta solo parziali nonostante percorsi riabilitativi lunghi, costosi e impegnativi sul piano materiale ed emotivo.
Io ho visto lo spettacolo a marzo 2024 a Milano, recitato con grande perizia dagli attori Giuseppe Calamunci Manitta e Tiziana Risolo, capaci di rendere la drammaticità del vissuto dei loro personaggi . Nei prossimi mesi la compagnia sarà in altre città italiane.
Come mi è già accaduto per altri spettacoli di Traversa, l’effetto della visione dura nel tempo, non si esaurisce dopo poche ore dalla fine della recita. Come avviene per la vera arte, si entra in contatto con la bellezza ma anche con un potere trasformativo apparentemente magico ma in realtà frutto di tecnica, talento e sudore, che lascia traccia nella psiche e nel cuore dello spettatore.