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La dissociazione nel Disturbo da Stress Post-Traumatico: dati da una recente revisione

Nel Disturbo da Stress Post-Traumatico Dissociativo accanto alle caratteristiche “tipiche” del PTSD si presentano depersonalizzazione e/o derealizzazione

Di Alberto Misitano

Pubblicato il 29 Set. 2022

La revisione sistematica della letteratura condotta da un gruppo di ricerca della Sigmund Freud University di Milano, e pubblicata sul Journal of Trauma and Dissociation, ha analizzato 13 studi svolti con l’applicazione di una particolare tecnica statistica nota come Latent Profile Analysis (LPA), molto utile per lo studio di fenomeni clinici altamente complessi ed eterogenei come il PTSD.

 

Introduzione

Il Disturbo da Stress Post-Traumatico (Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD) è una diagnosi dalla storia complessa, caratterizzata da molte modifiche e controversie (North et al., 2016). Tra le principali motivazioni alla base dei dibattiti degli ultimi anni sul PTSD troviamo, nella quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), l’aggiunta del sottotipo di PTSD “con sintomi dissociativi” (American Psychiatric Association [APA], 2013/2014, pag. 315), che riprende il dilemma su quale sia la natura della relazione tra eventi traumatici e dissociazione e la definizione stessa di dissociazione (Nijenhuis, 2014; Schimmenti e Caretti, 2014). Questo complica ulteriormente il quadro di una diagnosi già di per sé grave, che colpisce adulti e bambini (Forresi et al., 2020) ed è accompagnata da effetti deleteri su plasticità sinaptica e funzionamento cognitivo (Lamanna et al., 2021).

In breve, per Disturbo da Stress Post-Traumatico Dissociativo (Dissociative Post-Traumatic Stress Disorder [D-PTSD]) si intende un quadro clinico in cui, accanto alle caratteristiche “tradizionali” del PTSD (sintomi intrusivi, evitamento, alterazioni cognitivo-emotive negative e iper-reattività), il paziente presenta depersonalizzazione (esperienza di distacco dal proprio corpo) e/o derealizzazione (esperienza di irrealtà dell’ambiente circostante; APA, 2013/2014, pag. 315). La prevalenza di questo disturbo varia molto in letteratura, con valori che raggiungono quasi il 50% a seconda del metodo di analisi e del campione studiato (Misitano et al., 2022; White et al., 2022). L’inclusione di questo sottotipo tra le diagnosi ufficiali è stata supportata da diverse fonti: in primo luogo, studi neuroscientifici, che nei pazienti con Disturbo da Stress Post-Traumatico Dissociativo evidenziano pattern di connettività funzionale caratterizzati da una iperattivazione delle zone prefrontali e dall’ipoattivazione delle aree limbiche (Lanius et al., 2018). Inoltre, l’inclusione di questo sottotipo è supportata da analisi psicometriche, al centro di una revisione sistematica di recente pubblicazione (Misitano et al., 2022).

Lo studio

La revisione sistematica della letteratura in questione, condotta da un gruppo di ricerca della Sigmund Freud University di Milano e pubblicata sul Journal of Trauma and Dissociation (la rivista ufficiale della Società Internazionale degli Studi sul Trauma e sulla Dissociazione), ha analizzato 13 studi svolti con l’applicazione di una particolare tecnica statistica nota come Latent Profile Analysis (LPA). Questa tecnica, a partire da variabili continue, suddivide il campione di partenza in diversi sottogruppi (o profili) sulla base di caratteristiche condivise. Pertanto, si rivela molto utile per lo studio di fenomeni clinici altamente complessi ed eterogenei come il PTSD (Galatzer-Levy e Bryant, 2013).

Complessivamente, lo studio (Misitano et al., 2022) rivela che la letteratura, in campioni dalle più varie caratteristiche e utilizzando strumenti di valutazione molto diversi, individua costantemente un sottogruppo di persone che presentano livelli significativamente più alti di sintomi dissociativi rispetto agli altri profili, anche se per quel che riguarda i sintomi centrali del PTSD la gravità è del tutto comparabile. Inoltre, la percentuale di individui appartenenti a questo profilo dissociativo è risultata essere attorno al 17%, dato molto simile a quanto ottenuto in un altro studio (23%; White et al., 2022).

Tuttavia, come in parte accennato poco sopra, dalla revisione della letteratura risulta evidente una notevole eterogeneità negli studi. Infatti, gli studi sono stati svolti su campioni estratti dalla popolazione generale esposti ad eventi potenzialmente traumatici così come su pazienti o veterani di guerra con PTSD, conducendo interviste cliniche o questionari autosomministrati e analizzando sintomi dissociativi che non sempre si limitavano a depersonalizzazione e derealizzazione. Quest’ultimo dato è particolarmente rilevante, in quanto alcuni studi hanno individuato un profilo dissociativo non solo differente in quei due sintomi, ma per altri sintomi quali problemi di consapevolezza e memoria o dispercezioni sensoriali (Misitano et al., 2022).

Conclusioni

In conclusione, lo studio (Misitano et al., 2022) conferma la solidità della Latent Profile Analysis nell’individuare un sottogruppo di soggetti esposti ad eventi potenzialmente traumatici caratterizzati da una risposta sintomatica dissociativa. Tuttavia, avere campioni dalle caratteristiche molto diverse (e non sempre nemmeno diagnosticati con PTSD, che sarebbe un prerequisito necessario per l’individuazione del sottotipo), analizzare sintomi – dissociativi e non – con strumenti differenti e valutare il numero e il tipo di eventi potenzialmente traumatici in un modo non sistematico impedisce un confronto approfondito tra i vari studi, così come una caratterizzazione più accurata del D-PTSD. Studi futuri dovranno porre rimedio a questi limiti; così facendo, sapranno dare indicazioni molto più precise per il trattamento, psicoterapeutico o farmacologico.

 

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