I processi su cui si basa e attraverso cui viene implementato il controllo cognitivo vengono definiti funzioni esecutive, le quali sono coinvolte nella pianificazione dell’azione e nel monitoraggio del comportamento.
Il controllo cognitivo
Cosa intendiamo quando parliamo di “controllo cognitivo”?
In letteratura con questo termine si indicano quei processi necessari per coordinare pensieri e azioni al fine di ottenere un comportamento flessibile e orientato allo scopo, che sia in linea con gli obiettivi del soggetto e le richieste dell’ambiente che lo circonda (Gazzaniga, 2009; Chiew & Braver, 2017).
Il primo lavoro sul controllo cognitivo è di Posner e Snyder (1975), in cui emerge come i processi di controllo cognitivo siano in antitesi rispetto a quelli automatici (come i riflessi), i quali si manifestano solitamente in assenza di consapevolezza o intenzione da parte dell’individuo che li sta attuando. Più nello specifico, tre aspetti distinguono i processi controllati da quelli automatici: i processi controllati sono più lenti da eseguire, sono soggetti a interferenze da processi automatici concorrenti e si basano su un meccanismo di elaborazione centrale a capacità limitata.
Le funzioni esecutive
I processi su cui si basa e attraverso cui viene implementato il controllo cognitivo vengono definiti funzioni esecutive, le quali sono coinvolte nella pianificazione dell’azione e nel monitoraggio del comportamento.
Le tre funzioni esecutive principalmente presentate in letteratura sono shifting attentivo, updating delle informazioni e inibizione della risposta (Miyake et al.,2000).
Lo “shifting” riguarda lo spostamento dell’attenzione tra compiti diversi ed è considerato importante per la comprensione dei deficit nel controllo cognitivo in pazienti con lesioni cerebrali durante l’esecuzione di specifici compiti in cui si richiede di alternarsi tra due compiti (Monsell, 1996).
L’ “updating” della memoria di lavoro richiede il monitoraggio e la codifica delle informazioni rilevanti per lo svolgimento di un compito (Morris & Jones, 1990), questa funzione esecutiva interviene in un gran numero di attività della vita quotidiana, come l’apprendimento o l’organizzazione delle informazioni acquisite recentemente (Collette & Van der Linden, 2002).
Infine, con inibizione della risposta si intende la capacità dell’individuo di impedire il verificarsi di una risposta dominante o automatica quando necessario (Miyake et al., 2000).
Le basi neurali del controllo cognitivo
Per quanto riguarda le basi neurali del controllo cognitivo, risultati convergenti dimostrano un importante coinvolgimento della corteccia prefrontale (PFC) (Fiore, 2017).
L’importanza di tale area per il controllo cognitivo è stata largamente investigata e confermata attraverso diversi approcci sperimentali: ad esempio, Jacobsen e colleghi (1936) hanno condotto uno studio sul modello animale, asportando bilateralmente l’omologa area cerebrale in due scimmie e osservando che alla lesione non segue una demenza generale, bensì il fallimento di alcuni comportamenti specifici, soprattutto nella soluzione di problemi in cui è richiesto il coinvolgimento di processi esecutivi.
Vi sono studi anche sull’uomo che mostrano come danni a livello della PFC conducano a deficit di comportamento orientato all’obiettivo senza ulteriori danni a livello di capacità sensoriali, in particolare si hanno deficit in compiti che richiedono un’elaborazione controllata: un paziente con danni alla PFC mantiene alcune capacità, come eseguire compiti cognitivi di base o memorizzare informazioni, ma le sue prestazioni orientate al raggiungimento di un obiettivo risultano compromesse (Luria, 2012).
Vi sono inoltre numerosi studi di neuroimaging che forniscono evidenze della relazione tra questa regione cerebrale e le funzioni esecutive, il lavoro di Thomsen e collaboratori (2004) è uno tra questi: gli autori hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per indagare le basi cerebrali coinvolte nello shifting attentivo durante un paradigma di ascolto dicotico, evidenziando un’attivazione significativa della PFC bilaterale durante lo shifting attentivo rispetto a un compito di controllo. Gli autori hanno concluso che tale regione giochi un ruolo importante nella selezione top-down degli stimoli rilevanti per il compito e correlati all’inibizione dell’elaborazione di stimoli irrilevanti per l’obiettivo.
Perché proprio la corteccia prefrontale?
La PFC ha il ruolo di sintetizzare le informazioni provenienti da varie aree cerebrali corticali e sottocorticali per produrre un comportamento diretto all’obiettivo attraverso un processo di tipo top-down: ad esempio, per selezionare le risposte motorie più adatte deve integrare le informazioni sensoriali provenienti sia dall’ambiente esterno che dall’interno dell’organismo stesso. Ciò è permesso dalle numerose interconnessioni della PFC con le altre strutture cerebrali.
Dunque, le aree associate al controllo cognitivo coinvolgono il circuito corticale della PFC e i circuiti corticali e sottocorticali ad essa connessi, come i gangli della base (Fuster, 2015).