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Le funzioni esecutive

Grazie alle funzioni esecutive è possibile assegnare priorità alle azioni, stabilire obiettivi muovendosi per raggiungerli e regolare le emozioni

Di Anna Boccaccio

Pubblicato il 18 Apr. 2024

Una definizione di funzioni esecutive

Le funzioni esecutive sono processi cognitivi che permettono di pianificare e controllare il comportamento da attuare in vista di un obiettivo. Si tratta di processi top-down (dall’alto verso il basso) di tipo consapevole e volontario, che consentono di controllare coscientemente pensiero, emozione e comportamento. Intervengono quando occorre concentrarsi e focalizzare l’attenzione, ovvero nei casi in cui le risposte automatiche e l’intuizione siano insufficienti o impossibili da attuare.

Così come la torre di controllo all’interno di un aeroporto regola le partenze e gli arrivi del traffico aereo, allo stesso modo il cervello utilizza le funzioni esecutive per disattivare il “pilota automatico” e processare le informazioni in modo deliberato e intenzionale: grazie a esse è possibile infatti assegnare priorità e ordine alle azioni, stabilire obiettivi, finalizzare il comportamento per il loro raggiungimento e regolare le emozioni.

La classificazione delle funzioni esecutive

Secondo un modello proposto da Miyake et al. (2000), esistono tre funzioni esecutive fondamentali

  • inibizione
  • memoria di lavoro 
  • flessibilità cognitiva. 

La teorizzazione di Diamond (2013) ha aggiunto tre ulteriori funzioni esecutive definite di ordine superiore, in quanto derivate da quelle fondamentali. Appartengono ad un unico costrutto, l’intelligenza fluida e sono le seguenti

  • ragionamento 
  • risoluzione dei problemi 
  • pianificazione. 

Tutte sono fittamente interconnesse e la loro efficacia richiede che operino in coordinamento tra loro. Esercitano inoltre un ruolo essenziale in molteplici aspetti della vita: la salute fisica e mentale, il profitto scolastico, il successo lavorativo, l’armonia nella vita di coppia, le relazioni sociali e la pubblica sicurezza (Diamond, 2013).

Inibizione o controllo inibitorio

Questa funzione esecutiva riguarda la capacità di ignorare stimoli interni o esterni e portare avanti compiti e obiettivi ritenuti prioritari, attraverso il controllo di processi quali: l’attenzione (funzione di controllo dell’interferenza), il comportamento (autocontrollo o inibizione comportamentale), i pensieri o le emozioni

A livello attentivo, il controllo dell’interferenza è implicato in due operazioni differenti: l’attenzione selettiva o focalizzata, in cui è possibile la selezione volontaria di uno stimolo circoscritto, anche isolandolo all’interno di una varietà di stimolazioni disponibili e distraenti (ad esempio, la voce di una singola persona a una festa), e l’inibizione attentiva, mediante la quale ignorare stimoli scarsamente rilevanti per portare a termine un compito (Posner, Di Girolamo, 1998).

A livello comportamentale, il controllo inibitorio viene esercitato attraverso l’autocontrollo, che implica la regolazione non solo del proprio comportamento, ma anche delle proprie emozioni. Un esempio di autocontrollo potrebbe essere non indulgere in un’avventura amorosa se si è sposati, o evitare di mangiare dolci se si vuole perdere peso. Si tratta di un processo in grado di bloccare comportamenti e risposte di tipo automatico o impulsivo, al fine di emettere risposte più adattive.

Un altro aspetto dell’autocontrollo riguarda il cosiddetto “delay discounting”, ritardare la gratificazione, ovvero scegliere di rimanere su un compito, nonostante le distrazioni o la possibilità di passare a occupazioni più interessanti (Mischel et al., 1989; Louie, Glimcher, 2010).

L’inibizione rappresenta la modalità con cui il nostro cervello “rettifica” e cambia alcuni comportamenti poco funzionali ad uno scopo. Secondo Barkley (1997), anomalie nel funzionamento della corteccia prefrontale possono causare disfunzioni nel controllo inibitorio e nelle altre funzioni esecutive, come nel caso del disturbo del neurosviluppo ADHD. Bambini con questo tipo di diagnosi, infatti, presentano un deficit di inibizione su tre livelli: a livello motorio si manifestano iperattività e movimenti non finalizzati (ad es. un bambino si alza continuamente dalla sedia a scuola), a livello attentivo si assiste a elevata distraibilità e difficoltà nel mantenere l’attenzione (ad es. il bambino si distrae per osservare un uccello volare fuori dalla finestra), a livello comportamentale si verificano azioni impulsive difficili da inibire (ad es. il bambino non aspetta il proprio turno e “spara” la risposta alla maestra).

Alcune misure psicologiche dell’inibizione includono:

  • il compito di Stroop, in cui è richiesto di ignorare il significato della parola (stimolo predominante) e fare caso al colore dell’inchiostro con cui essa è scritta (stimolo irrilevante). Se parola e inchiostro sono tra loro incongruenti, le persone appaiono più lente nel rispondere e commettono più errori;
  • il compito di Simon, in cui viene chiesto ai partecipanti di premere un pulsante a destra se notano lo stimolo A, a sinistra se lo stimolo è B; gli stimoli sono presentati uno per volta, a destra o a sinistra. Sebbene la posizione dello stimolo sia una condizione irrilevante, le persone rispondono più lentamente quando lo stimolo è presentato sul lato opposto rispetto al tasto (Lu, Proctor, 1995);
  • compiti go-no go, nei quali si richiede di premere un tasto in presenza di uno stimolo di “via” (go) e di non premerlo in caso di segnale di “stop” (no go). Solitamente, il segnale di via viene presentato in tutte le prove, ma in alcune, mentre il soggetto sta per premere il tasto, compare un suono di stop che costringe l’azione a bloccarsi.

Memoria di lavoro

Si tratta di una funzione esecutiva che consente di tenere a mente informazioni e “lavorare” mentalmente con esse, ovvero svolgere compiti cognitivamente complessi con informazioni non più disponibili a livello percettivo (Baddeley, Hitch, 1994). Esistono due tipi di memoria di lavoro (working memory): una verbale, addetta all’elaborazione di materiale verbale (ad es. ascoltare racconti, svolgere letture o domande) e una visuo-spaziale, che processa informazioni riguardanti l’orientamento nello spazio mediante input visivi (ad es. guardare una mappa sullo smartphone e comprendere quale direzione occorre seguire nello spazio davanti a noi). 

La memoria di lavoro è fondamentale per attribuire significato a tutto ciò che si svolge nel tempo, in quanto permette di tenere presente quanto già accaduto e metterlo in relazione con quello che avverrà in seguito (Diamond, 2013). Non solo: comprendere la lingua scritta o parlata, leggere un libro, capire il testo di una canzone, calcolare a mente, leggere le istruzioni su come montare un mobile e tradurle in piani d’azione, considerare alternative per risolvere un problema, essere creativi, sono tutti processi cognitivi basati sulla working memory.

Si distingue dalla memoria a breve termine in quanto questa permette unicamente la ritenzione di informazioni, senza possibilità di manipolarle; inoltre, risulta collegata alla corteccia prefrontale dorsolaterale, mentre la memoria a breve termine coinvolge la corteccia prefrontale ventrolaterale (D’Esposito et al., 1999).

La memoria di lavoro supporta la funzione esecutiva di controllo inibitorio e viceversa: per tenere a mente un obiettivo, per esempio, occorre sapere quali informazioni sono rilevanti e quali da inibire; saranno le informazioni più appropriate a guidare il nostro comportamento, diminuendo così la probabilità di emettere una risposta automatica o impulsiva che dovrebbe essere inibita (Diamond, 2013). 

Una misura della working memory consiste nel chiedere ai soggetti di riordinare elementi appena ascoltati, come nel subtest Riordinamento lettere e numeri della scala d’intelligenza Wechsler per bambini. Il test di Corsi con le sue varianti rappresenta un’ulteriore misura della memoria di lavoro visuo-spaziale: una persona osserva il somministratore toccare una serie di blocchi e dovrà toccarli nello stesso ordine (Lezak, 1983).

Flessibilità cognitiva

Consiste nella capacità di cambiare prospettiva rispetto al modo in cui si pensa a una questione, in relazione a nuove esigenze e priorità personali o fornite dal contesto. 

Per modificare la prospettiva, occorre inibire (disattivare) la nostra prospettiva precedente e “caricare” in memoria di lavoro (attivare) un’altra diversa (Diamond, 2013). Pertanto la flessibilità cognitiva richiede e si basa su controllo inibitorio e memoria di lavoro. 

In opposto alla rigidità cognitiva, può implicare ammettere di aver sbagliato, imparare dall’errore elaborando nuove alternative, risolvere problemi passando da una strategia all’altra o trarre vantaggio da opportunità improvvise ed inaspettate (la cosiddetta serendipità).

La flessibilità cognitiva viene spesso valutata attraverso attività di cambio di compito, tra cui il Wisconsin Card Sorting Test (Milner, 1964) e compiti di fluenza verbale e semantica. Nel primo le carte vengono ordinate per colore, forma o numero; al partecipante si chiede di dedurre il criterio di ordinamento e cambiare in modo flessibile le regole di ordinamento ogni volta che lo sperimentatore fornisce feedback. Nei compiti di fluenza può essere richiesto alla persona di fornire tutte le parole che le vengono in mente con una certa lettera iniziale (fluenza verbale), oppure parole incluse in una data categoria semantica, come animali, frutta ecc. (fluenza semantica).

Intelligenza fluida

Rappresenta la capacità di un individuo di pensare e ragionare in modo flessibile, risolvere problemi nuovi e non familiari e adattarsi a situazioni nuove (Horn, Cattell, 1967). Questa capacità include processi cognitivi come:

  • ragionamento: analizzare e fare deduzioni logiche, anche in caso di informazioni non familiari. Il ragionamento deduttivo fa conseguire una conclusione a partire da alcune premesse (se… allora…), mentre il ragionamento induttivo fa derivare da casi particolari una legge generale di tipo probabilistico; 
  • risoluzione dei problemi: identificare rapidamente modelli e relazioni all’interno delle informazioni per risolvere problemi complessi;
  • pianificazione: capacità di fissare un obiettivo, pensare ai passaggi necessari per conseguirlo e stabilire l’ordine con cui effettuare tali passaggi.

L’intelligenza cristallizzata, al contrario, è la capacità di utilizzare informazioni precedentemente acquisite tramite conoscenza fattuale (letture, istruzione, film ecc.), memoria episodica di esperienze vissute in prima persona e conoscenza procedurale pratica di un certo tipo di esperienza, il cosiddetto know-how.

Sviluppare le funzioni esecutive

Le funzioni esecutive sono cruciali per l’apprendimento e la crescita, consentono l’adattamento al contesto in cui viviamo e permettono di compiere scelte sane per noi stessi e le nostre famiglie.

I bambini non nascono con queste abilità: nascono con il potenziale per svilupparle. 

Alcuni bambini, tuttavia, potrebbero necessitare di maggiore sostegno di altri per sviluppare queste abilità: fattori biologici, psicologici o ambientali possono ritardare o pregiudicare l’acquisizione di processi cognitivi. 

Ambienti familiari disfunzionali o maltrattanti, in particolare, espongono i bambini a elevati e precoci livelli di stress in grado di distruggere l’architettura del cervello e compromettere lo sviluppo delle funzioni esecutive (Diamond, 2013).

Fornire il supporto di cui i bambini hanno bisogno per incentivare queste competenze a casa, nei servizi educativi e di assistenza precoce o in altri contesti costituisce una delle responsabilità più importanti della società.

Gli ambienti che promuovono la crescita forniscono ai bambini un’impalcatura per le funzioni esecutive fatta di routine, modelli comportamentali sani, connessione sociale, creatività e relazioni affidabili e supportive.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Baddeley, A.D., Hitch, G.J. (1994). Developments in the concept of working memory. Neuropsychology. 8:485–93.
  • Barkley, R.A. (1997). Behavioral inhibition, sustained attention, and executive function: constructing a unified theory of ADHD. Psychological Bulletin 121:65-94.
  • D’Esposito, M., Postle, B.R., Ballard, D., Lease, J. (1999). Maintenance versus manipulation of information held in working memory: an event-related fMRI study. Brain Cogn. 41:66–86.
  • Diamond, A. (2013). Executive functions. Annu Rev Psychol.;64:135-68. doi: 10.1146/annurev-psych-113011-143750. Epub 2012 Sep 27. PMID: 23020641; PMCID: PMC4084861.
  • Horn, J. L., Cattell, R. B. (1967). Age differences in fluid and crystallized intelligence. Acta Psychologica, 26(2), 107–129. 
  • Lezak, M. (1983). Neuropsychological Assessment. Oxford Univ. Press; New York.
  • Louie, K., Glimcher, P.W. (2010). Separating value from choice: delay discounting activity in the lateral intraparietal area. J. Neurosci. 30:5498–507.
  • Lu, C.H., Proctor, R.W. (1995). The influence of irrelevant location information on performance: a review of the Simon and spatial Stroop effects. Psychon. Bull. Rev. 2:174–207. 
  • Milner B. (1964). Some effects of frontal lobectomy in man. In: Warren JM, Akert K, editors. The Frontal Granular Cortex and Behavior. McGraw-Hill; New York: pp. 313–34.
  • Miyake, A., Friedman, N.P., Emerson, M.J., Witzki, A.H. e Howerter, A. (2000). The unity and the diversity of executive functions and their contributions to complex “frontal lobe” task: A latent variable analysis. Cognitive Psychology, 41, 49-100.
  • Mischel, W., Shoda, Y., Rodriguez, M.L. (1989). Delay of gratification in children. Science. 244:933–38.
  • Posner, M.I., DiGirolamo, G.J. (1998). Executive attention: conflict, target detection, and cognitive control. In: Parasuraman R, editor. The Attentive Brain. MIT Press; Cambridge, MA: pp. 401–23. 
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