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I “Core Beliefs” del Relationship Obsessive Compulsive Disorder

Le manifestazioni del ROCD possono essere raggruppate in due macro categorie concettuali: focalizzate sulla relazione stessa oppure focalizzate sul partner

Di Giuseppe Scuderi

Pubblicato il 07 Set. 2021

Aggiornato il 21 Mar. 2024 10:26

Il Disturbo Ossessivo Compulsivo da Relazione (ROCD) può essere considerato come un costrutto o una dimensione del disturbo ossessivo compulsivo (Melli, Bulli, Doron & Carraresi, 2018).

Introduzione

I temi delle ossessioni, le credenze di base, i pensieri automatici, le vulnerabilità personali e gli stili di attaccamento che possono generare il RODC, mantenerlo e rinforzarlo possono essere svariati. In questo breve elaborato mi pongo l’obbiettivo di prendere in considerazione e discutere le due tipologie di ROCD, i fattori cognitivi di mantenimento, di rinforzo delle credenze di base nel RDOC ed i relativi strumenti diagnostici ad esso associati, ed infine i fattori di vulnerabilità nel paziente che possono agire come fattori di rischio nella genesi del disturbo e nella formazione delle credenze di base disfunzionali.

Relationship – related obsessive-compulsive disorder: relationship centred, and partner focused

Il disturbo ossessivo compulsivo da relazione può essere considerato come un costrutto o una dimensione del disturbo ossessivo compulsivo (Melli, Bulli, Doron & Carraresi, 2018). Come costrutto è risultato essere altamente indipendente dall’oggetto della relazione (Doron, Derby & Szepsenwol, 2014) e dunque può manifestarsi per esempio: nella relazione del paziente con Dio, con i genitori o con il proprio partner. Dati i numerosi aspetti della vita relazionale in cui può verificarsi, da ora in poi – è bene chiarire – mi riferirò con il termine ROCD unicamente al disturbo ossessivo compulsivo centrato sulla relazione con il proprio partner. Le manifestazioni del ROCD possono essere raggruppate in due macro categorie concettuali: relationship centred (cioè focalizzate sulla relazione stessa) e partner focused (cioè focalizzate sul partner). Ci riferiremo con la dicitura “ROCD type I” al primo, e con la dicitura “ROCD type II” al secondo. Sebbene sia una distinzione puramente teorica, poiché spesso i pazienti mostrano sintomi di entrambe le macro categorie, concettualizzare e schematizzare le due manifestazioni può aiutare gli psicologi clinici nella pianificazione del trattamento (Doron & Derby, 2017).

I sintomi principali del tipo I includono dubbi, ossessioni e preoccupazioni eccessive e pervasive – spesso completamente contrarie a quanto il paziente pensa o prova – collegate ai propri sentimenti nei confronti del partner, ai sentimenti del partner verso il paziente e alla correttezza della relazione (Melli et all. 2018). É importante sottolineare e rimarcare l’ego distonia delle ossessioni in questo disturbo perché essa ci consente di distinguere e di svolgere una corretta diagnosi differenziale tra le ossessioni ed alcune tipologie di worry a contenuto relazionale, per esempio: “Mi preoccupo per te e non dormo, perché ti voglio troppo bene” (Doron, Derby, Szepsenwol, Nahaloni & Moulding, 2016).

I sintomi principali del tipo II invece includono dubbi, ossessioni, attenzione eccessiva e preoccupazioni, nei confronti dei difetti fisici o caratteriali del partner, delle sue qualità sociali o morali o delle sue capacità intellettive (Doron, Derby, Szepsenwol, & Talmor, 2012). Entrambe le forme – spesso coesistenti – provocano un aumento progressivo del distress generale, sono associate ad episodi depressivi, si accompagnano spesso all’urgenza inderogabile di lasciare il proprio partner, e provocano un disagio estremamente forte e pervasivo nella vita del paziente (Riggs, Hiss, & Foa, 1992).

TAF (Thought Action fusion), ossessioni e compulsioni

Nucleo psicopatologico principale di entrambe le forme del disturbo – seppur maggiormente visibile nel ROCD a sfondo religioso – è il TAF (Thought Action Fusion): cioè la tendenza a considerare i normali pensieri automatici negativi non tanto come oggetti della mente, ma come dati di realtà (Rachman, 1993). Il paziente, per esempio, come vedremo meglio in seguito, tenderà a considerare dei normali pensieri negativi automatici (come ad esempio: “che noia questa serata!”) in una situazione sociale con il proprio partner, come dati di realtà incontrovertibili, e quindi, assolutamente pericolosi e deleteri.

A questo punto probabilmente inizierà la disputa (ir)razionale del pensiero automatico a causa dell’attivazione dell’assunto generale “Non dovrei annoiarmi se sono insieme al mio partner. Se lo amo, allora dovrei essere sempre euforica e felice”, che rimanda inevitabilmente ad una credenza di base di “perfezionismo” e/o di “intolleranza dell’incertezza”.

Frasi come: “Mi assicuro continuamente di amare il mio partner” e/o “Lo amo davvero?”, “Mi chiedo continuamente se questa relazione sia giusta per me” e/o “E se stessi sbagliando tutto con lui/lei?” , “Non riesco a smettere di chiedermi se lui/lei mi ami” e/o “Mi ama ancora?”, e/o “Non riesco a smettere di pensare al suo naso storto” e/o “Non è abbastanza intelligente per stare con me”, e/o “è cosi egoista”, possono essere dubbi e frasi che i pazienti si ripetono anche per diverse ore nel corso della giornata sotto forma di pensieri automatici attivati anche dalla semplice vista di una coppia apparentemente felice per strada, dalla visione di una commedia romantica alla televisione, dall’incontro del partner a casa, o da un periodo particolarmente duro e stressante. (Doron et all. 2016).

Le risposte disfunzionali che i pazienti provano a fornirsi per ristabilire un equilibrio ed un benessere psicologico al presentarsi delle ossessioni possono essere di natura sia mentale che comportamentale. Sottolineare che l’urgenza della risposta nasca da un sentimento di colpa, rimorso o ansia provata dai pazienti per la forte ego distonia delle proprie ossessioni non è banale “Io sono consapevole che quello che penso non ha senso! Io lo amo!”; perché – come vedremo meglio in seguito – sarà la chiave sia per accedere alle credenze di base, sia per comprendere la teoria della doppia ipotesi nelle relazioni di attaccamento come principale fattore di rischio per il disturbo (Doron, Szepsenwol, Karp, & Gal, 2013).

Tutte le compulsioni, esattamente come nel DOC, producono un forte decremento dell’ansia e del senso di colpa nel breve periodo, rinforzando allo stesso tempo però la ricomparsa dei pensieri intrusivi. Tra di esse includiamo il checking, il monitoraggio degli stati interni, la neutralizzazione, la comparazione, la rassicurazione, l’auto critica e l’evitamento. Cercare informazioni sulle relazioni o sulle qualità del partner su internet o nei forum (scrivendo, ad esempio: “Non sono sicura di stare ancora col mio partner, sono ancora innamorata?” oppure “Non sono certa che il mio partner sia realmente empatico e mi comprenda”), oppure testare come in un esperimento i comportamenti e le reazioni emotive del partner, (come, ad esempio: “Mi ha risposto abbastanza intelligentemente?” e/o “Oggi sto pensando al mio partner a sufficienza?”) sono tutte forme di checking.

Chiedersi continuamente “Mi sento bene con lui per ora? Sono attratta da lui per ora?” invece, rientra all’interno del monitoraggio degli stati interni. Solitamente tutte queste compulsioni sono accompagnate o dalla neutralizzazione (richiamare il pensiero esattamente opposto oppure cercare di ricordare situazioni dove si fosse felici insieme al proprio partner) o dalla comparazione (equiparare, ricordare, confrontare le qualità del proprio partner con quelle dei partner passati). Forme comportamentali come l’evitamento di situazioni sociali o particolari attività per non scatenare le ossessioni, sono ugualmente comuni e presenti tra i pazienti (Doron et all. 2017). Potrebbe essere interessante approfondire una conseguenza del monitoraggio degli stati interni: in recenti ricerche Shapira, Gundar – Goshen, Liberman e Dar (2013) hanno scoperto come il continuo monitoraggio degli stati interni, dei sentimenti e delle emozioni da parte dei pazienti può indurre una chiusura progressiva nei confronti delle relazioni intime e paradossalmente anche un minore accesso proprio alle emozioni e ai sentimenti.

Infine, per concludere la presentazione del disturbo ritengo necessario e doveroso accennare almeno agli strumenti psicodiagnostici validati nel corso del tempo da Doron e colleghi per la ricerca e la diagnosi del disturbo.

Gli strumenti psicodiagnostici

Il ROCI (“Relationship Obsessive Compulsive Inventory”) ed il PROCSI (“Partner Related Obsessive Compulsive Inventory”) come suggeriscono già i loro nomi, sono stati creati per l’assessment delle due tipologie di manifestazione del disturbo. Il ROCI è stato costruito nello specifico per misurare la severità delle ossessioni (preoccupazioni e dubbi) e delle compulsioni (checking e ricerca di rassicurazioni) su tre dimensioni relazionali: i propri sentimenti verso il partner (“Penso continuamente se amo il mio partner”), i sentimenti del partner verso sé stessi, e l’appropriatezza e correttezza percepita della relazione. Il PROCSI invece è stato costruito per misurare la gravità delle ossessioni e delle neutralizzazioni del paziente indotte dalla percezione dei difetti del partner in sei domini specifici: apparenza fisica, socialità, moralità, stabilità emozionale, intelligenza e competenza (Doron et all. 2012). Gli strumenti psicodiagnostici utilizzati durante l’assessment al fine di valutare la severità, la pervasività ed il grado di importanza per il paziente delle credenze di base sono: il RECAT (Relationship Catastrophization Scale), l’EXL (Extreme Love Beliefs), il FMPS (Frost Multidimensional Perfectionism Scale), ed il FOR (Fear of Anticipated Regret), che, come suggeriscono i nomi dei questionari, valutano: la catastrofizzazione, le credenze irrealistiche sull’amore, il perfezionismo e la paura del rimorso. Per valutare, invece, quanto il paziente fondi la propria autostima sul partner o sulla relazione, gli psicoterapeuti durante l’assessment potranno utilizzare il RCSW (Relationship Contingent self-esteem) o il PVCSW (Partner Value Contingent self esteem). Il primo utile per valutare la correlazione tra autostima del paziente e importanza data alla relazione sentimentale, il secondo invece per valutare quanto l’autostima del paziente correli con il valore percepito del partner (Doron,G. & Derby,D. 2017).

Credenze di base

Possiamo affermare dalle evidenze che qualora il partner decida di agire l’ossessione di lasciare il proprio partner, i sintomi del disturbo non cesserebbero. I sintomi andrebbero immediatamente “ad infettare” il prossimo partner relazionale, portando anche ad un aumento della loro gravità (Doron et all. 2014). Probabilmente sia la credenza di base di rimorso e rimpianto per il passato partner relazionale (“Ho perso, ho lasciato andare lui. LUI. L’uomo della mia vita. Quello giusto”) sia quella di insicurezza verso il nuovo partner relazionale si attiverebbero contemporaneamente, portando alla tipica sensazione di intrappolamento spesso riportata dai pazienti con ROCD.

Ma come si sviluppano queste credenze di base? Esistono dei fattori di rischio? Diversi autori abbastanza recentemente hanno proposto che le ossessioni diventino tali, solo se i pensieri intrusivi a cui fanno riferimento inizialmente sfidano le percezioni sulle caratteristiche strutturali del sé (Aardema & Connor, 2007; Bhar & Kyrios, 2007; Clark & Purdon, 1993). Tale ipersensibilità a determinati aspetti del sé nel dominio relazionale, paiono essere estremamente collegati con i sintomi del ROCD. Ci aspetteremmo, quindi, che persone la cui autostima è altamente connessa e dipendente dalle relazioni intime intrattenute, saranno ipervigili nella relazione e nei confronti del proprio partner. Molti autori tra cui Doron, Moulding, Nedeljkovic, Mikulincer e Sar-El (2012) sostengono che questa ipervigilanza nei confronti delle relazioni sottenda e nasconda un modello di attaccamento insicuro/ansioso.

I modelli di attaccamento e lo sviluppo delle credenze di base

Esattamente come teorizzato da Bowlby nel 1982 le relazioni con le figure di attaccamento modellano e plasmano quelli che saranno i modelli operativi interni. A tal proposito Doron, Szepsenwol, Derby e Nahaloni scrivono: “Ricerche indicano che le relazioni di attaccamento potrebbero essere schematizzate in due dimensioni ortogonali, rappresentanti i due pattern principali di attaccamento: ansia ed evitamento (Brennan, Clark & Shaver, 1998; reviewed by Mikulincer & Shaver, 2007). La prima dimensione, attaccamento ansioso, riflette il grado con cui un individuo si preoccupa che un suo legame significativo non sarà disponibile o adeguatamente responsivo nel momento del bisogno, e l’estensione con cui l’individuo adotta strategie di attaccamento iperattivate […]. La seconda dimensione, definita attaccamento evitante, riflette l’estensione con cui una persona non crede ai buoni propositi del partner relazionale e lotta per mantenere l’autonomia e la distanza emotiva da lui o da lei.” (p.77)

Tale ipotesi – poi confermata – definita “Teoria della doppia ipotesi di vulnerabilità” afferma che persone con uno stile di attaccamento ansioso tenderanno a richiedere continue rassicurazioni al partner sul fatto di essere amate per riuscire ad attenuare l’ansia che sperimentano nel rapporto. Persone invece con uno stile di attaccamento evitante tenderanno ad usufruire di strategie di de-attivazione emozionale come la soppressione dei pensieri e delle emozioni, continuando a negare l’importanza per loro delle relazioni. Si autoimporranno degli standard molto elevati, irrealistici e rigidi di eccellenza e proietteranno proprio questi ultimi sul loro partner relazionale al fine di autoconvincersi di non avere bisogno di alcuna persona vicino a loro (Doron et all. 2013).

Oggi, sappiamo che la tendenza a richiedere continue rassicurazioni al partner e controllare gli stati interni per “sapere di essere amati”, potrebbe predisporre ed esporre l’individuo ad una insicurezza profonda e pervasiva nei confronti della relazione con il partner, e quindi allo sviluppo di un ROCD di tipo I. Allo stesso modo, la tendenza a proiettare le proprie imperfezioni e caratteristiche negative sugli altri potrebbe aumentare vertiginosamente le preoccupazioni, i dubbi e la probabilità di sviluppare ossessioni ricorrenti sui difetti del proprio partner; ed esattamente come nella prima dimensione, questa tendenza potrebbe predisporre allo sviluppo di un ROCD di tipo II. Entrambe queste propensioni favoriscono lo sviluppo ed il mantenimento di due credenze di base specifiche – che insieme ad altre – costituiscono il principale nucleo psicopatologico del disturbo: l’intolleranza all’incertezza per la prima dimensione di attaccamento e il perfezionismo per la seconda dimensione. Entrambe hanno in comune come credenza intermedia, l’importanza dei pensieri, ovvero, il T.A.F ed il loro controllo, una irrealistica credenza di come dovrebbe essere l’amore (“L’amore dovrebbe rendermi sempre felice”) ed infine, la paura di intrappolamento. Credenza di base derivante dai due assunti di base contrapposti: “Se sto in una relazione di cui non sono sicura, sono una persona immorale e cattiva” e “Se lascio il mio partner, lo rimpiangerò per tutta la vita” (Melli et all. 2018). Tutte le credenze di base vengono continuamente rinforzate in maniera spesso inconsapevole attraverso dei bias cognitivi che finiscono col declinare anche la forma verbale delle assunzioni che generano i pensieri automatici. Questi ultimi sono l’interpretazione catastrofica e l’iper-attenzione verso la minaccia; mentre il primo è presente in entrambe le tipologie del disturbo, quest’ultimo è maggiormente visibile nel ROCD di tipo II, dove i pazienti sono ipervigili nei confronti dei difetti del partner.

Credenze di base: analisi, differenze e nuove linee di ricerca

Così come anticipato precedentemente, non tutte le credenze di base sono attive nei pazienti con ROCD. Di fatto, così come dimostrato da precedenti ricerche (Melli,G., Carraresi, C., & Doron, G. 2015) una preoccupazione eccessiva per le scelte sbagliate nella relazione era associata più a dei sintomi di ROCD di tipo I, e solo moderatamente correlata con dei sintomi di ROCD di tipo II; inoltre, è da sottolineare come questa forma di perfezionismo fosse l’unica dimensione ad emergere come un valido predittore del disturbo ossessivo compulsivo centrato sulla relazione. Da successive analisi – contrariamente a quanto ci si aspettava – nessuna forma di perfezionismo del FMPS era esclusivamente collegata al Relationship OCD centrato sul partner (Melli et all. 2018). Queste considerazioni ci portano a concludere che quando le tendenze perfezioniste – provenienti dai modelli operativi interni di tipo evitante – vengono applicate alle relazioni intime, non fanno altro che incrementare anche i sintomi del ROCD di tipo I. Il Relationship Obsessive compulsive disorder di tipo I invece, è collegato maggiormente alla propensione ad utilizzare l’interpretazione catastrofica nelle diverse sfumature sintomatiche del disturbo. Attraverso l’analisi delle dimensioni del RECATS è stato notato come i costrutti maggiormente interessati fossero: l’interpretazione di essere nella relazione sbagliata e la paura di rimanere solo e separato dal proprio partner. La tendenza ad interpretare in modo catastrofico il primo costrutto – “essere in una relazione sbagliata” – pare essere l’unico predittore valido per i sintomi del ROCD di tipo II; tuttavia, interpretare in modo catastrofico entrambi i costrutti risulta essere dalle analisi statistiche svolte, l’unico predittore valido del ROCD di tipo I. Una spiegazione valida potrebbe consistere nel fatto che le infiltrazioni tra i due disturbi dipendano non solo da una comorbilità, ma anche da un rinforzo reciproco nelle credenze di base. Per esempio: i sintomi del ROCD di tipo I potrebbero promuovere lo sviluppo dei sintomi del tipo II quando identificare i deficit, gli errori e i difetti del proprio partner è una strategia emozionale utilizzata per controllare l’andamento della relazione o i sentimenti riguardo al partner stesso (“Riesco ancora a sopportare il suo terribile naso, lo amo ancora!”).

Per molti pazienti, così come dimostrato da Liberman e Dar (2009), identificare questi difetti sembrava essere l’unica chance per mantenere un equilibrio psicologico. In questo modo riuscivano infatti a giustificare l’ego distonia, i loro dubbi e paure, attenuando anche il senso di colpa e l’ansia ad essi connessa. D’altro canto tutti i pazienti con ROCD molto spesso riportano la paura di sentirsi intrappolati in una relazione che gli ricorda la relazione disfunzionale dei genitori. Questa paura – spesso collegata con la teoria della doppia ipotesi – può aumentare vertiginosamente l’attenzione selettiva verso le memorie, i particolari e le esperienze negative nelle relazioni, portando inevitabilmente a perpetuarle (Doron & Derby, 2017). Probabilmente entrambe le forme di manifestazione del ROCD sono collegate e condividono sicuramente dei fattori di mantenimento e di sviluppo. Nonostante questo, però, differiscono di molto nella loro fenomenologia (Doron, Derby et all. 2014) e più studi sono necessari al fine di individuare altre credenze di base per il relationship obsessive compulsive disorder partner focused. Nuove linee di ricerca dovrebbero focalizzarsi sulle paure di abbandono spesso provate da questi pazienti. Si crede (Doron et all. 2009) che esse, oltre a dipendere dai modelli operativi interni interiorizzati dalle relazioni di attaccamento, possano essere un buon gancio per i primi esperimenti comportamentali per aumentare la tolleranza dell’incertezza nel paziente e la sua autostima.

Comorbilità

Le paure di abbandono si ipotizza che siano strettamente connesse – come abbiamo visto – con una relazione di attaccamento di tipo ansioso e quindi con il ROCD di tipo I. Successive ricerche saranno utili per comprendere anche la relazione esistente tra il disturbo da dismorfismo corporeo, i modelli operativi interni evitanti ed i sintomi del relationship obsessive compulsive disorder partner focused (Doron & Szepsenwol, 2014).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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