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La dissociazione e il questionario PSQ nell’ ottica della Terapia Cognitiva Analitica

La terapia cognitiva analitica indaga le modalità attraverso le quali la persona reagisce agli eventi della vita e stabilisce relazioni interpersonali.

Di Ilenia Sidoli

Pubblicato il 22 Nov. 2016

Aggiornato il 01 Ott. 2019 15:50

La CAT (Cognitive Analytic Therapy – Terapia Cognitiva Analitica) è una tecnica terapeutica evidence based di tipo collaborativo per esaminare le modalità secondo cui una persona pensa, esperisce le emozioni, agisce nel mondo rispetto agli eventi di vita e le relazioni interpersonali che sono connesse a queste esperienze.

Ilenia Sidoli, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI

CAT: la terapia cognitiva analitica

Sviluppata all’inizio degli anni ‘80 da Dr. Anthony Ryle a Londra all’interno del Sistema sanitario nazionale, è una terapia breve che, solitamente, prevede 16 sedute ed è applicabile ad una varietà di disturbi mentali.

Viene oggi utilizzata in diversi settori e per diversi tipi di patologia, con un numero sempre maggiore di studi randomizzati controllati di efficacia (Treasure et. al. (1995), Dare et. al. (2001) Chanen et. al. (2008) Fosbury et. al. (1997)¸ Clarke S1et al., 2013).

La terapia cognitiva analitica è influenzata da diverse correnti. In particolare dal cognitivo assorbe il modello misto di elaborazione sequenziale e in parallelo dell’informazione, l’insegnamento al paziente di abilità di automonitoraggio circa il proprio umore, pensieri e sintomi; dalla psicanalisi ha mutuato concetti relativi ai meccanismi di difesa, transfert e controtransfert, i conflitti, le relazioni oggettuali, l’importanza delle esperienze infantili e della loro valenza affettiva come base su cui in età adulta si strutturano i modelli relazionali; da Kelly la teoria dei costrutti personali e le griglie di repertorio; da Vygotskji i concetti di zona di sviluppo prossimale e da Bakhtin il concetto di “mente dialogica”.

Lo sviluppo teorico della terapia cognitiva analitica si dipana lungo due linee di ricerca che hanno guidato il lavoro di Antony Ryle : uno focalizzato sul perchè gli esiti negativi di pensieri e azioni disfunzionali non portino alla revisione da parte dei centri superiori, l’altro utilizza tecniche di investigazione delle relazioni e dei processi del sè. Ryle si chiedeva quindi come mai le persone continuino ad avere pensieri e comportamenti disfunzionali nonostante vedano gli esiti negativi dei propri comportamenti.

Ryle ha così individuato tre tipologie di procedure generali che generano nei pazienti problemi di revisione delle proprie tecniche: trappole che sostenendo le assunzioni negative ne rinforzano gli esiti, intoppi che bloccano i desideri poiché provocano o potrebbero provocare esiti negativi (sarebbe bene ma..), dilemmi, dove le scelte sono polarizzate in due possibilità opposte senza possibili soluzioni intermedie.

Ciò che si propone di fare la terapia cognitiva analitica è riconoscere e modificare le distorsioni imposte da pattern intra ed interpersonali disfunzionali. Attraverso l’utilizzo dello Psychotherapy file si vogliono indagare spiegazioni di sintomi, descrivere le trappole, intoppi e dilemmi negativi degli stati problematici ed aiutare i pazienti ad identificarli. Sulla formazione di questi schemi assumono un ruolo essenziale le esperienze relazionali precoci poichè esse vengono interiorizzate ed il senso di sè è trovato o elicitato nelle risposte reciproche dell’altro.

La terapia cognitiva analitica descrive le internalizzazioni di modelli relazionali precoci in termini di Ruoli Reciproci (RR), per cui le nostre primissime relazioni con le figure di accudimento significative vengono ripetute nelle nostre relazioni mature in modo inconsapevole. Per esempio l’esperienza di essere stati accuditi e amati nell’infanzia, permette di consolidare modelli di relazioni future con se stessi e con gli altri connotate dall’accudire e ricevere accudimento, mentre l’essere stati in una relazione criticante e giudicante, si ripercuote in un atteggiamento di critica e giudizio verso se stessi e gli altri, e al contempo nel percepire se stessi e mettere gli altri nella stessa posizione di esame e disapprovazione.

Nell’adulto i ruoli reciproci predominanti in base alle proprie esperienze relazionali (amato in modo condizionale, criticato, maltrattato) e le procedure collegate a questi ruoli (per es. mi sforzo per essere benvoluto dagli altri, ma poi mi sento usato e torno al RR di amato in modo condizionale), possono essere “interpretati” in momenti diversi, o all’interno della stessa relazione. Questi schemi ripetitivi sono la causa del dolore più profondo poichè restringono la gamma delle nostre scelte e si autoalimentano e la loro identificazione diventa essenziale ( McCormick E.W. 1996 “Change for the Better”Self Help Through Practical Psychotherapy”Cassell) . In questi schemi legati al bambino e all’adulto interni diventa allora importante riconoscere come ognuno di questi ruoli mantenga la nostra primissima esperienza di dolore. Il sé bambino vive questo dolore ogni volta come se fosse la prima ed il sé adulto continua ad infliggere gli stessi schemi limitanti (come tipologia) nelle relazioni, sia a livello interno che esterno.

Nella terapia cognitiva analitica è centrale il concetto di sé. Sulla base genotipica si sviluppano i concetti di relazione reciproca che vengono poi influenzati lungo tutto il percorso di vita dall’ambiente ed in particolare dall’internalizzazione di ruolo reciproco e dalle esperienze socioculturali. Il sé è costituito da più livelli di cui alcuni inconsci ed altri più consci tra cui le funzioni psicologiche quali il pensiero, attenzione, memoria…

Il sé comprende anche le capacità più propriamente meta cognitive, l’empatia, il senso di coerenza e continuità, l’identità e l’abilità relazionale.
In alcuni pazienti è stato notato un contrasto tra i vari stati del sè non meglio spiegati da circostanze esterne. Coloro che hanno avuto esperienze di mancato controllo, abuso, abbandono o rifiuto richiedono l’identificazione di due o più stati del sè. Spesso questi ruoli non sono riconosciuti dal paziente che includono angoscia o basso tono dell’umore e confusi con la sintomatologia depressiva.

 

PSQ: Personality Structure Questionnaire per indagare la dissociazione

Questi stati multipli del sè o dissociazione possono essere identificati attraverso la somministrazione del PSQ (Personality Structure Questionnaire) (Pollock e al. 2001;Ryle 2007; Bedford e al. 2009) . Il PSQ individua una povertà di integrazione della personalità (Pollock, Broadbent, Clarke et al., 2001, Bedford et al., 2009) e la ri-somministrazione durante il percorso terapeutico indica il grado di ristrutturazione in corso.

Una personalità adulta integrata è concettualizzata da un senso di continuità delle esperienze e considerazione di sè e degli altri come complessi e multisfaccettati dotati di qualità sia positive che negative ma tollerabili (McQuitty, 2006). Esperienze di mancata integrazione avvengono quando le prime relazioni non sono solide o addirittura deprivanti/abusanti ed i disturbi di integrazione della personalità sono frequenti tra i disturbi di personalità e nelle diagnosi di disturbo borderline (Adler et al.,2012).

Deficit di integrazione della personalità si concettualizzano nella teoria degli stati multipli del sè, concetto centrale della terapia cognitiva analitica. In presenza della dissociazione il paziente si sente talmente travolto dalla condizione emotiva temporanea da avere una mancata integrazione di tutte le altre parti di sè o stati alternativi potenziali (CAT; Ryle, 1995). La mancata integrazione può essere dovuta ad una flessibilità ristretta ed il disturbo dell’identità può essere descritto come la mancata integrazione di stati contrastanti.

La dissociazione si configura come una distruzione delle funzioni sovrastanti al sé che spesso si manifesta in de-realizzazione, depersonalizzazione e amnesia. Neurologicamente sembra associata all’abnorme attivazione delle regioni frontali e temporali, l’amigdala ed il precuneo. Questo penalizza i processi di attivazione del sé compresa l’identità ma anche le funzioni esecutive superiori che impedirebbero l’integrazione dei vari aspetti del sé nei ruoli reciproci.

Dalenberg et al.(2012) evidenziano che la dissociazione può essere un risvolto traumatico con cui si resta in relazione. La dissociazione può essere vista anche come il tentativo di bloccare una presa di coscienza rispetto a qualcosa che non vogliamo ricordare (Elzinga, Phaf, Ardon, & Van Dyck, 2003).

Ryle (1995) tentò di creare uno strumento utile a misurare la dissociazione attraverso una scala composta da otto item testati in due studi separati in Gran Bretagna: il “Personality Structure Questionnaire (PSQ)” .

Il primo studio di validazione (Pollock, Broadbent, Clarke, Dorrian, & Ryle, 2001) fu effettuato su due campioni clinici (pazienti psichiatrici un gruppo di 20 e uno da 52 ed un campione di persone prese dalla comunità composto da 255 soggetti).

Il secondo studio fu effettuato su un campione più ampio da Bedford et al. (2009) di pazienti in attesa di ricevere un trattamento.

Per la validazione italiana (Berrios, R., Kellett, S., Fiorani, C., & Poggioli, M., 2015) lo studio fu effettuato su un campione di 296 studenti o lavoratori in Italia che hanno compilato il PSQ volontariamente ed autonomamente e che non avevano mai ricevuto terapie, senza disabilità intellettuali, di un’ età compresa tra i 18 ed i 65 anni, con un livello culturale adeguato. Il secondo campione era invece composto da 237 soggetti con esperienza di psicopatologia cronica in trattamento presso il Sistema Sanitario Nazionale italiano con diagnosi effettuata secondo i criteri del DSM IV e classificati secondo quattro assi: depressione-schizofrenia; disturbi di personalità; condizioni mediche acute o disordini fisici; fattori psicosociali o ambientali che acutizzano lo stress.

Ai partecipanti fu richiesto di rispondere ad 8 item bipolari che riflettono il proprio senso di sè e 5 in scala Likert con valori da uno a cinque rispetto a quanto l’item rappresenta il sè.
Alti livelli di PSQ sono correlati a alti livelli di disturbo rivelando possibili presenze di più stati di sè, presenza di umore variabile, e comportamenti rivelanti la perdita di controllo. La validazione per la popolazione italiana ha rilevato che il PSQ ha caratteristiche di transculturalità. (Berrios, R., Kellett, S., Fiorani, C., & Poggioli, M., 2015).

Inoltre lo studio sottolinea come la possibilità di individuare attraverso un test molto breve la presenza di una dissociazione dei molteplici sè, sia ampiamente indicativo per il trattamento da utilizzare (Ryle & Kerr, 2002). Il PSQ può essere usato sia in fase diagnostica che valutativa del funzionamento della terapia anche utilizzando metodologie affini alla terapia cognitiva analitica come la Schema Therapy (Kellett, Bennett, Ryle, & Thake, 2013).

Lo studio di validazione ha quindi evidenziato l’utilità del PSQ come strumento di assessment per l’identificazione della confusione identitaria anche nel campione italiano. La sua semplicità nell’essere compreso e la possibilità valutativa dei tre fattori (diversi stati, diversi umori e perdita del senso di controllo) indicano come può essere usato come strumento di individuazione e diagnostico di differenti aspetti del disturbo dell’identità.

Inoltre il PSQ è un valido contributo rispetto all’identificazione dei bisogni dei pazienti che presentano disturbi dissociativi dell’identità ed il cuore dei loro problemi di disregolazione (Adler et al., 2012).

Il PSQ ha dimostrato di essere una misurazione self-report e analisi fattoriale affidabile utile ad indagare la dissociazione e costrutti relativi ai disturbi dell’identità.

I dati relativi al test pilota della standardizzazione italiana suggeriscono la possibilità di rilevare differenze significative in termini di integrazione della personalità attraverso l’utilizzo del questionario PSQ prima e dopo un trattamento di psicoterapia (Fioranzi e Poggioli, 2011).

Ulteriori studi (in atto) su campioni più ampi si focalizzeranno sull’ item analysis e sull’effetto della terapia covariando per età e per tipologia di patologia.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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