Il disturbo evitante di personalità richiede trattamento psicoterapeutico specifico dal momento che è un disturbo diffuso, con compromissione significativa del funzionamento sintomatico e associato a sintomi psicologici rilevanti. Una comprensione accurata del disturbo evitante di personalità deve includere i problemi di questi pazienti nella consapevolezza, accettazione e regolazione delle emozioni. Questi pazienti sono alessitimici e tendono ad evitare o sopprimere le proprie emozioni. In alternativa si disregolano, sorgente possibile dell’associazione con abuso di sostanze e alcool.
Psicoterapia per il disturbo evitante di personalità
Riguardo alla psicoterapia, la realtà è che gli studi empiricamente a supporto sono pochi. Non c’è evidenza di superiorità di alcun approccio sull’altro (e.g. CBT o psicodinamica), vista anche la carenza delle ricerche di efficacia.
Il paziente con disturbo evitante di personalità ha prima bisogno di capire cosa lo fa soffrire, quali schemi interpersonali lo portano a stare male e ad evitare le situazioni. Poi in un clima di costante e attenta regolazione della relazione terapeutica possono provare ad esporsi. Di solito l’esposizione non ha successo a breve termine e aumenta il dolore psicologico (il che è normale), però grazie all’esposizione aumenta la consapevolezza dei problemi e il clinico può usare la conoscenza in seduta per favorire operazioni di distanza critica. Quando i pazienti hanno acquisito maggiore consapevolezza di essere guidati da schemi interpersonali maladattivi che non sono necessariamente veri possono trovare più semplice esporsi a situazioni sociali temute.Ritengo discutibile il beneficio del training assertivo, almeno in fase precoce. Per esempio in uno studio di Alden del 1989 la parte dello skills training non contribuiva all’efficacia della terapia. La terapia di gruppo in fase iniziale di trattamento può essere impegnativa e non di particolare efficacia, traduco dalla review di Matusievicz e colleghi.
[blockquote style=”1″]non ci sono dati che supportino l’efficacia della CBT breve di gruppo nel ridurre sintomi del disturbo evitante, ansia, depressione e comportamenti sintomatici come pure il funzionamento sociale complessivo. Benché la ristrutturazione cognitiva e gli skills training siano associati con miglioramenti in terapia, questi non sembrano migliorare l’outcome dell’esposizione graduale… molti pazienti continuano a mostrare problemi significativi dopo la CBT di gruppo… trattamenti di più lunga durata potrebbero essere necessari per cambiare pattern cognitivi e comportamentali di lunga durata…[/blockquote]
Aggiungo che la terapia di gruppo è particolarmente difficile per pazienti che hanno difficoltà a decodificare gli stati mentali propri e altrui, e al contrario di quanto suggerito in questo articolo non c’è ragione per considerarla un trattamento di prima scelta. Sull’uso dei farmaci nei disturbi di personalità a parte il borderline non c’è letteratura conclusiva, quindi non c’è motivo di raccomandare gli ansiolitici come trattamento di prima scelta e l’uso degli antidepressivi dovrebbe essere accuratamente valutato.
Studi interessanti vengono dallo Ullevaal project a Oslo e lì si è visto che pazienti con scarse capacità di mentalizzazione potevano rispondere meglio al trattamento ambulatoriale che a quello intensivo di gruppo, probabilmente perché per loro il gruppo poteva essere troppo difficile (Arnevik et al., 2009; Gullestad et al., 2012; 2013).
Per chi volesse una lettura accurata di cosa si sa dell’efficacia del disturbo evitante in terapia suggerisco:
- Alden, L. (1989). Short-Term Structured Treatment of Avoidant Personality Disorder. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 57(6), 756-764.
- Arnevik, E., Wilberg, T., Urnes, O., Johansen, M., Monsen, J. and Karterud, S. 2009. Psychotherapy for personality disorders: Short term day hospital psychotherapy versus outpatient individual therapy – A randomized controlled study. European Psychiatry, 24: 71–78.
- Bartak, A., Spreeuwenberg, M. D., Andrea, H., Holleman, L., Rijnierse, P., Rossum, B. V… Emmelkamp, P. M. G. (2010). Effectiveness of Different Modalities of Psychotherapeutic Treatment for Patients with Cluster C Personality Disorders: Results of a Large Prospective Multicentre Study. Psychotherapy and Psychosomatics, 79, 20-30.
- Emmelkamp, P. M. G., Benner, A., Kuipers, A., Feiertag, G. A., Koster, H. C. & van Apeldoorn, F. J. (2006). Comparison of brief dynamic and cognitive-behavioural therapies in avoidant personality disorder. The British Journal of Psychiatry, 189, 60-64.
- Gullestad, F.S. , Wilberg , T. , Klungsøyr , O. , Johansen , M.S. , Urnes , Ø. , & Karterud , S. (2012). Is treatment in a day hospital step-down program superior to outpatient individual psychotherapy for patients with personality disorders? 36 months follow-up of a randomized clinical trial comparing different treatment modalities . Psychotherapy Research , 22, 426-441.
- Gullestad, F.S., Johansen , M.S. , Høglend, P., Karterud, S. & Wilberg, T. (2013). Mentalization as a moderator of treatment effects: Findings from a randomized clinical trial for personality disorders. Psychotherapy Research.Muran, J. C., Safran, J. D., Waller Samstag, L. & Winston, A. (2005). Evaluating an Alliance-Focused Treatment for Personality Disorders. Psychotherapy: Theory, Research, Practice, Training, 42(4), 532-545.
- Matusiewicz, A. K., Hopwood, C. J., Banducci, A. N., & Lejuez, C. W. (2010). The Effectiveness of Cognitive Behavioral Therapy for Personality Disorders. The Psychiatric Clinics of North America, 33(3), 657–685. doi:10.1016/j.psc.2010.04.007
- Svartberg, M., Stiles, T. & Seltzer, M. H. (2004). Randomized, Controlled Trial of the Effectiveness of Short-Term Dynamic Psychotherapy and Cognitive Therapy for Cluster C Personality Disorders. American Journal of Psychiatry, 161(5), 810-817.