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Le differenze nello stile di attaccamento del disturbo evitante di personalità e della fobia sociale.

Le evidenze suggeriscono che sia la fobia sociale che il disturbo evitante di personalità sarebbero associati a problematiche legate all’attaccamento

Di Dominique De Filippis

Pubblicato il 24 Mag. 2021

Aggiornato il 28 Mag. 2021 12:24

Il disturbo evitante di personalità (Avoidant Personality Disorder – AvPD) e la fobia sociale (Social Phobia – SP) sono due condizioni cliniche che presentano alcune caratteristiche comuni (Cox et al., 2009).

 

All’oggi non è ancora chiaro se i due disturbi debbano essere considerati condizioni distinte o manifestazioni dello stesso disturbo d’ansia sociale (Social Anxiety Disorder – SAD), aventi differenti livelli di gravità (Lampe & Sunderland, 2015).

Difatti, sia coloro i quali soffrono di disturbo evitante di personalità che i pazienti con fobia sociale presentano differenti problematiche dal punto di vista interpersonale (Cuming & Rapee, 2010).

Gli individui affetti da questi disturbi hanno meno probabilità di sviluppare relazioni sentimentali durature (Sparrevohn & Rapee, 2009) e presentano uno scarso supporto sociale e una minor espressione emotiva nelle proprie relazioni (Eikenaes et al., 2013).

Tali problematiche legate all’intimità potrebbero essere riconducibili a difficoltà legate all’attaccamento e potrebbero essere più pronunciate per il disturbo evitante di personalità.

Infatti, mentre la fobia sociale si manifesta come una paura dell’umiliazione e dell’imbarazzo generati dall’esposizione a persone non familiari, si è soliti definire il disturbo evitante più in termini esplicitamente legati all’attaccamento. Nello specifico, esso viene associato a un senso negativo di sé, ad un contenimento emotivo all’interno delle relazioni intime, compresa l’intimità sessuale, ed a una paura del rifiuto e dell’umiliazione (American Psychiatric Association, 2013).

Quando si utilizza il termine attaccamento si fa riferimento allo stretto legame emotivo esistente tra il bambino e chi lo accudisce, il quale dovrebbe rappresentare una base sicura per l’infante, promuovendo il suo sviluppo a livello della regolazione degli affetti, dell’autonomia e della fiducia in sé e negli altri.

Sulla base delle prime esperienze di attaccamento, il bambino sviluppa rappresentazioni mentali di sé e degli altri e di sé in relazione agli altri, i cosiddetti modelli operativi interni, che successivamente influenzano la capacità di saper stabilire relazioni strette in età adulta (Bowlby, 1969).

Naturalmente, le relazioni sentimentali degli adulti differiscono dai legami tra genitori e figli.

L’attaccamento degli adulti è stato studiato alla luce di due tradizioni di ricerca: l’approccio evolutivo (Ainsworth et al., 1978) e l’approccio sociale (Hazan & Shaver, 1994).

Il questionario Experience in Close Relationships (ECR; Brennan, Clark, & Shaver, 1998) appartiene al secondo filone di ricerca e, all’oggi, è ampiamente utilizzato.

Ad ogni modo, entrambi gli approcci hanno identificato due dimensioni fondamentali dell’attaccamento degli adulti: ansia ed evitamento, che combaciano con le due sottoscale componenti l’ECR.

Un’elevata ansia di attaccamento comporta la paura dell’abbandono, un eccessivo bisogno di approvazione da parte degli altri e l’angoscia, che tende a manifestarsi quando il proprio partner non è disponibile. Al contrario, un elevato attaccamento evitante comporta la paura della dipendenza interpersonale, la preferenza per l’autosufficienza e la riluttanza a rivelare sé stessi (Wei et al., 2007).

Nel complesso, pochi studi hanno esaminato gli stili di attaccamento nei soggetti con disturbo evitante di personalità e fobia sociale e, attualmente, le evidenze suggeriscono che entrambe le diagnosi potrebbero essere associate a problematiche legate all’attaccamento.

Dunque, uno studio preso in esame ha confrontato gli stili di attaccamento in pazienti con disturbo evitante di personalità e fobia sociale, al fine di esaminare le somiglianze e le differenze tra i suddetti. Gli autori hanno applicato l’ECR per indagare l’ansia e l’evitamento, così come i sottofattori suggeriti dal questionario: evitamento della vicinanza, scomodità nell’apertura, frustrazione legata alla separazione, ansia da abbandono e desiderio frenetico della vicinanza.

Allo studio hanno preso parte 90 pazienti che sono stati divisi in due gruppi sulla base della diagnosi ricevuta. Nello specifico, il primo gruppo era costituito da soggetti con disturbo evitante di personalità, con o senza fobia sociale, mentre, il secondo gruppo era composto da individui affetti unicamente da fobia sociale. I ricercatori hanno ipotizzato che il gruppo affetto da disturbo evitante di personalità avrebbe avuto punteggi più alti in entrambe le scale di ansia ed evitamento rispetto al gruppo con fobia sociale e, ulteriormente, che il gruppo con disturbo evitante di personalità avrebbe avuto punteggi più elevati per quanto concerne l’ansia dell’abbandono.

I risultati hanno mostrato che entrambi i gruppi diagnostici avevano alti livelli di ansia di attaccamento e di evitamento. Come ipotizzato, il gruppo disturbo evitante di personalità ha ottenuto punteggi più elevati nella dimensione dell’ansia rispetto al gruppo Fobia Sociale. Quanto detto è in linea con studi precedenti che mostrano che le relazioni strette e l’intimità sono più problematiche per i pazienti con disturbo evitante di personalità rispetto a quelli con fobia sociale (Eikenaes et al., 2013).

Contrariamente con quanto ipotizzato, invece, si è evinto che i due gruppi non differivano rispetto alla dimensione dell’evitamento. Questo risultato suggerisce che le aspettative negative nei confronti di persone non familiari possono riguardare anche le relazioni strette.

Le differenze tra i gruppi diagnostici erano più evidenti per quanto concerne i sottofattori dell’ansia per l’abbandono e la frustrazione legata alla separazione, rispetto ai quali il gruppo disturbo evitante di personalità aveva punteggi più alti rispetto al gruppo con fobia sociale. Dunque, l’ansia dell’abbandono sembra essere un aspetto fondamentale nella patologia del disturbo evitante di personalità, nonostante non rientri tra gli attuali criteri diagnostici esistenti, ma giustifica il contenimento attuato nelle relazioni intime (American Psychiatric Association, 1994).

Nella pratica clinica, vi sono spesso pazienti con disturbo evitante di personalità che affermano “se qualcuno sapesse chi sono veramente, mi abbandonerebbe”.

Questi risultati indicano la presenza di un conflitto emotivo interno nei pazienti con disturbo evitante di personalità, generato dal desiderio di attaccamento, da un lato, e l’elevata ansia di attaccamento, dall’altro, che comporta un evitamento dell’intimità, come difesa contro gli affetti potenzialmente dolorosi.

I risultati di questo studio indicano che i pazienti con disturbo evitante di personalità, nonostante il loro silenzio, la guardia emotiva e l’evitamento comportamentale manifestati nei contesti sociali, possono desiderare una relazione di fiducia e accettazione.

Dunque, anche in terapia, qualora il terapeuta dovesse sentirsi rifiutato o confuso dalle strategie di evitamento del paziente, dovrebbe essere più consapevole del fatto che i comportamenti manifestati da questi pazienti, altro non sono che strategie di difesa, volte a regolare una forte e intollerabile ansia di attaccamento. In questo modo, i drop-out potrebbero suscitare empatia, piuttosto che irritazione e, così facendo, i pazienti potrebbero sentirsi più compresi.

Concludendo, i presenti risultati indicano la necessità di valutare l’attaccamento nei singoli pazienti, affinché anche il terapeuta possa sentirsi più in sintonia con loro.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Ainsworth, M. D. S., Blehar, M. C., Waters, E., & Wall, S. (1978). Patterns of attachment: A psychological study of the strange situation. Hillsdale, NJ: Lawrence Erlbaum.
  • American Psychiatric Association. (1994). Diagnostic and statistical manual of mental disorders: DSM-IV. Washington, DC: Author.
  • American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders: DSM-5. Washington, DC: Author.
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  • Hazan, C., & Shaver, P. R. (1994). Attachment as an organizational framework for research on close relationships. Psychological Inquiry, 5(1), 1–22. doi:10.1207/s15327965pli0501_1
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  • Wei, M., Russell, D. W., Mallinckrodt, B., & Vogel, D. L. (2007). The Experiences in Close Relationship Scale (ECR)-short form: Reliability, validity, and factor structure. Journal of Personality Assessment, 88, 187–204.
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