Il disturbo evitante di personalità (DEP) e il disturbo ossessivo compulsivo di personalità (DOCP) condividono alcuni aspetti del funzionamento interpersonale.
In entrambi i casi i pazienti si mostrano poco assertivi, sottomessi ed evitano le relazioni con gli altri. Proprio per questo Steenkamp et al., (2015) parla di “sottotipo evitante” di DOCP. Eppure a volte le reazioni di alcuni pazienti agli eventi sono tutt’altro che pacifiche e distaccate e questo ha spinto ad approfondire la conoscenza dei profili interni del DOCP. Spulciando la letteratura ritroviamo studi in cui gli autori hanno distinto i pazienti DOCP in due categorie: “aggressivo-rigido” e “depressivo-perfezionista” (Ansell et al., 2010) o “dominanti-ostili” e “sottomessi” (Cain et al., 2015).
Notiamo, poi, un lavoro recentissimo di Solomonov et al., (2020) nel quale sono stati confrontati 64 pazienti con disturbo evitante di personalità (DEP) e 43 con disturbo ossessivo compulsivo di personalità (DOCP). Scopo dello studio è stato quello di comprendere meglio il profilo interpersonale dei pazienti. I partecipanti hanno compilato l’inventario dei problemi interpersonali (IIP-64), un questionario autovalutativo che misura l’intensità delle difficoltà relazionali che, si sa, in queste due categorie diagnostiche, essere stabili nel tempo (Skodol, 2018). I risultati mostrano che tutti i pazienti provano maggiore disagio interpersonale rispetto al gruppo di controllo e questo è in linea con studi precedenti che sostengono la centralità delle difficoltà nella relazione con gli altri in entrambi questi disturbi (Frandsen et al., 2019; Girard et al., 2017). Per quanto riguarda l’analisi dei profili interpersonali specifici, i pazienti con DEP sono risultati contraddistinti da un unico profilo, ben chiaro e identificabile, caratterizzato dalla sottomissione, dall’evitamento delle relazioni, da emozioni di ansia e vergogna nei contesti sociali e dalla paura del rifiuto, sempre percepito come dietro l’angolo. A differenza della stabilità e omogeneità degli evitanti, i pazienti con DOCP funzionano in modo più variabile ed eterogeno e sono più complessi. Da un lato risultano distaccati e introversi, hanno la tendenza all’isolamento, si deprimono, accondiscendendo e compiacendo passivamente, dall’altro provano forti emozioni negative accompagnati da comportamenti aggressivi, punitivi, vendicativi e di controllo relazionale, diventando prepotenti, ostili, dominanti.
Riflettendo in modo più ampio, sappiamo bene che la principale ricaduta dei disturbi di personalità è nelle relazioni interpersonali e che queste ultime sono a loro volta collegate alla presenza di sintomi psichiatrici, ad un generale disagio psicologico e, non per ultimo, alla scarsa aderenza al trattamento (Wilson, Stroud, & Durbin, 2017). Per questo motivo diventa importante conoscere le caratteristiche di uno specifico funzionamento per tenerne in considerazione nell’ inquadramento del caso e per pianificare un trattamento efficace.
La terapia e la relazione che si crea tra paziente e psicoterapeuta sono un terreno fertile per notare il funzionamento interpersonale dei pazienti. Portiamo, allora, l’attenzione alla reazione di un paziente con DEP e di due pazienti con DOCP, appartenenti, quindi, alle stesse categorie diagnostiche dello studio appena citato, ad uno stesso evento. Un mercoledì di luglio per una di noi (VV), infatti, c’è stata la necessità di rimodellare gli appuntamenti della giornata.
Davide, con diagnosi di DEP, ha poche relazioni, si dedica solo ad attività solitarie e, proprio per questo, si abbatte di frequente sentendosi depresso. Racconta che quando prova ad interagire con i colleghi d’ufficio, tende ad avere un atteggiamento accondiscendente e remissivo che gli garantisce di restare sempre nell’ombra. Anche con la terapeuta si comporta allo stesso modo e di fronte alla richiesta di spostare una seduta, Davide non batte ciglio e accetta l’alternativa di giorno e orario. A Marco, invece, è toccato venire due ore prima del solito orario. Per Marco è importante che le cose vadano in un certo modo, ha un giudice interno molto rigoroso e teme gli imprevisti che possano stravolgere le sue minuziose programmazioni. Arriva, alle sedute, sempre con notevole anticipo e manda spesso messaggi di conferma per essere certo dell’appuntamento. Non a caso, ha una diagnosi di DOCP. Marco accetta il nuovo orario con un messaggio stringato e non appena entra nella stanza chiede spiegazioni con fare pacato. Eppure, si legge un velo di rabbia in volto e la postura è decisamente rigida ma riferisce che non ha niente a che vedere con la seduta anticipata. Di fronte alla richiesta di capire meglio come si stava sentendo si irrigidisce ancor di più e ammette che, effettivamente, era stato difficile dover accettare quello spostamento, che si è sentito trattato ingiustamente.
Sandra, anch’essa con DOCP, mostra, proprio in quella occasione, un aspetto fino a quel momento mai venuto a galla: risponde al messaggio della terapeuta con parole aggressive ed umilianti, accusandola di essere poco attenta, poco organizzata e, infine, poco professionale. Inoltre, l’attacca, sottolineando che avrebbe dovuto sapere quanto per lei fosse “davvero troppo difficile” rivoluzionare la sua agenda. Alla fine, non accetta e disdice la seduta settimanale.
Cosa ha osservato la terapeuta? Reazioni diverse di Davide, Marco e Sandra. Grazie a queste si è potuta raffinare la concettualizzazione condivisa del funzionamento che nella terapia metacognitiva interpersonale (Dimaggio et al., 2013; 2019) è fondamentale per la pianificazione del trattamento. Di fianco all’identificazione dello schema si sono potute rintracciare le strategie di coping (Dimaggio et al., 2013; 2019) che i pazienti hanno imparato a mettere in atto in risposta a determinati eventi e all’attivazione dell’immagine del sé negativa, sofferente, dolorosa, vulnerabile.
Infatti Davide a fronte del wish di attaccamento si è sentito di scarso valore, ha percepito la terapeuta distante ma, per paura dell’abbandono, ha agito la sottomissione, in linea con il profilo tipico dei pazienti evitanti. Marco, in pieno sistema motivazionale di inclusione, ha letto la terapeuta lontana e disinteressata, si è attivata l’immagine negativa in cui si vede invisibile per l’altro e non ha potuto fare a meno di rispondere con la sua strategia di fronteggiamento preferita, oscillando tra uno stato di rivalsa ed uno di sottomissione. Infine, Sandra, mossa dal desiderio di apprezzamento ma sentendosi poco interessante, ha inglobato la terapeuta nel suo schema, percependola tirannica e manipolativa ed ha agito l’aggressività e la vendicatività. Marco e Sandra rappresentano a pieno i due tipi di DOCP descritti nello studio di Solomonov et al., (2020).
La terapeuta, quindi, in modi diversi a seconda del paziente, ha: riconosciuto la frattura che la richiesta dello spostamento della seduta ha generato nella relazione; ha attuato delle operazioni di disciplina interiore per regolare il suo stato interno e ha metacomunicato con i pazienti; ha riparato l’alleanza aiutando i pazienti ad allontanarsi dalla visione del terapeuta schema-dipendente e ha apportato ulteriori informazioni nelle formulazioni del caso. Certamente tutte queste operazioni hanno fatto sì che i pazienti accedessero ad una più ampia consapevolezza del proprio funzionamento interpersonale e proseguissero la terapia senza subire l’impatto delle loro strategie di fronteggiamento sulla relazione, aderendo così meglio al trattamento.