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Psicoterapia: Il Disputing delle Idee Ossessive e delle Compulsioni

Idee ossessive: percepite anche come incoercibili dai pazienti, i quali non riescono, a distogliere la loro mente da tali pensieri.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 12 Nov. 2012

Aggiornato il 11 Apr. 2018 09:30

 

MONOGRAFIA: IL DISPUTING IN PSICOTERAPIA   LEGGI: INTRODUZIONE AL DISPUTING DEI DISTURBI D’ANSIA

Il disputing delle idee ossessive e delle compulsioni. - Immagine: © fotocomo - Fotolia.com

Pare che gli ossessivi si considerino responsabili di qualsiasi evento negativo sul quale abbiano anche un remotissimo potere d’influenza sia nel determinarlo che nel prevenirlo.

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La letteratura scientifica ci dice che il trattamento del disturbo ossessivo compulsivo deve prevedere una significativa componente comportamentale, ovvero di esposizione prevenzione della risposta (exposure and response prevention, ERP).

Il titolo indica due interventi che corrispondono ai due elementi della psicopatologia ossessiva. Il primo elemento sono le idee ossessive vere e proprie, pensieri e idee vissute dalla persona affetta da questo disturbo come estranee e intrusive, il che vuol dire che i pazienti giudicano i contenuti delle ossessioni senza senso e totalmente estranei al loro sistema di valori e ai loro princìpi morali.Queste idee sono percepite anche come incoercibili dai pazienti, i quali non riescono, malgrado si sforzino, a distogliere la loro mente da tali pensieri, che si impongono nella loro mente contro la loro volontà e senza alcuna possibilità di controllo. Infine queste idee ritornano continuamente ad occupare lo scenario mentale del paziente (Westphal, 1878).

Accanto alle idee ossessive troviamo i comportamenti compulsivi, comportamenti ripetitivi o azioni mentali che il paziente deve obbligatoriamente mettere in atto in risposta ad un’ossessione, seguendo regole rigide, allo scopo di prevenire o ridurre il disagio o alcuni eventi o situazioni temuti; i comportamenti o le azioni mentali sono eccessivi o non sono collegati in modo realistico a ciò che devono neutralizzare o prevenire.

Storie di Terapie #5 - Simone l'Ossessivo. - Immagine: © Oleksii Sergieiev - Fotolia.com
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Torniamo ora ai due elementi dell’ERP. Il primo elemento è l’esposizione alla situazione temuta rappresentata nell’idea ossessiva. Il secondo elemento è la prevenzione della risposta, e non è altro che l’astensione dal comportamento compulsivo. Appare chiaro però come esposizione e prevenzione della risposta siano strettamente collegati. Non ci può essere esposizione senza prevenzione della risposta, infatti.

Le compulsioni hanno proprio la funzione illusoria di impedire al paziente ossessivo di andare incontro allo scenario temuto. Alcune compulsioni hanno un legame sensato e pratico con le loro ossessioni: ad esempio, la compulsione di lavaggio evita che alla persona capiti, come teme, di contaminarsi e di sporcarsi. Molti rituali agiscono per invece grazie alla logica del pensiero magico: compio una certa sequenza di comportamenti perché essa mi permetterebbe di non ammalarmi di una certa malattia o di non compiere una certa azione malvagia. La situazione temuta può essere un danno concreto (l’esposizione a un agente contaminante, sporco) oppure, secondo la teoria cognitiva clinica di Paul Salkovskis, una credenza cognitiva di responsabilità esagerata: inflated responsibility.

Pare quindi che gli ossessivi si considerino responsabili di qualsiasi evento negativo sul quale abbiano anche un remotissimo potere d’influenza sia nel determinarlo che nel prevenirlo (Salkovskis, 1996; Salkovskis et al., 1997). Siccome le connessioni tra gli eventi se si vuole le si possono sempre trovare, per gli ossessivi diventa praticamente sempre possibile scoprire una spiegazione anche remotissima, a volte anche bizzarra, che riguardi la relazione tra sé e l’evento.

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L’esagerato senso di responsabilità non riguarda solo le azioni ma anche le eventuali omissioni, per cui non sforzarsi al massimo per prevenire un certo evento equivale a esserne ugualmente responsabili per omissione. Il profondo senso di responsabilità è accompagnato dal timore per una colpa che l’ossessivo immagina talmente grave da non essere affrontabile e sopportabile, se l’evento temuto si dovesse verificare. 

 È chiaro allora che qui è posizionato il primo aggancio per l’intervento più puramente cognitivo, ovvero il disputing delle idee ossessive. La domanda d’esordio del disputing

T.: Qual è il problema di cui vogliamo parlare?

Si adatta sia alle idee ossessive che alla compulsioni. Naturalmente nel primo caso la catena di pensieri negativi va verso la terribilizzazione.

P.: Vorrei parlare di certe idee che mi vengono in mente

T.: Quali, in particolare?

P.: Per esempio, cammino insieme a mio padre e mi viene in mente che potrei colpirlo.

Oppure:

P.: Ho mio figlio piccolo in braccio e mi viene in mente che potrei sbatterlo contro il muro

In questi casi l’evento negativo è chiaro. Il processo cognitivo che lo sostiene è la cosiddetta fusione pensiero-azione. Rachman (1993) è l’autore che ha sottolineato l’importanza di questo elemento. In questa modalità di pensiero il fatto di pensare qualcosa significa automaticamente farla, oppure assumersene la responsabilità. Come nell’esempio, pensare a una possibile disgrazia capitata al proprio figlio significa aumentare le probabilità che questo accada o meglio essere in parte responsabile del fatto che questo evento possa realmente accadere poiché, avendolo pensato, tale evento diventa più probabile di quanto sarebbe potuto essere se non fosse stato mai pensato. Analogamente l’aver pensato di aver investito qualcuno mentre si guida l’auto è quasi equivalente ad averlo realmente fatto. Ciò rappresenta una tipica credenza dei soggetti ossessivi  convinti che: “pensare una cosa equivale a farla”. 

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Nei casi del timore di avere pensieri blasfemi o di pensare bestemmie la qualità tutta mentale delle preoccupazioni dell’ossessivo è ancora più evidente. Una bestemmia mentale, più che un timore di qualcosa di negativo, è in sé qualcosa di negativo da evitare. Di qui la pretesa  di assoluto controllo dei propri pensieri ed il tentativo irrealistico di non pensare quelli cattivi. Per gli ossessivi pensare un pensiero cattivo comporta la stessa responsabilità dal punto di vista morale di aver compiuto l’azione o di non aver fatto di tutto per evitare l’evento che ne conseguirebbe. La fusione pensiero-azione rappresenta una estensione del pensiero magico. 

La risposta del paziente ossessivo a cosa potrebbe accadere può essere quindi immediata. Il problema non è tanto che potrebbe accadere qualcosa. Il fatto di avere pensato già prova che il fatto accadrà.

T.: Quindi il suo problema è che potrebbe fare del male al suo bambino. Ma come fa a dire che lo farà.

P.: Beh, l’ho pensato e quindi potrei farlo.

Applicando l’equazione di Salkovskis, i parametri da valutare sono la tollerabilità del fatto e la reale probabilità. È chiaro che non è raccomandabile pensare di tollerare di fare del male al proprio bambino. Anzi, occorre essere cauti. Il paziente ossessivo, infatti, può raccontare di avere già tentato di mettere alla prova quanto una cosa sia probabile che avvenga, spesso in modi bizzarri.

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T.: Capisco che avere il pensiero di fare del male al proprio bambino è sgradevole. Però pensarlo non significa farlo davvero e tantomeno volerlo fare.

P.: Beh, l’ho pensato…

 T.: D’accordo, lo ha pensato. Ma ha anche pensato di volerlo fare? Ci pensi bene: pensare di fare una cosa è lo stesso che pensare di volerla fare?

Insistendo su questa strada occorre mettersi d’accordo che ciò che è da temere è qualcosa di solo mentale.

T.: Il suo problema non è fare del male, ma pensare di fare del male. Su questo occorre lavorare.

Ma prima di arrivare qui quasi sempre occorre liberarsi delle compulsioni. Occorre disputarle, ovvero mettere in discussione l’utilità (il paziente ossessivo pensa che seguendole terrà a bada i suoi pensieri ossessivi) e poi dichiarare con chiarezza che solo l’astensione dalle compuslioni fa andare avanti il trattamento.

T.: A che le serve toccare in sequenza questi oggetti? 

Spesso la compulsione è talmente automatizzata che il paziente ha letteralmente dimenticato perché la fa.

P.: Non saprei, devo farlo e basta. Se non lo faccio sono a disagio.

 In questi casi si può chiedere cosa accadrebbe se non lo facesse.

T: Per comprendere perché facciamo qualcosa possiamo pensare a che le serve. Nel caso di un’emozione d’ansia, cosa vuole evitare che accada facendolo.

In alcuni casi il paziente sostiene che ha la sensazione che facendolo prova sollievo e che i suoi timori non si avvereranno.

P.: Non so, mi sembra che se lo faccio non avverrà nulla di male a chi voglio bene.

T.: Ma che prove ha che sia proprio così?

P.: Non so. Ma non voglio correre il rischio.

Oppure più semplicemente:

P.: non so cosa temo, ma so che se lo faccio mi sento tranquillo. Devo farlo.

Più che rassicurare il paziente che non accadrà nulla, occorre convincerlo che conviene privarvi (??) per poter stare meglio.

T.: Capisco. Tuttavia a questo punto del trattamento è conveniente che lei si astenga dalle sue ossessioni. La terapia prevede proprio che lei apprenda a sopportare il malessere che si realizza. 

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Insomma, in tutti i tre casi (ovvero, che il collegamento tra compulsioni e ossessioni sia 1) nullo, ovvero semplicemente sto bene se la faccio; 2) magico, ovvero se lo faccio non accade; 3) o –a suo modo- logico, ovvero mi lavo le mani ed elimino il rischio di contaminarmi) si arriva a un punto in cui si prescrive l’astensione dalla compulsione e si disputa la base emotiva dei sintomi, sia compulsivo che ossessivo: la convinzione di non poter tollerare il malessere legato all’ossessione e all’astensione dalla compulsione. 

Il passaggio fondamentale è sempre identico: sfrondare tutte le possibilità concrete negative impossibili o almeno altamente improbabili, e poi accompagnare il paziente verso l’accettazione di un livello di frustrazione o di dolore morale significativo, anche intenso, ma non mai veramente insopportabile. Si persegue la riformulazione in termini sopportabili della sofferenza, la trasformazione dell’etichetta di “evento (o idea, nel caso dell’ossessivo) catastrofico insopportabile” in “evento negativo ma sopportabile”.

MONOGRAFIA: IL DISPUTING IN PSICOTERAPIA   LEGGI: INTRODUZIONE AL DISPUTING DEI DISTURBI D’ANSIA

 

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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