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All’origine dell’ Omofobia: Contesto Culturale e Attrazione Repressa.

– Rassegna Stampa – 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheLa teoria che dietro all’omofobia possa celarsi una particolare attrazione, seppur repressa, proprio per persone dello stesso sesso è supportata da uno studio pubblicato su Journal of Personality and Social Psychology.

Secondo i ricercatori gli individui omofobici vivrebbero un forte conflitto interno tra la propria attrazione verso persone dello stesso sesso e l’imperativo a reprimerla a causa di un educazione familiare repressiva e autoritaria in questo senso; nel momento in cui queste angosciose preferenze e tendenze vengono riconosciute nel confronto con gay e lesbiche tale conflitto verrebbe esternalizzato, prendendo la forma di paura intensa e viscerale degli omosessuali, atteggiamenti omofobi e discriminatori, ostilità verso i gay e anche nell’adozione di idee politiche anti-gay.

Omofobia - Immagine: © jjayo - Fotolia.com -
Articolo consigliato: Omofobia: paura del diverso o paura di se stessi?

Lo studio comprende quattro esperimenti separati, condotti negli Stati Uniti e in Germania, e ogni studio coinvolge una media di 160 studenti universitari. Sono state messe a confronto misure implicite ed esplicite di orientamento sessuale e omofobia e il tipo di atteggiamento genitoriale lungo un continuum da democratico ad autoritario.

I risultati forniscono nuove prove empiriche a sostegno della teoria psicoanalitica che la paura, l’ansia e l’avversione che alcune persone, apparentemente eterosessuali, hanno verso i gay e le lesbiche possano svilupparsi proprio dai loro desideri repressi; i risultati supportano anche la più moderna teoria dell’auto-determinazione, sviluppata da Ryan e Edward Deci alla University of Rochester, che collega lo stile genitoriale controllante alla scarsa accettazione di sé e alla difficoltà di valutare se stessi in modo incondizionato.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Un giorno di ordinaria follia #2 – Gli Alieni al CSM -Psichiatria-

Elena Ponzio.

PSICHIATRIA PUBBLICA: LETTERE DAL FRONTE.  
Naturalmente tutti i dati ed i nomi citati in queste lettere sono stati inventati e le storie raccontate sono ispirate alla realtà ed alla vita in un csm, ma per doverose ragioni di privacy  sono state amalgamate tra loro per renderle irriconoscibili. Ciò nonostante, a volte la realtà supera la fantasia! Buona lettura.

 

Un Giorno di Ordinaria Follia

  #2 – Gli Alieni al CSM  

 

Un giorno di ordinaria follia #2 – Gli Alieni al CSM -Psichiatria- Immagine: © Anatoly Maslennikov - Fotolia.comCi sono alcuni volti che sono di casa. Ci sono alcune persone che a forza di entrare e uscire e poi rientrare giorno dopo giorno in ambulatorio diventano così familiari che certe volte ti sembrano più vicini dei tuoi vicini, più intimi dei cugini, quasi qualcuno di famiglia e devi fare attenzione a non lasciarti troppo andare.

Per chi non è mai entrato in un Centro di Salute Mentale (Centro Psicosociale etc etc secondo la regione) sarà forse un po’ difficile immaginare questi luoghi strani, difficili, eterogeni ma anche molto “tipicamente ASL”. La location tanto per incominciare, è sempre un po’ casuale… e il mobilio di fortuna, ma le storie e le vite che si incontrano e si incrociano in quei corridoi stretti e ingombri di scartoffie sono davvero affascinanti per chi, incuriosito, ha voglia di starle a guardare.

Un Giorno di Ordinaria Follia #1 - Posso bere la Candeggina? - Psichiatria - Immagine: © Mario - Fotolia.com
Articolo consigliato: Un Giorno di Ordinaria Follia #1 – Posso bere la Candeggina?

C’era un signore, Giovanni, che da molti anni frequentava la psichiatria in tutte le sue forme. Un signore di una dignità ammirevole, molto compreso del suo problema e della sua peculiarità che attribuiva a contatti ravvicinati con gli extraterrestri. C’erano state molte ipotesi dei medici sulla sua patologia e c’erano anche state molte ipotesi di Giovanni su di sé e su ciò che gli alieni gli avevano fatto l’onore di fargli. Poi come a volte capita ci si era accordati per un compromesso. Psicosi per i primi, fantamistero per il secondo. Alle visite partecipava e partecipa in modo abbastanza preciso e regolare io credo per una certa curiosità e gratificazione che gli ispirano le nostre teorie e il nostro interesse per i suoi discorsi.

Un giorno Giovanni molto serio aprì le braccia e portando con gesto ampio, lento e ripetitivo del braccio un dito alla tempia disse: “C’è una vocina che mi dice che gli extraterrestri non esistono” – sorpresa poi rapido e incredulo sollievo del medico –“…e..” – altro braccio altro dito, altro ampio movimento dito tempia – “c’è un’altra vocina che mi dice che gli extraterrestri esistono…!!!”. Dei due il più veloce a riaversi e a riprendere il discorso fu Giovanni:

“Dottoressa questi signori sanno tante cose su di me, sanno così tante cose e così precise che ho pensato che nessun altro a parte me potrebbe saperle e quindi quegli alieni sono io, sono io il mio alieno”.

Poi tutto è ripartito come prima. Però c’era una nuova complicità. Per un istante avevamo trovato un punto di incontro esplicito al di fuori della metafora: “sono io e nonostante ciò non sono io, il mio onore e il mio onere, la mia vita e la mia malattia”. Per un momento insomma non era stato necessario ricorrere a alieni, strane locuzioni, persino assonanze e insalate di parole, nei momenti più bui, per parlare di sé.

Ogni settimana Giovanni viene a trovarmi, parliamo di alieni spesso senza nominarli, e a forza di farlo sembra proprio una metafora, un simbolo cui sia io sia lui attribuiamo significati molto simili, uno specchio attraverso cui è possibile comunicare emozioni stati d’animo e necessità altrimenti inesprimibili.

Un appuntamento che se viene annullato, mi manca.

Stress: Un aiuto dallo Yoga

 

Considerare l’individuo come un’unità mente-corpo diventa sempre più importante per una presa in carico globale del paziente.

Stress: Un aiuto dallo Yoga - Immagine: © antoshkaforever - Fotolia.comAd oggi sono numerosi gli studi che integrano approcci corporei ad approcci più prettamente verbali, tradizione occidentale e tradizione orientale, vedendo il processo di cura come un processo sinergico. Un gruppo di ricercatori della Boston University School of Medicine, del New York Medical College, e del Columbia College of Physicians and Surgeons, ha condotto una review sui benefici fisici e psicologici del praticare Yoga. I risultati di questo interessante studio sono stati pubblicati sulla versione online del Medical Hypotheses.

La review ruota attorno al ruolo che lo stress ha nel comportare un rischio per le malattie cardiovascolari, per l’ipertensione e per essere la causa di dolori muscolo scheletrici e cefalea muscolo-tensiva. Inoltre il riflettore di questo studio è puntato su quanto lo stress sia una componente importante nello sviluppo di una sintomatologia ansiosa e depressiva. L’ipotesi più accreditata è che lo stress causi uno squilibrio del sistema nervoso autonomo e una ridotta attività del neurotrasmettitore inibitorio GABA. Una bassa attività del GABA ha ripercussioni sull’individuo nella sua totalità essendo riscontrata in pazienti che presentano problematiche di dolore cronico, sintomatologia ansiosa, sintomi depressivi, disturbo post- traumatico, problematiche gastrointestinali…

Schiena dritta! Come la Postura (nostra e degli altri) influenza la soglia del dolore. - Immagine: © Nelli Shuyskaya - Fotolia.com
Schiena dritta! Come la Postura (nostra e degli altri) influenza la soglia del dolore

Si ritiene che lo yoga abbia un effetto benefico nel migliorare gli squilibri del sistema nervoso dovuti allo stress, questo spiegherebbe da un punto di vista neurofisiologico la sensazione di benessere che molti pazienti sperimentano dopo aver praticato yoga.

Un precedente studio considerato nella review mostrava come fossero presenti differenze significative nell’attività del GABA tra due gruppi di soggetti dei quali uno aveva ripetutamente praticato delle sedute di yoga e l’altro si era dedicato a frequenti passeggiate per un periodo di dodici settimane.Nel gruppo dei soggetti che avevano praticato yoga si registrava un aumentare dell’attività del GABA con un conseguente miglioramento della sintomatologia ansiosa e una diminuzione della percezione del dolore in alcuni pazienti che lamentavano in particolare dolori lombari, rispetto al gruppo che aveva solamente passeggiato.

Questo di fatto porta all’idea di lavorare in sinergia e di inserire nei protocolli di intervento terapeutico “tradizionali” alcune tecniche mutuate dallo yoga e dalle discipline orientali. In particolare esistono delle specifiche positure (asana) che sembrano essere maggiormente efficaci nel contrastare, affiancate ad un corretto approccio terapeutico, e fronteggiare sintomi ansiosi e depressivi.

BALASANA
Per iniziare questa posizione occorre inginocchiarsi a terra con gli alluci che si toccano e i talloni divaricati. Quindi ci si siede sui talloni, si appoggiano le mani a terra e si flette il busto. La posizione di arrivo prevede la fronte appoggiata direttamente al pavimento e le braccia distese lungo il busto con il palmo rivolto verso l’alto.

URDHVA DHANURASANA
La posizione dell’arco, forse una delle più conosciute dello yoga, ma anche una delle più difficili. Si parte distesi a terra in posizione supina si piegano le ginocchia tenendo i piedi appoggiati sul pavimento posizionando i talloni il più vicino possibile ai glutei. I palmi sono sul pavimento accanto alla testa con gli avambracci relativamente perpendicolari al pavimento. Premendo fortemente dai piedi ci si solleva dal pavimento spingendo il cocige verso l’alto. Quindi premendo fortemente con le mani si solleva la testa dal pavimento e distendete le braccia.

SIRSASANA
La base di questa asana è formata dagli avambracci che formano un triangolo tra i due gomiti e le mani unite con le dita intrecciate. La nuca poggia contro il palmo delle mani. Una volta che si è stabilita la base, sollevare il bacino e con piccoli passi avanzare finché le gambe non si sentiranno leggere e libere di staccarsi da terra. Formare una linea dritta con il corpo, perpendicolare a terra.


Perché non provare?

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

 

I benefici psicologici dello yoga negli studenti

– Rassegna Stampa –  

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheLa pratica dello yoga avrebbe effetti psicologici positivi negli studenti delle scuole secondarie di secondo grado (le cosiddette “scuole superiori”) secondo uno studio pilota della Harvard Medical School di Boston e che verrà pubblicato in Aprile su Journal of Developmental & Behavioral Pediatrics.

51 studenti sono stati randomicamente assegnati a due condizioni per 10 settimane: praticare yoga (Kripalu yoga, posizioni fisiche dello yoga, con esercizi di respirazione, rilassamento e meditazione) oppure effettuare attività di educazione fisica standard.

A tutti gli studenti è stata somministrata una batteria pre-post assessment focalizzata su variabili psicologiche, quali il tono dell’ umore e l’ansia, la resilienza e abilità di mindfulness.

Dai risultati è emerso che i ragazzi che avevano praticato yoga nelle dieci settimane al posto delle classiche attività di educazione fisica ottenevano un incremento maggiore dei punteggi dei diversi test psicologici. Nello specifico, mentre i ragazzi assegnati alla condizione di educazione fisica standard presentavano un peggioramento del tono dell’umore e un incremento dei sintomi ansiosi, i ragazzi che invece avevano praticato yoga rimanevano stabili o addirittura presentavano miglioramenti in tali variabili. I due gruppi però non differivano a seguito del training in termini di altre variabili quali la resilienza e la mindfulness.

Anche se il campione è limitato, lo studio suggerisce gli effetti positivi dello yoga negli adolescenti, in linea con altri studi in letteratura che ne evidenziano effetti positivi sia in termini preventivi che in diverse condizioni di sofferenza fisica e psicologica.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Enclothed Cognition: Come i vestiti influenzano i nostri pensieri.

 

DIMMI COME TI VESTI E TI DIRO’ COSA PENSI! 

Enclothed Cognition. Dimmi come ti vesti e ti dirò cosa pensi! - Immagine: © Monika 3 Steps Ahead - Fotolia.comSe fino ad oggi avete speso minuti preziosi davanti allo specchio interrogandovi sulle possibili reazioni al vostro abbigliamento, dopo aver letto questo post il tempo abitualmente dedicato a ciò non sarà più sufficiente poichè, parola di autorevoli ricercatori, il tipo di vestito indossato non solo influenza l’altrui pensiero ma anche il vostro.

Ognuno di noi, soprattutto nelle occasioni che contano, quando indossa un determinato vestito lo fa con l’idea più o meno consapevole che ciò inciderà sull’opinione che gli altri hanno di lui/lei.

Quante giovani donne al primo appuntamento aprono l’armadio e scartano un maglietta che ha le pretese di essere un abitino con commenti del tipo “non vorrei mi prendesse per una poco di buono” oppure quanti uomini, depilati da testa a piedi, si rifiutano però di indossare una camicia rosa perchè temono di essere giudicati poco virili?

Insomma, noi tutti ci aspettiamo che il modo di vestirci possa influenzare le nostre relazioni sociali e, a quanto pare, tale fenomeno è enfatizzato dal fatto che l’abbigliamento sembra esercitare una discreta influenza anche sui nostri pensieri.

Lavati e non ci pensi più. Ma i processi mentali restano. Immagine: Lady Macbeth by George Cattermole - Wikimedia Commons Public Domain Art -
Articolo consigliato: Lavati e non ci pensi più. Ma i processi mentali restano.

La embodied cognition, un approccio emergente all’interno delle scienze cognitive, ci parla infatti di una mente “incorporata”, collocata in un ambiente esterno con cui ha un rapporto interattivo e dialettico. In tal senso i processi cognitivi non possono essere analizzati a prescindere dal rapporto che l’individuo intrattiene con il proprio ambiente e quindi anche con la posizione e lo stato dei nostri corpi.

In un precedente articolo avevo già discusso di come, per esempio, l’operazione di lavarsi le mani potesse indurre pensieri di purezza morale.

Sulla scia di ciò, in un recente studio, Adam e Galinsky, ci dicono che  anche i vestiti esercitano un potere sui nostri pensieri, un fenomeno a cui danno il nome di enclothed cognition. Ciò che contraddistingue tale fenomeno dalla embodied cognition è la capacità di agire in maniera meno diretta sui pensieri poichè mediato da due fattori: il significato simbolico dell’abbigliamento e il fatto di indossarli effettivamente.

L’ESPERIMENTO: 
I ricercatori hanno dapprima testato l’effetto dell’indossare camici bianchi da scienziato. 58 studenti sono stati invitati a svolgere un famoso test di attenzione selettiva (Stroop Test). I 24 che hanno indossato il camice bianco hanno commesso la metà degli errori rispetto alla media del restante campione.

La conferma che sia proprio il fatto di indossare un indumento a determinare modifiche nei nostri pensieri è data dall’evidenza che coloro che effettivamente hanno indossato il camice da laboratorio hanno registrato una migliore performance rispetto ai soggetti che l’hanno solo visto adagiato su una scrivania. Anche indossare lo stesso camice, informati però del fatto che esso appartenesse a un pittore, è stato associato a una performance più scarsa rispetto al primo gruppo del campione, confermando l’importanza del valore simbolico dell’abbigliamento.

Tuttavia sembra che gli effetti della enclothed cognition vadano al di là di una semplice identificazione con il ruolo attribuito all’abbigliamento. Gli studenti che hanno indossato il camice hanno mostrato prestazioni migliori di coloro i quali hanno soltanto scritto un saggio riguardo a come si sarebbero sentiti nell’abito di uno scienziato.

Non sembrano esserci dubbi: indossare un abito, piuttosto che un altro, esercita un discreto potere sulla percezione che abbiamo di noi stessi.

Mi chiedo allora se parte del coraggio dei vigili del fuoco non derivi proprio dalla loro uniforme, se i giudici sono così autorevoli grazie alla toga, se Belen sarebbe ugualmente sexy con il mio pigiama di flanella e se magari io con il suo abito sanremese…

no, direi no!

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Sesso & Coppia: Riaccendere la Passione quando il Viagra non basta.

 

Sesso & Coppia: Riaccendere la Passione quando il Viagra non basta. - Immagine: © mipan - Fotolia.comParlare di impotenza (Disfunzione Erettile) per gli uomini rappresenta un vero e proprio tabù e talvolta prima di prendere di petto la situazione si lascia passare molto tempo.

Inoltre non è detto che, trovato il coraggio, affrontata la prima visita e prescritta la cura farmacologica questa vada a buon fine. Infatti si ha un abbandono del trattamento in una percentuale che va dal 20 al 50 %. Stanley Althof in un suo articolo descrive il paziente tipo che può richiedere un trattamento per una disfunzione erettile.

Il Signor C. è uomo di 54 anni, è sposato, e per due anni ha vissuto nell’ombra di questa problematica prima di riuscire a chiedere aiuto. In questo periodo ha sviluppato un forte senso d’inadeguatezza, ansia legata alla performance, risentimento e depressione. A questo si aggiunge una modifica nei comportamenti di coppia, come l’andare a letto più tardi della compagna, il fornire scuse quali : ” sono troppo stanco”, “oggi è stata una giornata faticosa” o il più classico “non ho più 20 anni tesoro” (in realtà la disfunzione erettile è diffusa anche nei giovani).

L'impotenza (o Disturbo dell'Erezione) - Immagine: © goccedicolore - Fotolia.com -
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Ma dietro queste scuse cosa si nasconde? Imbarazzo e paura di fallire, sentimenti comuni a tutti i Signor C. che soffrono di impotenza. I rapporti sessuali si vanno pian piano diradando nel tempo fino a scomparire, e con essi anche qualsiasi possibile scambio di effusione che possa essere frainteso dalla partner. La compagna potrebbe porsi domande quali: “Non mi ama più?”, “Ha un’altra relazione?”, “ Non è più attratto da me?” ed iniziare a sentire il suo uomo come lontano, triste, preoccupato, irritabile e sulle difensive.

Quando un uomo decide di andare a parlare con uno specialista può coinvolgere oppure no la propria partner e, nel momento in cui viene intrapresa una cura col Citrato di Sildenafil, più comunemente conosciuto come Viagra, questa può esserne all’oscuro. A seconda del vissuto della partner durante il periodo d’astinenza, la scoperta della famosa pillola blu può portarla a pensare che sia la chimica e non più l’attrazione ad aver ri-attivato il loro rapporto, si potrebbe pertanto prendere il via un circolo vizioso in cui la donna è restia alle effusioni, l’uomo è ancora sotto il facile cedimento all’ansia e potrebbe pensare che il rifiuto della compagna possa essere dovuto alla prestazione che non è all’altezza, e questo può portare alla sospensione della cura. Questo è un possibile scenario; di seguito vengono riportate le cause di una possibile resistenza psicologica che può contribuire all’interruzione del trattamento con Sildenafil:

1. La durata del periodo di astinenza sessuale

2. Il tipo d’approccio adottato dall’uomo nel riattivare la vita sessuale

3. La prontezza sia fisica (non solo dell’uomo ma anche della donna che potrebbe infatti andare incontro all’inizio della menopausa) che emotiva mostrata dalla partner

4. Il significato che ciascun partner attribuisce alla cura farmacologica a base di Viagra

5. La qualità e l’importanza degli aspetti puramente affettivi all’interno della coppia

6. Vanno inoltre tenute in considerazione quelle circostanze in cui il calo del desiderio nei confronti della compagna e la mancata erezione sono legati a desideri inespressi (come per esempio fantasie sadomasochistiche). In queste circostanze molto spesso l’uso del Sildenafil si rivela inutile in quanto non induce alcun tipo di risposta genitale.

L’efficacia di un trattamento farmacologico per la disfunzione erettile va dal 44 al 91% e nonostante ciò numerose sono le interruzioni della cura. A tal proposito è stato indagato un metodo che al trattamento prettamente farmacologico associ un percorso di sostegno psicologico. Il gruppo era composto da 57 uomini dai 21 ai 75 anni d’età con problemi di disfunzione erettile da un minimo di un mese ad un massimo di 38 anni. Ciò che emerge in generale è che l’interazione tra le due terapie risulta funzionale nella maggior parte dei casi.

Sotto le lenzuola: Uomini troppo “golosi” e troppo “ruminatori”? Cause o correlazioni nella Disfunzione Erettile - Immagine: Costanza Prinetti © 2012
Articolo consigliato: Sotto le lenzuola: Uomini troppo “golosi” e troppo “ruminatori”? Cause o correlazioni nella Disfunzione Erettile

Guardare al rapporto sessuale soltanto dal punto di vista di un puro e semplice fallimento fisiologico è di gran lunga riduttivo, numerosi sono i fattori che possono interferire col ri-raggiungimento dell’intesa e dell’atto sessuale. Parlare di accettazione dei cambiamenti avvenuti nella propria vita, dagli eventi stressanti, al naturale mutamento cui il corpo, sia esso maschile o femminile, va incontro, alle conseguenze che determinati tipi di malattie possono aver portato, non sarà di certo sufficiente da sé a far risbocciare la passione ma risulta fondamentale. Infatti, se non affrontati, tali impedimenti psicologici rendono del tutto inutile anche la cura medica più appropriata. Il terapista non solo può aiutare la coppia ad andare verso un nuovo modo di vedersi ed accettarsi, ma può anche aiutarli a ritrovare quel romanticismo andato perduto negli anni, coinvolgendoli in conversazioni che li preparino sia fisicamente che psicologicamente a ritornare di nuovo amanti.

Se nella coppia c’è una rabbia irrisolta da tanto tempo, l’astinenza sessuale potrebbe essere una semplice conseguenza di questa, per cui va da sé che se non si affronta il primo scoglio sarà difficile superare il secondo. Vanno poi tenute in considerazione le aspettative nei confronti della cura farmacologica, spesse volte sono irrealistiche supponendo che, con il ritorno dell’erezione, aumenti la frequenza dei rapporti, oppure che questa possa rendere l’uomo un “amante di successo”… qualora tutto ciò non accadesse è facile che venga data la colpa alla cura e non alle aspettative irrealistiche.

Erezioni virtuali - Immagine: © Blanca - Fotolia.com -
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È inoltre fondamentale ricordare che il Sildenafil è un farmaco che non agisce se non c’è da parte dell’uomo desiderio nei confronti della propria partner. Pertanto un colloquio con una persona non soltanto specializzata, ma neutrale e che si mostri priva di ogni giudizio potrebbe rivelarsi utile anche per la scelta della cura farmacologica più adeguata. Diversi sono i farmaci che consentono una riattivazione fisiologica dell’apparato genitale maschile, oltre al Sildenafil, vi sono anche delle iniezioni intracavernose di sostanze stimolanti quali la Papaverina. È un tipo di cura che, sebbene assicuri l’erezione, risulta essere alquanto invasiva e interferisce notevolmente con l’aspetto affettivo del rapporto, tuttavia se il caso non risponde ad altri tipi di cura resta comunque un rimedio valido da tenere in considerazione.

Se l’uomo confida di avere fantasie sessuali, sia convenzionali che non convenzionali, che differiscono notevolmente da quelle della propria partner, e sa di non poterle portare a compimento, allora la strada del Viagra potrebbe essere quella sbagliata, proprio per l’aspetto legato al desiderio, e prima di abbandonare ogni speranza si potrebbe considerare d’intraprendere una via d’intervento quale la precedente. Se ci sono aspetti psicologici che possono portare ad un blocco nella vita sessuale di un uomo, e conseguentemente anche di una coppia, una semplice pillola non è sufficiente a sistemare la situazione.

La vergogna, il timore del giudizio, la paura di non poter tornare ad essere quelli di prima, i desideri e le fantasie nascoste e volutamente smorzate da troppo tempo, sono tutti fattori che vanno presi in considerazione ed affrontati, affinché si ritrovi un equilibrio di coppia nuovo e perché no altrettanto soddisfacente.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Il Ritorno alla Coscienza: Neuroimaging del risveglio dall’anestesia generale.

– Rassegna Stampa – 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheIl risveglio dall’anestesia generale è un’esperienza fenomenologicamente affascinante spesso associata a una fase iniziale di subcoscienza prima di accedere a un completo recupero del proprio stato di coscienza vigile e di ri-orientamento spazio temporale: basti sentire i racconti di chi l’ha vissuta.

Un gruppo di ricercatori guidati dal professor Harry Scheinin (University of Turku, Finland) in collaborazione con University of California, Irvine, USA ha sottoposto a tecniche di neuroimaging il processo del ritorno alla coscienza a seguito di un’anestesia generale. A venti giovani volontari è stata somministrata un’anestesia generale mentre veniva monitorata a livello di neuroimaging la loro attività funzionale cerebrale attraverso la tecnica PET.

Ecco cosa accadeva durante il processo del recupero di uno stato di coscienza vigile (valutato mediante una risposta motoria del soggetto a un commando verbale): ciò che iniziava ad attivarsi per primo durante tale processo di risveglio era un network di aree subcorticali e limbiche, quali il tronco cerebrale, il talamo, l’ipotalamo, la corteccia cingolata anteriore, profonde, primitive e filogeneticamente più antiche rispetto alla neocorteccia; solo in un secondo momento sono state poi rilevate le attivazioni a livello neocorticale

La coscienza umana è uno tra gli aspetti più misteriosi e complessi da indagare a livello scientifico, piccoli tasselli empirici possono aiutarci a comprenderlo: in questo caso il brain imaging ci fornisce dati in merito alle aree filogeneticamente più antiche, rispetto alla neocorteccia, che sembrano avere un ruolo primario nel processo del recupero di coscienza. Certo il come queste meccanismi neurali arrivino poi a creare la sensazione soggettiva puramente fenomenica del “risveglio” da un così particolare stato alterato di coscienza è ancora tutto da esplorare.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

  

Una stanza piena di gente, by Daniel Keyes (Disturbo Dissociativo)

Condannereste il Dr. Jekyll per i crimini commessi da Mr. Hyde?

Una stanza piena di gente. by Daniel Keyes. (Recensione). Recensione di: UNA STANZA PIENA DI GENTE  by Daniel Keyes

Siete seduti in salotto a guardare la tv, quando la polizia fa irruzione in casa vostra e in men che non si dica vi ritrovate con una pistola puntata contro, mentre un poliziotto vi ammanetta e vi legge i vostri diritti. Siete accusati di aver rapito, stuprato e rapinato tre studentesse e le prove contro di voi sono assolutamente schiaccianti. Non c’è dubbio che siate colpevoli, peccato che voi non abbiate alcun ricordo di quanto avete commesso. Come vi sentite?

Questo è quanto accade al ventiduenne Billy Milligan ed è così che comincia la storia che nel 1978 ha profondamente scosso e indignato l’opinione pubblica americana. Nonostante prove inconfutabili, Milligan viene infatti dichiarato non colpevole per infermità mentale poiché dalla perizia psichiatrica emerge una verità sconvolgente: Billy Milligan soffre di Disturbo di Personalità Multipla. Mai nella storia giudiziaria degli Stati Uniti era stato emesso un tale verdetto in caso di reati così gravi, tanto che questa sentenza all’epoca suscitò grandissimo scalpore.

Trauma e dissociazione: riflessioni teoriche e cliniche verso il DSM-5 - Immagine: © Redshinestudio - Fotolia.com
Articolo consigliato: Trauma e dissociazione: riflessioni teoriche e cliniche verso il DSM-V

Una stanza piena di gente racconta la vera storia di Billy – dagli abusi subiti durante l’infanzia fino al ricovero in una clinica, passando attraverso l’intero processo giudiziario – e sotto forma di romanzo offre una descrizione reale, accurata e dettagliata di uno dei più affascinanti disturbi psichiatrici.

Il Disturbo di Personalità Multipla, oggi ribattezzato Disturbo Dissociativo dell’Identità (DID), comporta il passaggio di una persona a differenti stati di personalità che prendono il controllo del suo pensiero e del suo comportamento. Queste personalità sono ben distinte e definite: ciascuna ha il proprio nome, i propri ricordi, la propria postura, il proprio modo di vestire e parlare (Steinberg, 2000); addirittura ogni personalità ha una propria calligrafia, una propria voce, proprie allergie e malattie (es. disturbi della vista) e persino propri tracciati EEG (Coons, 1988).

Il lettore può apprezzare la complessità di questa malattia facendo conoscenza con ciascuna delle 24 identità che si alternano in Billy, tra cui il londinese saccente Arthur (“quando parlò l’accento era quello dell’alta società britannica”), il violento iugoslavo Ragen (“Non sembrava l’imitazione di un accento slavo. La sua voce ora aveva davvero quel sibilo caratteristici di chi è cresciuto nell’Europa dell’Est e ha imparato l’inglese senza però perdere l’accento”), il quattordicenne fobico Danny e la dolce piccola Christene di 3 anni.

Ogni volta pare di trovarsi di fronte ad una persona diversa: una personalità è dislessica mentre un’altra legge e scrive correntemente l’arabo, una è esperta di arti marziali mentre l’altra è timorosa ed indifesa. Solitamente il passaggio da una personalità all’altra avviene in uno stato di trance rapidissimo, della durata di 5 secondi (Putnam, 1985): “Il corpo di Milligan sembrò ritirarsi in se stesso. Impallidì, e gli occhi si velarono come se fossero sul punto di rovesciarsi. Muoveva le labbra come se stesse parlando con se stesso […] Gli occhi di Milligan vagavano da una parte all’altra. Si guardò in giro, come qualcuno che si è appena svegliato da un profondo sonno.”

In un paziente affetto da Disturbo Dissociativo dell’Identità non è detto che tutte le personalità si conoscano ed interagiscano tra di loro. A volte alcune assumono il controllo e stabiliscono quale personalità possa uscire in determinate situazioni; per esempio alcune identità di Billy (soprannominate Gli Indesiderabili) erano state bandite perché ritenute pericolose per la sopravvivenza delle altre.

Psicopatia - Immagine: © Gina Sanders - Fotolia.com -
Articolo consigliato: “Psicopatia, PTSD e genesi di condotte antisociali”

Il libro è stato scritto da Daniel Keyes con la collaborazione del Maestro – la sintesi di tutte le personalità di Billy – il risultato dell’efficace psicoterapia a cui il protagonista è stato sottoposto (le sedute narrate sono tratte direttamente dai nastri registrati).

“Una stanza piena di gente” apre una profonda riflessione su un disturbo controverso dal punto di vista medico-legale. Negli USA alcune corti negano la validità di tale disturbo o ne ribadiscono la mancanza di prove scientifiche a sostegno, sebbene la dissociazione sia un fenomeno ampiamente osservato e documentato in ambito clinico. Qualora invece siano ammesse testimonianze a favore dell’esistenza del DID, questo disturbo rappresenta una grande sfida in ambito forense quando sulla base di tale diagnosi si invoca la non colpevolezza per infermità mentale.

Solitamente la linea di difesa adottata è impostata sull’analisi di quale delle personalità detenesse il controllo dell’imputato al momento del reato e se tale personalità fosse in grado di intendere e di volere. Posto che uno stato dissociativo può realmente ridurre la capacità di controllo delle proprie azioni e quindi diminuire la responsabilità criminale, spesso appellarsi alla presenza di un DID viene accolto con scetticismo a causa della possibilità che l’imputato possa simulare tale disturbo per evitare la detenzione, e raramente ha successo (Farrell, 2011).

Ma se tutte le prove indicassero che l’imputato soffre effettivamente di Disturbo Dissociativo dell’Identità, e foste voi il giudice, assolvereste il Dr. Jekill o condannereste Mr Hyde?

BIBLIOGRAFIA: 

  • Keyes, D. (2009) Una Stanza Piena di Gente (titolo originale: The Minds of Billy Milligan). Nord.
  • Steinberg, M. & Schnall M. (2006) La dissociazione. I cinque sintomi fondamentali. Cortina Raffaello, Milano.
  • Farrell, H.M. (2011) Dissociative Identity Disorder: Medicolegal Challenger. J Am Acad Psychiatry Law 39:402-6, 2011
  • Coons, P.M. (1988) Psychophysiologic Aspects of Multiple Personality Disorder: A review Dissociation 1:1, March 1988
  • Putnam, F.W. (1985). The switch process in multiple personality disorder. PROCEEDING OF THE SECOND INTERNATIONAL CONFERENCE ON MULTIPLE PERSONALITY/DISSOCIATIVE STATES, In B.G. Braun (Ed), (p.4). Chicago: Rush-Presbyterian-St Lukes medical Center

Narcisismo: Quanto mi amo?… e gli effetti sul colloquio di lavoro.

– Rassegna Stampa – 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheIl segreto per il successo nei colloqui di lavoro sembra stare nel “quanto tu ti piaci” e non nel “quanto piaci” a coloro che ti stanno valutando secondo un nuovo studio che verrà pubblicato sul Journal of Applied Social Psychology.

Lo studio ha valutato l’efficacia di diversi tipi di comportamento – generalmente visti come maladattivi- che il narcisista mostra durante il colloquio di lavoro. In una prima parte dello studio 72 soggetti sono stati videoregistrati durante la simulazione di un colloquio di lavoro. Come ci si aspettava, i narcisisti tendevano già spontaneamente ad autopromuoversi maggiormente, ma proprio nel momento in cui l’intervistatore cercava di metterli in difficoltà tale modalità di autopromozione si accentuava maggiormente a differenza dei non-narcisisti che battevano in ritirata su questo aspetto. E senza che tale accentuazione dell’autopromozione risultasse poi nefasta negli esiti del colloquio.

Narcisismo e Leadership: gli svantaggi delle apparenze. Immagine: © 2011-2012 Costanza Prinetti
Articolo consigliato: Narcisismo e Leadership: gli svantaggi delle apparenze.

In una seconda parte dello studio, circa 200 esperti hanno esaminato e valutato video di candidati (con diversi livelli di narcisismo ma simili competenze lavorative) durante colloqui di lavoro reali: ebbene sì, gli intervistatori generalmente premiavano con valutazioni più positive gli autopromotori “cronici” rispetto ai candidati più orientati verso strategie low-profile e di modestia.

Le ricadute applicative dello studio impattano sui selezionatori: maggior consapevolezza di tali strategie in relazione al narcisismo può favorire anche una valutazione più accurata che tenga in considerazione se e quanto sia utile e funzionale avere in una certa posizione lavorativa chi cronicamente si autopromuove e cerca in qualche modo di sedurre l’altro. Tanto più che non sembrano esserci evidenze scientifiche che supportino una reale maggiore efficacia lavorativa dei narcisisti rispetto ai non narcisisti.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

 

Studi Cognitivi: la Video Presentazione.

Studi Cognitivi

 

Studi Cognitivi, partner e finanziatore di State of Mind, ha recentemente portato online il nuovo sito, completamente rinnovato.

 

Tra le molte novità, ecco il video di presentazione della scuola:  

 

VISITA IL SITO DELLA SCUOLA! 

Corpi diversi, menti diverse: The Body-Specificity Hypothesis.

Stefano Terenzi. 

 

Corpi diversi, Menti diverse: the Body-Specificity Hypothesis
Body-Specificity & Lateralità

Piace pensarci come creature razionali che acquisiscono informazioni, le rapportano attentamente e prendono decisioni ponderate. Ma, come si vuol dimostrare, forse ci stiamo prendendo in giro. Da molti anni gli scienziati hanno dimostrato che esistono fattori interni ed esterni in grado di modificare il nostro pensiero, il nostro sentire e come lo comunichiamo. Un elemento di grande influenza sembra essere proprio il nostro corpo.

Un recente studio, pubblicato sull’edizione di Dicembre del Current Science, il giornale dell’ Association for Psychological Science, ha dimostrato come i “capricci” del nostro corpo influenzino il nostro pensiero, in molti modi ed in diverse aree: dall’emotività all’immaginazione, fino al linguaggio. Le persone hanno, ovviamente, differenti tipi di corporatura; ma questa banalità ha un ruolo molto particolare nella regolazione di come le persone pensano e decidono.

L’ipotesi di Daniel Casasanto, della New School for Social Research, denominata da lui stesso body-specificity ritiene che attraverso la lateralità della mano il nostro corpo possa influenzare le nostre scelte. Lo studioso ed i suoi colleghi, tramite le loro ricerche, hanno osservato come essere mancini o destrimani possa influenzare il nostro giudizio riguardo idee astratte; come il valore, l’intelligenza e l’onestà.

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Articolo consigliato: Da mesi sogni di vedere quel film? Allora ti siedi a destra

Con una serie di esperimenti hanno scoperto che, in generale, le persone tendono a preferire cose che incontrano sul lato del loro arto dominante. Infatti, quando ai partecipanti veniva chiesto quale di due prodotti avrebbero comprato, quale di due persone assunto per un incarico lavorativo o quale di due creature aliene fosse più credibile, i destrimani regolarmente sceglievano il prodotto, la persona o l’alieno che avevano visto sul lato destro della pagina mostrata; viceversa avveniva per i mancini. Questo genere di preferenze sono state trovate fin dai bambini di 5 anni.

Perché la lateralità manuale influenza così tanto la capacità di valutare?

Per Casasanto, tutto dipende dalla presenza di una maggiore fluidità nella scelta. “Le persone apprezzano più facilmente le cose e le persone più facili da percepire e con cui risulta più agevole l’interazione” dice Casasanto. I destrimani interagiscono nel loro sviluppo maggiormente con il lato destro, rispetto che con quello sinistro, così da creare col tempo un’associazione tra “buono” e “destro” e tra “cattivo” e “sinistro”.

Difatti, quando qualcosa ci fa uno strano effetto o incute un po’ di paura spesso usiamo il termine “cosa sinistra”. Questa preferenza per ciò che è localizzato sul nostro “lato dominante” non è innata e può, dunque, essere modificata. Infatti, è stato riscontrato come i destrimani che avevano subito un danno permanente al loro arto dominante, col passare del tempo, cominciarono ad associare il termine “buono” a “sinistro”. Ciò avveniva anche in esperimenti fatti in laboratorio. Questo evidenzia come, cambiando il “corpo” delle persone, sia possibile cambiare anche il loro sistema mentale.

Risultano ora chiare le molteplici implicazioni di questa ricerca. Una tra le molte potrebbe essere come tale fenomeno possa influenzare i risultati elettorali. Oggettivamente, circa il 90% della popolazione è destrimana, quindi, vien da se che per attrarre la maggior parte dei votanti la collocazione del nome sulla scheda elettorale o sul manifesto politico debba essere sul lato destro. Ergo, possiamo chiederci quanto il voto sia determinato da una scelta soggettiva del votante e quanto, invece, lo sia dalla posizione, lato dominante o non dominante, dell’icona politica posta sulla scheda elettorale.

 

 

 BIBLIOGRAFIA: 

Psicologia & Musica: Il Suicidio nella Canzone d’Autore Italiana #1

 

Quando attraverserà l’ultimo vecchio ponte

ai suicidi dirà baciandoli alla fronte

venite in Paradiso là dove vado anch’io

perché non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio.

Preghiera in gennaio, Fabrizio de Andrè, 1967

 

Il Suicidio nella Canzone d'Autore Italiana. #1 - Immagine: © olly - Fotolia.com Il suicidio di un paziente è sicuramente l’evento più drammatico nella vita professionale di uno psichiatra o di uno psicoterapeuta, e non è così raro se si considera che in tutte le nazioni il suicidio è attualmente tra le prime tre cause di morte nella fascia di etá 15-34 anni (WHO, 2004). Il fenomeno del suicidio è un problema complesso non ascrivibile ad una causa o ad un motivo preciso. Sembra piuttosto derivare da una complessa interazione di fattori biologici, genetici, psicologici, sociali, culturali ed ambientali.

Più che di suicidio possiamo parlare quindi di suicidi, nel senso che ogni evento di questo tipo va ricollegato alla storia della persona, per poter tentare di capirne le motivazioni e il significato del gesto.

Non si tratta di una questione che interessa soltanto il mondo della psichiatria, ma è stato ampiamente affrontato anche da filosofi, poeti e scrittori. Lo stoicismo è forse uno degli esempi più noti di filosofia che accetta il suicidio e, anzi, in determinate condizioni, lo descrive come un atto naturale. Lo scrittore e filosofo Camus invece sottolinea come “Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia” (Camus,2001).

Le Metafore Psicologiche dei Cantautori Italiani. - Immagine: © nmarques74 - Fotolia.com
Articolo consigliato: Le Metafore Psicologiche dei Cantautori Italiani.

E i nostri cantautori? Non possiamo affrontare l’argomento suicidio e canzone senza partire da quella camera dell’Hotel Savoy di Sanremo nel 1967 dove Luigi Tenco si sparò alla testa (anche se come in tutti i suicidi più celebri del mondo della musica sono fiorite le più disparate teorie complottiste) lasciando il famoso biglietto: 

“Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi”.

Più precisamente, in termini tecnici il biglietto si chiama “nota suicidiaria” ed è presente circa nel 15% dei casi di suicidio (Shioiri et al., 2005). Tra i motivi per cui un suicida lascia tale messaggio ci possono essere sia quello di proteggere le persone che lascia nel mondo dai sensi di colpa, sia quello di indurre il senso di colpa in qualcuno. In questo caso emerge chiaramente la rabbia e il risentimento nei confronti del mondo musicale e dello spietato sistema delle competizioni canore.

Fabrizio De Andrè ha dedicato a Tenco la canzone Preghiera in gennaio (1967) parlando dei suicidi come coloro “che al cielo ed alla terra mostrarono il coraggio”. La questione del coraggio credo che sia cruciale quando si parla di suicidio. Sorprendentemente non esistono studi che vadano a misurare il coraggio, mentre esiste una forte evidenza che l’impulsività (l’agire d’impulso, senza valutare le conseguenze) sia un importante fattore di rischio per il comportamento suicidario (Hull-Blanks, 2004). D’altra parte coraggio e impulsività hanno qualche correlazione. Già Aristotele (1998) aveva definito il coraggio come una forma di impulsività con carattere di scelta e consapevolezza del proprio obiettivo.

Più avanti nel testo Faber parla “di quelle labbra smorte che all’odio e all’ignoranza preferirono la morte” cercando di sottolineare i motivi del gesto suicidiario che in questo caso assume un carattere di protesta quasi ideologica. E poi ancora il gesto suicidiario assume quasi un significato di sacrificio per una catarsi collettiva “Meglio di lui nessuno mai ti potrà indicare gli errori di noi tutti che puoi e vuoi salvare”.

Anche Francesco De Gregori ha ricordato Luigi Tenco nella canzone Festival (1976), attaccando pesantemente il cinismo e le manipolazioni mediatiche del mondo dello show business, che pilatescamente e ipocritamente ipotizza come motivazioni del gesto problemi di donne, di debiti, di abuso di alcol e di tranquillanti. Ma dal testo il cantautore ligure risulta sicuramente come una vittima di un sistema senza pietà: “La notte che presero le sue mani e le usarono per un applauso più forte” oppure “Nessuna lacrima vada sprecata, in fin dei conti cosa c’è di più bello della vita, la primavera è quasi cominciata”, per finire in una cena grottesca dove si canticchia la Vie en rose.

La scuola dei cantautori liguri è tra quelle che ha prodotto sicuramente più brani che raccontano di suicidi.

Bruno Lauzi ne Il poeta (1963) racconta la storia di un uomo che si toglie la vita per aver perso l’amore di una donna…lui piangeva e parlava di te…sospirava e parlava di te…”. In questo testo colpisce la frase “Ed infine una notte si uccise per la gran confusione mentale”, che ricorda uno stato dissociativo.

Marsha Linehan. - Immagine: © University of Washington http://faculty.washington.edu/linehan/
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Recentemente la dissociazione è stata infatti individuata come possibile fattore di rischio per i tentativi di suicidio in pazienti affetti da disturbo della personalità borderline (Wedig et al., 2012).

Deriva invece dal mondo psicanalitico una metafora molto pregnante per spiegare lo stato mentale del suicida: l’inondazione (flooding) in sentimenti dolorosi, intollerabili e incontenibili che può portare a una perdita di controllo e disintegrazione (Maltsberger, 2004).

Albergo a ore (1969) è una canzone tradotta in italiano da Herbert Pagani dalla versione in francese di Les amants d’un jour (portata in Francia al successo da Edith Piaf nel 1962) e cantata anche da Gino Paoli. La canzone racconta il suicidio di due amanti, scoperto dal portiere di notte dell’hotel: “se n’erano andati, in silenzio perfetto, lasciando soltanto i due corpi nel letto”. In questo caso non è chiaro se si tratti di un omicidio-suicidio di coppia, che ritroviamo frequentemente nelle cronache nell’ambito della violenza domestica, o di una follia a due, fenomeno descritto per la prima volta nell’800, in cui un “malato attivo” influenza un individuo recettivo (Lesegue e Falret, 1877).

Restando nell’ambito di problematiche della coppia La ballata dell’amore cieco (o della vanità) (1966) racconta di un rapporto sadomasochista che culmina con il suicidio di lui, come prova d’amore richiesta da lei: “la Vanità fredda gioiva, un uomo si era ucciso per il suo amore”. La canzone, come spesso succede nei brani della prima produzione di De Andrè, ha un andamento da ballata popolare, in cui le strofe pregnanti di significati drammatici si alternano ai “Trallallero”, con un effetto di cinismo grottesco che rende il brano ancora più efficace.

Il Disturbo Narcisistico di Personalità secondo la Teoria di Kernberg. - Immagine: © marcodeepsub - Fotolia.com
Articolo consigliato: Il Disturbo Narcisistico di Personalità secondo la Teoria di Kernberg

La canzone si conclude con la vittoria morale della vittima, che muore contenta e innamorata, mentre la persecutrice viene “presa da sgomento” in quanto le resta solo “il sangue secco delle sue vene”. La figura della persecutrice sadica ricorda il narcisismo maligno descritto da Kernberg (1992), anche se nella pratica clinica capita più frequentemente incontrare donne-vittima e maschi-persecutori. I soggetti affetti da questo grave disturbo presentano aggressività egosintonica e sadismo rivolto verso gli altri e verso sé stessi, comportamenti crudeli e onnipotenti e disprezzo verso gli oggetti buoni, percepiti come deboli e inaffidabili.

La Ballata di Michè (1968) di Fabrizio de Andrè racconta invece il dramma di un suicidio per impiccagione di un carcerato condannato a vent’anni per omicidio passionale. Il gesto è dedicato all’amata da cui la lunghissima separazione è impensabile “io so che Miché ha voluto morire perché, ti restasse il ricordo del bene profondo che aveva per te”. Il brano è estremamente attuale in quanto in Italia il numero di suicidi in carcere è in costante aumento negli ultimi dieci anni ed è di ben diciannove volte superiore alla popolazione libera. Tra le cause individuate ci sono il sovraffollamento, l’assenza di efficaci programmi rieducativi e di programmi di prevenzione, la mancanza di prospettive per il futuro e la comorbidità con patologie croniche (HIV, dipendenza da alcol e sostanze).

Leggi la seconda parte dell’articolo.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

  • Centro Studi di Ristretti Orizzonti. (2003). Dossier: Morire di Carcere.
  • World Health Organization. Suicide huge but preventable public health problem, says WHO (World Suicide Prevention Day – 10 September 2004). Geneve: WHO; 2004 – Cent Eur J Public Health. 2004 Dec
  • Camus A. Il mito di Sisifo, Bompiani. 2001
  • Shioiri T., Nishimura A., Akazawa K., Abe R., Nushida H., Ueno Y., Kojika-Maruyama M., Someya T. (2005). Incidence of note-leaving remains constant despite increasing suicide rates. Psychiatry and Clinical Neurosciences, 59, 2, 226–228
  • Maltsberger JT (2004). The descent into suicide. International Journal of Psycho-Analysis 85, 653-667.
  • Lasègue e Falret, J. (1877). La folie à deux ou folie communiqée. Archives générales de Médecine)
  • Aristotle. (1998). The Nicomachean ethics. Book VII. Oxford: Oxford University Press.
  • Hull-Blanks E. E., Kerr, B. A. & Robinson Kurpius S. E. (2004) Risk factors of suicidal ideations and attempts in talented, at-risk girls. Suicide & Life-Threatening Behavior, 34(3), 267-276.
  • Wedig M.M., Silverman M.H., Frankenburg F.R., Reich D.B., Fitzmaurice G., Zanarini M.C. (2012) Predictors of suicide attempts in patients with borderline personality disorder over 16 years of prospective follow-up. Psychol Med, 22:1-10.
  • Kernberg, O. (1998). Narcisismo patologico e disturbo narcisistico di personalità, in Ronningstam, E. F., I disturbi del narcisismo, Raffaello Cortina, Milano, 2001.

Video: La storia delle Neuroscienze in 3 minuti

 

L’Institute of Cognitive Neurosciences di Londra promuove diverse iniziative volte a divulgare la ricerca scientifica al pubblico, una di queste è il concorso “Brains on film” in cui studenti e ricercatori possono inviare dei video che raccontino qualcosa del mondo delle neuroscienze. 

Il vincitore di quest’anno è il video musicale: “We didn’t start the scanner” cover umoristica della canzone di Billy Joel “We didn’t start the fire”.

Autori: Jake Fairnie & Anna Remington 

 

 Buona visione! 

 

‘WE DIDN’T START THE SCANNER’ LYRICS:

VERSE 1:

Where on Earth Do We Start? Aristotle, Descartes,

J-P Flourens, Pigeon Lesions, Gall Phrenology.

Hughling Jackson, Brainstorm Status, Golgi and His Apparatus,

Broca, Wernike, Language Expertise.

 

VERSE 2:

Canine Brains, Hitzig, Fritch, Electrify and See Them Twitch,

Miller and His Magic Few, Seven Plus or Minus Two.

Neuron Theory, Drawing Cells, Ramon y Cajal Yells,

Gazzaniga Coined the Phrase with Miller in the Taxi Bays.

 

CHORUS:

We didn’t start the scanner – but we’ve strong attraction to that big contraption.

Get inside the magnet… we need activations for our publications.

 

VERSE 3:

Neisser, Sperry, Sherrington, Brodmann and His Brain Region,

Pinker, Chomsky, Hodgkin, Huxley, Phineas Gage.

Treisman and Gelade, Deutsch And Deutsch, Cherry Aid,

Broadbent, Moray, Pay Attention.

 

VERSE 4:

TMS PET NIRS EEG

fMRI MEG BOLD EMG

ERP SCR MMN GSR

RT SPECT — Find Out What it Means For Me.

 

CHORUS

 

VERSE 5:

Pavlov, Kiss-Me-Katz, Gregory, Sacks and Hats,

Kanwisher, FFA, Ramachandran, Piaget.

Christof Koch, Rensink, Most, Simons with Gorilla Ghost,

Tulving, Luria, Hebbian Decay.

 

VERSE 6:

Rizzolati, Posner, T. Robbins, Malenka,

Adrian, Owen, Saving Us from Locked-in.

Rutter, The Frith Crew, What The Hell Will Le Doux Do?

Psychos Getting Physical, Science Going Digital…

 

CHORUS

 

VERSE 7:

Alzheimers, Mattson, Vuilleumier, Emotion,

Hubel, Wiesel, Neurons Going Visual.

Subliminal Messaging, Are You Sure You’re Noticing?

Freg Gage, Braddick, Morris Going Plastic.

Flicker Paradigm, Dehaene and the Unseen Prime,

Kanizsa, Eriksen, Brains at the ICN.

 

CHORUS

 

FINAL CHORUS:

We didn’t start the scanner – but we’ve strong attraction to that big contraption.

Power down the magnet… write some publications on those activations.

Avviso: Annullato Seminario su Terapia dell’Abuso di Alcool 13-15 Aprile

AVVISO!! 

Ci dispiace comunicarvi che, per motivi di salute, il Professor Spada non può più partecipare all’evento:

“Terapia Cognitivo-Comportamentale dell’Abuso di Alcool”

che pertanto è stato annullato sia per la data del 13 Aprile a Modena che per il 15 Aprile a Bolzano.

In questo momento non siamo in grado di stabilire quando verrà recuperato, vi faremo sapere nei prossimi giorni.

 

AVVISO!

I Disturbi del Sonno interferiscono con il consolidamento della memoria a lungo termine

– Rassegna Stampa – 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheI disturbi del sonno impattano negativamente sul consolidamento della nostra memoria, secondo quanto riportato da uno studio pubblicato il 28 marzo sul journal PLoS ONE. Mentre in letteratura sempre più è riconosciuto il ruolo del sonno nel consolidamento mnestico, il gruppo di ricercatori guidato da Ina Djonlagic presso Brigham and Women’s Hospital di Boston hanno ulteriormente approfondito la questione.

Lo studio ha verificato che i pazienti con un sonno discontinuo e frammentato (in particolare con diagnosi di apnee notturne) presentano un livello significativamente inferiore di aumento del consolidamento mnestico durante la notte e un peggioramento nell’esecuzione di un nuovo compito motorio (memoria procedurale) rispetto a un gruppo di controllo.

Entrambi i gruppi presentavano livelli di apprendimento e di performance comparabili durante la fase di training, suggerendo che il disturbo del sonno occorso durante la notte sia plausibilmente legato alla successiva riduzione della performance al risveglio (sia in termini di tempi di reazione che di errori commessi) rispetto al gruppo di soggetti che non presentava disturbi del sonno.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

Psicoterapia: Il Disputing Logico-Empirico di Beck

 

Psicoterapia: Il Disputing Logico-Empirico. - Immagine: © Carsten Reisinger - Fotolia.comCon il disputing empirico il terapeuta chiama il paziente a riflettere su come egli immagina concretamente che avvengano gli eventi negativi, e su quali prove concrete e tratte dalla sua esperienza quotidiana si basano questi pensieri catastrofici.

Insomma, esistono delle prove di fatto per tanta negatività? Il più delle volte, infatti, il paziente non ha riflettuto per nulla sulle sue idee catastrofiche, ma le ha date per scontate, come verità di per sé evidenti. Spesso il paziente non si rappresenta il percorso logico o empirico che lo ha portato a concepire le sue valutazioni negative. Semplicemente, egli vede nella sua immaginazione degli eventi temuti ed è spaventato da quelle immagini, non facendo alcuna distinzione tra pensiero e realtà.

Per il paziente è sufficiente pensare a qualche guaio per aver paura e stare in ansia. Pensare un pericolo corrisponde alla effettiva esistenza del pericolo. Quanto sia poi fondato questo timore, il paziente non solo non lo sa, ma nemmeno si è mai posto il problema. Per questo, a volte, è sufficiente chiedere al paziente: ma come avverrebbero queste disgrazie per incrinare l’edificio del pensiero negativo.

Psicoterapia: a che le serve ragionare così? Il Disputing Pragmatico secondo Ellis. - Immagine: © zero13 - Fotolia.com
Articolo consigliato: Psicoterapia: a che le serve ragionare così? Il Disputing Pragmatico secondo Ellis

Per esempio, la paziente Annagrazia B. riferì in prima seduta di temere intensamente la morte per incidente automobilistico. Alla semplice domanda:

T.: “Ma come avverrebbe questo incidente?”

La paziente rimase perplessa per qualche secondo. Poi rispose:

P.: “Sa che non ci avevo mai pensato? Mi limitavo a immaginare, anzi proprio a vedere, me stessa morta sul marciapiede e a provare terrore. Non mi ero mai chiesta come ci arrivassi a essere morta sul marciapiede”

La paziente ha già fornito uno spiraglio che il terapeuta deve allargare.

T.: “E allora chiediamocelo. Come può arrivarci ad essere morta sul marciapiede. Pensiamoci insieme: come avverrebbe questo incidente?”

A questo punto la paziente può iniziare da sola a criticare la sua convinzione. Oppure no, può rimanere perplessa. È tipico di molti pazienti ansiosi questa difficoltà nell’immaginare concretamente gli eventi. Spesso queste persone hanno contenuti mentali molto astratti, che si presentano alla mente in forma di discorso interiore, quindi verbale, e non in forma di immaginazione vivida e dinamica di eventi. Secondo Borkovec (1994), la forma verbale è più prossima all’astrazione e più incline a produrre ampi salti associativi. La paziente probabilmente ha associato l’idea di automobile con quella d’incidente automobilistico. Oppure ha associato due immagini piuttosto statiche: automobile e morte sul marciapiede, senza pensare a tutti gli eventi precedenti e intermedi. Sta al terapeuta incoraggiare la paziente a riempire gli spazi vuoti.

 

T.: “Ci pensi bene: come ha fatto ad arrivare morta sul marciapiede? Tra lei che guida e lei morta sul marciapiede ci sono una serie di eventi che non deve dare per scontati. Qui ci sono solo due scene. Produciamo uno scenario più ricco. Facciamo una serie di ipotesi. Fingiamo che lei sia la sceneggiatrice di un film. Che ci mette tra lei alla guida della sua auto e lei morta sul marciapiede?”

Incoraggiare il paziente o la paziente a immaginare visivamente, a “filmare” la sequenza degli eventi negativi è un modo per stimolare un pensiero più concreto. La concretezza a sua volta permette di riesaminare criticamente quanto sia probabile che l’evento si realizzi e come possa avvenire. 

Se ancora una volta il paziente non reagisce, dimostrando una vera e propria difficoltà nell’immaginare scene dinamiche, il terapeuta può e deve guidare il paziente passo passo.

T.: “Le do qualche suggerimento per lavorare su questo evento catastrofico. Immagina di essere stata investita? Immagina di essersi distratta e di essere finita fuori strada?”

Per ogni risposta della paziente occorre incoraggiarla a rendere tutto più dettagliato, concreto. La paziente può rispondere che teme di distrarsi o che teme di essere investita. Nel primo caso è bene far riflettere la paziente sul fenomeno del distrarsi.

Psicoterapia Cognitiva: "Cosa non le va in questo?" Come iniziare il Disputing del Pensiero Negativo. - © Lisa F. Young #16136135
Articolo consigliato: Psicoterapia Cognitiva: "Cosa non le va in questo?" Come iniziare il Disputing del Pensiero Negativo.

T.: Le do qualche suggerimento per lavorare su questo evento catastrofico. Immagina di essere stata investita? Immagina di essersi distratta e di essere finita fuori strada?”

Ancora una volta, nulla va dato per scontato. Se la paziente teme di distrarsi, occorre insistere su quell’evento per sdrammatizzarlo.

T.: “Come avviene una distrazione? Ci pensi: lei, mentre guida, si distrae? E quante volte accade? Certo, ci sono rapidi momenti di distrazione. Ma ragioniamo, quanto deve durare una distrazione veramente pericolosa?”

Può capitare che la paziente confonda uno stato di normale guida rilassata con la distrazione. Naturalmente la critica delle prove di fatto delle preoccupazioni va calibrata sul tipo di evento temuto.

Ci sono eventi la cui negatività è molto soggettiva e discutibile, come ad esempio tutti i timori di tipo sociale: timore di parlare in pubblico, timore di non essere simpatici, timore di non essere attraenti, e così via. In questo caso si può lavorare molto sul significato soggettivo dell’aspetto negativo degli eventi temuti.

In altri casi gli eventi temuti sono difficilmente etichettabili come soggettivamente catastrofici: timore di incidenti, sciagure, e così via. In questi altri casi è più facile allora riconsiderare la stima delle probabilità che l’evento accada.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

  • Borkovec, T. D. (1994). The nature, functions, and origins of worry. Davey, Graham C. L. (Ed); Tallis, Frank (Ed), (1994). Worrying: Perspectives on theory, assessment and treatment. Wiley series in clinical psychology., (pp. 5-33). Oxford, England: John Wiley & Sons, xv, 311 pp.

Autismo e Neurotipicità. Un incastro imperfetto…ma possibile!

 

Autistici e Neurotipici. Un Incastro Perfetto. - Immagine: © Texelart - Fotolia.com C’era una volta un bambino nato in mondo strano, fatto di luci abbaglianti, suoni assordanti e odori nauseanti. Non capiva come mai quella che poi avrebbe imparato a chiamare “mamma” lo costringesse a indossare abiti che pungevano tanto da farlo impazzire e perché ci tenesse a riempirlo di baci che gli lasciavano le guance così appiccicose da non dormirci la notte. Col passare degli anni questi ed altri fastidi andarono diminuendo e così l’interesse verso l’ambiente circostante lo spinse a cercare di comunicare le proprie esigenze agli alieni che gli stavano attorno. Più cercava di esprimersi, però, più riceveva ulteriori punizioni. Un giorno, per esempio, decise di uscire di casa con mamma senza protestare perché con lui era cresciuta anche la curiosità di vedere cosa ci fosse là fuori. Purtroppo si ritrovò ingabbiato in una specie di sedia a quattro ruote che si muoveva producendo un insopportabile rumore metallico. Le vibrazioni delle ruote gli creavano un fastidioso prurito lungo tutta la colonna vertebrale e le luci al neon lo rendevano incapace di vedere altro. Poteva però sentire le mani, che immaginava essere della madre, accarezzargli i capelli ed aveva la sensazione che ad ogni gesto gli venissero strappate intere ciocche.

Fu difficile per questo bambino insegnare alla mamma quanto il mondo da cui sentiva di provenire fosse diverso da quello in cui si ritrovava, ma col tempo le cose migliorarono. Lui fu in grado di spiegarle le sue difficoltà e lei trovò il modo di aiutarlo ad adattarsi alla sua strana realtà e da quel giorno impararono a volersi davvero bene ed anche ad andare insieme al supermercato… senza carrello però.

Autismo - Disturbo dello Spettro Autistico. - Immagine: © LiveStock - Fotolia.com
Monografia consigliata: Autismo – Disturbo dello Spettro Autistico

Questo è ciò di cui si è essenzialmente parlato il mese scorso a Crema, in occasione di un interessante convegno dal titolo “Percezioni sensoriali e comunicazione nell’autismo”.

Ospiti internazionali hanno intrattenuto il pubblico descrivendo gli individui con disturbi dello spettro autistico come soggetti caratterizzati soprattutto da un diverso modo di percepire la realtà che ne condiziona il comportamento e le abilità comunicative.

Questa attenzione al mondo sensoriale dei soggetti autistici dovrebbe trovare finalmente riscontro anche nei criteri diagnostici elencati nel DSM V  e, come sottolineato a più riprese dai relatori del convegno, dovrebbe direzionare qualsiasi intervento terapeutico a loro rivolto.

Così come genitori e professionisti danno per scontato l’obiettivo di promuovere le abilità degli autistici necessarie all’adattamento alla nostra realtà, altrettanto impegno dovrebbe essere dedicato all’individuazione della loro diversità sensoriale. Soltanto così si potranno definire obiettivi terapeutici sensati e rispettosi del benessere dell’individuo.

Non possiamo avere la presunzione di sapere meglio di loro cosa possa renderli felici o meno, possiamo solo sperare che siano disposti a fare il sacrificio di adattarsi alla nostra bizzarra “cultura” ma questa fatica potrebbe essere dimezzata se fossimo disposti a venirci incontro.. rinunciando per esempio alle luci al neon nelle scuole.

Ci stanno chiedendo troppo?

Giornata Mondiale dell’ Autismo. A che punto è la ricerca?

– Rassegna Stampa –

  

Un anno di ricerca sui Disturbi dello Spettro Autistico 

 

 Giornata Mondiale dell' Autismo. A che punto è la ricerca? Mappato il gene che regola il centro esecutivo del cervello durante l’arco di vita – Febbraio 2012

Per la prima volta gli scienziati hanno mappato l’attività, lungo l’arco di vita, di un meccanismo regolatore sensibile all’ambiente in grado di attivare o disattivare i geni del centro esecutivo cerebrale. Tra i principali risultati dello studio vi è la scoperta che i geni implicati nella schizofrenia e nell’autismo fanno parte di un particolare gruppo che presenta picchi di attività regolatoria correlata alla sensibilità  all’ambiente e a situazioni di criticità nel corso dello sviluppo.

La federazione NDAR ha creato la più grande banca dati per la ricerca sull’autismo – Dicembre 2011

Una partnership di dati tra il National Database For Autism Research (NDAR), e l’ Autism Genetic Resource Exchange (AGRE) lo rende forse il più grande archivio di dati di imaging, genetici, fenotipici, clinici e medici in materia di ricerca sui disturbi dello spettro autistico (ASD).

 

L’interazione con i compagni migliora le competenze sociali nei bambini con ASD – Novembre 2011

Secondo uno studio finanziato dal National Institutes of Health i bambini affetti da disturbo dello spettro autistico (ASD) possono migliorare le loro competenze sociali frequentando la scuola se anche i loro coetanei vengono istruiti sulle modalità di interazione. 

 

I neuroni cresciuti da cellule della pelle possono contenere indizi utili alla comprensione dell’autismo – Novembre 2011

I bambini affetti dalla sindrome di Timothy – una rara malattia genetica che colpisce meno di 20 persone in tutto il mondo – mostrano spesso i sintomi dei disturbi dello spettro autistico affiancati da una serie di problemi fisici. Utilizzando la tecnologia “disease-in a-dish”, i ricercatori hanno sviluppato, partendo da cellule della pelle, dei neuroni per studiarne i pattern di malfunzionamento.

 
 
Problemi nella crescita prenatale del cervello legati all’autismo – Novembre 2011

L’autismo comporta spesso una crescita precoce ed eccessiva del cervello, anche nella corteccia prefrontale (PFC). Anche se è stato teorizzato che questa anomalia della PCF sia alla base di alcuni sintomi autistici, i difetti cellulari che causano la crescita anomala rimangono sconosciuti. Da questo studio risulta che i bambini autistici hanno un maggior numero di cellule cerebrali e cervelli più pesanti rispetto ai bambini con sviluppo tipico.

 

Il rischio di autismo nei fratelli più piccoli è maggiore di quanto si pensasse – Agosto 2011

I genitori di un bambino con disturbo dello spettro autistico (ASD) hanno una probabilità circa il 19% che anche i figli successivi sviluppino ASD; in studi precedenti la probabilità stimata era del 3-4%.

 

Eredità genetica e fattori ambientali condivisi fra gemelli autistici – Luglio 2011

Nello studio sui gemelli più grande e più rigoroso del suo genere si è scoperto che l’ambiente condiviso influenza la sensibilità all’autismo più di quanto si pensasse in precedenza.

 

L’autismo rende sfuocati i confini tra le diverse aree cerebrali – Giugno 2011

Questo studio suggerisce che l’autismo cancelli le differenze molecolari che normalmente contraddistinguono differenti regioni del cervello. Tra più di 500 geni che normalmente si esprimono in modo significativamente differente nelle diverse arre cerebrali, solo 8 mostrarono tali differenze nel cervello di persone autistiche.

 

In Corea del Sud molti bambini in età scolare con un disturbo dello spettro autistico non vengono diagnosticati – Maggio 2011

La prevalenza dei disturbo dello spettro autistico (ASD) tra i bambini in Corea del Sud sembra essere molto superiore al range di stime conosciute per altri paesi. Inoltre due terzi dei casi di ASD sono stati riscontrati in bambini che frequentano scuole ordinarie, senza che ci fosse quindi mai stata una precedente diagnosi e quindi nessun trattamento adeguato.

 

Un esame di soli 5 minuti può identificare sottili segni di autismo in bambini di un anno – Aprile 2011

Una checklist di cinque minuti che i genitori possono compilare nelle sale d’attesa degli studi pediatrici potrebbe in futuro aiutare nella diagnosi precoce dei disturbi dello spettro autistico. Lo studio fornisce anche un modello per lo sviluppo di una rete di pediatri in grado di fornire tale servizio.

 

Un aiuto a trovare lavoro per i giovani con ASD – Aprile 2011

JobTIPS, un programma on-line che mira ad aiutare i giovani con disturbi dello spettro autistico (ASD) o con altre disabilità a sviluppare e mantenere le competenze necessarie per avere successo in ambito lavorativo. Questa risorsa si rivolge al periodo critico e di transizione in cui gli adolescenti lasciano il sistema scolastico, che di solito è la loro fonte primaria di servizi che mantengono una continuità per tutta l’infanzia.

 

 Raccolta Monografica sul Disturbo dello Spettro Autistico

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