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Le canzoni nei giardini che nessuno sa. Gruppo di Ascolto in Ospedale #2

Per molti dei pazienti gravi che seguo, il gruppo di ascolto musicale rappresenta un buon punto di osservazione per i cambiamenti nel tempo.

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 20 Mar. 2012

 

Niente paura, ci pensa la vita mi han detto così…
Niente paura, Luciano Ligabue, 2007

 

LEGGI LA PRIMA PARTE DELL’ARTICOLO.

Le canzoni nei giardini che nessuno sa. Gruppo di Ascolto in Ospedale #2. - Immagine: © Freesurf - Fotolia.comMolti dei pazienti gravi che passano dal reparto dove lavoro a Villa Igea (il mitico reparto 40…chiamare il reparto per numero ha un po’ sapore di padiglione manicomiale, per questo alcuni reparti sono stati ribattezzati con nomi di alberi: la Quercia, il Nespolo, etc…) fanno ricoveri ripetuti a distanza di mesi o anni e il gruppo di ascolto musicale rappresenta un buon punto di osservazione per i cambiamenti delle persone nel tempo. Molto spesso si notano importanti differenze nella percezione delle canzoni anche tra l’inizio e la fine del ricovero. Vediamo qualche esempio.

 

 

Le Canzoni nei giardini che nessuno sa. Gruppo di Ascolto Musicale in Ospedale. - Immagine: © spiral - Fotolia.com
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M è una donna di quarantanove anni, affetta da epilessia e da una grave forma di depressione con idee autolesive esordita dopo che il figlio ventenne, tossicodipendente, si è suicidato in carcere. Un dolore immenso. La prima volta che ha partecipato al gruppo è scappata fuori dalla sala in lacrime durante le prime note di Pensieri e parole (1971) di Lucio Battisti, in quanto il brano le provocava una nostalgia troppo intensa del figlio, appassionato del cantautore di Poggio Bustone. Nel ricovero successivo a distanza di un anno, dovuto più a problematiche di contesto famigliare che a uno stato depressivo, M è riuscita a partecipare al gruppo e ad ascoltare Il mio canto libero (1972) segnando sulla scheda di provare tantissima tristezza e nostalgia, mista però a gioia, serenità ed estasi. Ha riportato durante l’ascolto di avere avuto l’immagine di “Un angelo che mi guardava” e che questo le faceva un effetto positivo. Nei mesi era avvenuta l’elaborazione psicologica della perdita e anche uno stimolo così potente come l’ascolto della canzone preferita del figlio era diventato per lo meno sopportabile.

Lo stesso brano a L, quarantadue anni, due figli piccoli affidati al marito, affetta da una grave forma di psicosi paranoide e inserita da due anni in una residenza psichiatrica ha fatto un effetto decisamente più negativo. Le ha suggerito l’immagine di “Avere una gabbia intorno alla testa”, provando tristezza e mancanza di speranza perché sta male dall’età di ventiquattro anni e ha avuto un percorso costellato da ricoveri, cambi di terapie e ricadute. La gabbia sottolinea come la malattia mentale grave possa privare della propria libertà. Ma l’immagine così forte mi ha fatto venire in mente che anche l’istituzione manicomiale non esitava a usare gabbie per la testa. Nel museo della storia della psichiatria del San Lazzaro di Reggio Emilia è ancora visibile il cosiddetto “casco del silenzio”1, una cuffia dotata di una sorta di museruola che impediva alle persone di urlare, ma anche di parlare.

Il mio Psicoterapeuta suona il Rock! - Immagine: © Isaxar - Fotolia.com -
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Anche per D, un uomo di 35 anni, affetto da disturbo di personalità dipendente e depressione grave con diversi e seri tentativi autolesivi, avvenuti in seguito all’abbandono da parte dalla moglie dopo avere avuto il primo figlio, la partecipazione al gruppo è stata molto difficile all’inizio. Al primo incontro a cui ha partecipato non riusciva a tollerare l’ascolto delle canzoni. Alla fine del percorso, anche grazie al lavoro psicologico individuale, ascoltando Ho imparato a sognare (2003) dei Negrita, ha provato tristezza e malinconia rivedendo “immagini di un tempo ormai passato quando io e la mia ragazza stavamo insieme”, anche in questo caso decisamente più tollerabili.

 

 

La saggezza del Rock' n' roll. - Immagine: © Isaxar - Fotolia.com
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A volte le canzoni hanno un effetto addirittura miracoloso (seppure temporaneo…purtroppo). B, ad esempio, è una donna di quarantatrè anni ricoverata per un grave stato depressivo ricorrente e con precedenti tentativi autolesivi (flebotomia e ingestione incongrua di farmaci). Presenta spiccati tratti di personalità dipendente e l’attuale ricaduta è in relazione alla fine di una storia sentimentale durata quindici anni, seppur tra separazioni e riunioni. Il motivo della rottura è stato che lei voleva sposarsi o andare a convivere, ma lui non voleva. L’ascolto della canzone Willy il Coyote (1993) di Eugenio Finardi l’ha portata a guardare per la prima volta la propria situazione con un certo distacco, a identificarsi con Willy il Coyote, che le prova tutte per raggiungere il proprio obiettivo (nel caso della paziente di sposare il fidanzato), ma gli va sempre storta.

A questo punto non possiamo non spendere qualche parola sul rapporto tra umorismo e disagio psichico.

L’ironia può essere talvolta portatrice di una “sana trasgressione” dell’ordine delle cose, che può favorire una ricostruzione creativa e rivitalizzata della propria realtà interrelazionale e intrapsichica, determinando anche la rottura di schemi stereotipati (Querini e Lubrani, 2004).

Musica & Terapia: "La prossima volta porti la chitarra". - Immagine: © RA Studio - Fotolia.com
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Seguendo le indicazioni provenienti da altri contesti musicoterapeutici (Manarolo G., 1995) di solito sui tre brani che si ascoltano parto sempre da un brano non troppo impegnativo emotivamente (almeno secondo il mio giudizio), per poi affrontare un brano più evocativo e terminare con uno abbastanza spensierato, anche per non lasciare “ferite aperte” per il pomeriggio (il gruppo si tiene dalle 13 alle 14), quando la presenza di medici e psicologi è ridotta.

Un brano con cui a volte ho terminato l’incontro è stato Il cielo è sempre più blu (1975) di Rino Gaetano. A questo proposito mi ha colpito la scheda di M, 38 anni, affetto da disturbo bipolare in fase depressiva, che ha provato molta speranza, spensieratezza e gioia, scrivendo tra i pensieri “datemi la formula per incarnare questa canzone in tutte le situazioni”.

Un altro brano molto rassicurante è Niente paura (2007) di Ligabue. Mi è capitato di ascoltare questa canzone insieme a N, un uomo di quarantacinque anni che seguo in psicoterapia, affetto da depressione maggiore, mentre si trovava in un momento di particolare difficoltà relazionale con la compagna. Ascoltare la canzone insieme è stato molto emozionante e N si è commosso più volte durante l’ascolto. Credo che questa condivisione ci abbia fatto fare un passo avanti nella relazione terapeutica e la volta successiva mi ha riportato che durante la settimana si è spesso ripetuto mentalmente il ritornello “Niente paura…niente paura”, come un mantra, con un effetto rassicurante.

Un altro brano di Ligabue che ascoltiamo spesso è Non è tempo per noi (1990) il cui incipit è veramente denso di significati nella sua semplicità (questo del resto è il segreto delle canzoni ben riuscite e che rimangono nel tempo): “Ci han concesso solo una vita…”. E’ capitato diverse volte che pazienti con pregressi tentativi autolesivi o con gravi problematiche legate all’abuso di sostanze o altri comportamenti a rischio si soffermassero su queste parole segnandole sulla scheda. Sembra una frase banale, ma saggiamente i pazienti mi hanno fatto capire come sia importante ricordarselo.

Uno dei pregi della canzone è quello di dare più leggerezza a tematiche importanti e impegnative. Ad esempio R, uomo di trentacinque anni, ricoverato per un grave disturbo dismorfofobico con aspetti di personalità evitanti, ascoltando Si viaggiare (1977) di Lucio Battisti si è soffermato sulla frase “dolcemente viaggiare, rallentare per poi accelerare”, riportando di provare moltissima leggerezza e segnando sulla scheda “Ho pensato a questo momento di difficoltà della mia vita in cui sto frenando (come dice la canzone) e che devo poi accelerare (nel senso tornare a vivere)”.

Psicantria - Copertina disco -
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Il gruppo di ascolto offre spesso una fonte di stimoli da affrontare e approfondire poi durante le sedute psicoterapiche individuali. Ad esempio R, donna di quarantaquattro anni, ricoverata per alcolismo e disturbo di personalità depressivo, durante l’ascolto di My Way (1968) di Frank Sinatra ha provato un mix di emozioni che comprendono moltissima tristezza, nostalgia, speranza, gioia, potenza, piacere e molta calma, serenità e grandiosità. Una vera tempesta emotiva! Come immagini ha segnato “mi ricorda un immagine in bianco e nero di un gruppo di operai alla pausa pranzo che mangiano seduti su una traversa sospesa nel vuoto”2 (probabilmente si tratta della famosa foto scattata nel 1932 a New York durante la costruzione del Rockfeller Center). Si tratta di un’ immagine in cui si percepisce un evidente senso di precarietà e infatti tra i pensieri ha riportato “mi preoccupa un po’ non aver trovato ancora la mia strada…ma forse faccio ancora in tempo”. Tali tematiche sono poi state effettivamente riprese durante le sedute con la psicoterapeuta.

Le esperienze più negative nel gruppo (ma direi estendibili a diversi gruppi terapeutici) si sono verificate con pazienti affetti da disturbo di personalità narcisistico grave, in cui si presentano spesso aspetti di svalutazione, di disgusto e di invidia distruttiva (Kernberg, 1998; Dimaggio e Semerari, 2011). Mi ricordo ad esempio un paziente di quarantaquattro anni, affetto da depressione e disturbo di personalità narcisistico, che all’ascolto di Certe Notti (1997) di Ligabue ha fatto un pesante attacco svalutativo nei confronti del gruppo terapeutico in quanto a suo avviso tale brano lo rimandava a “certi posti nella bassa, pieni di gente che beve” e per quello ascoltare tale canzone sarebbe stato deleterio per le persone ricoverate per alcolismo. In quel caso gli alcolisti presenti gli hanno fatto notare come fosse una sua personale associazione quella tra alcol e Certe Notti, non condivisa dagli altri. E la musica è ripartita.

 

 

BIBLIOGRAFIA:  

  • Querini P., Lubrani F. Ironia, umorismo e disagio psichico. Franco Angeli, 2004
  • Kernberg, O. (1998), Narcisismo patologico e disturbo narcisistico di personalità, in Ronningstam, E. F., I disturbi del narcisismo, Raffaello Cortina, Milano, 2001.
  • Dimaggio G, Semerari A. (2011). I disturbi di personalità. Modelli e trattamento. Laterza
  • Manarolo G. (1995). L’angelo della musica. Musicoterapia e disturbi psichici. Omega Edizioni

 

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