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Iniziare una terapia cognitiva #2: stabilire gli obiettivi

Perché il paziente si presenta in terapia? Perché richiede un trattamento? Cosa cerca, cosa richiede, cosa desidera, cosa si aspetta da noi?

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 20 Feb. 2012

Aggiornato il 12 Mar. 2012 16:06

 

Iniziare una terapia cognitiva: stabilire gli obiettivi. - Immagine: © Olivier Le Moal - Fotolia.com Perché il paziente si presenta in terapia? Perché richiede un trattamento? Cosa cerca, cosa richiede, cosa desidera, cosa si aspetta da noi e dalla terapia?

Queste domande non sono scontate. Anzi, è bene che i terapeuti cognitivi ci riflettano con attenzione. Spesso o talvolta legati a una visione astrattamente razionalistica della terapia, riteniamo che il nostro compito si concentri (o si limiti) ad accertare e ristrutturare le convinzioni cognitive irrazionali o disfunzionali. Ma fare solo questo e ritenere che tutto il resto scaturisca automaticamente dalla ricerca dell’errore cognitivo è a sua volta un errore.

Non dobbiamo dimenticare che in terapia le convinzioni cognitive si definiscono irrazionali non in termini assoluti, ma in rapporto agli scopi e ai bisogni del paziente. Il livello di abilità sociale di cui ha bisogno una persona che deve effettuare frequenti prestazioni pubbliche, discorsi, relazioni, esibizioni, è differente da quella richiesta a persone a cui non capitano spesso queste occasioni. Si tratta quindi di razionalità strumentale e pragmatica e quindi di funzionalità delle convinzioni. La domanda chiave non è sempre “cosa è giusto?” e nemmeno “cosa è vero?” ma piuttosto: “a che ti serve questo in rapporto a ciò che desideri?

A loro volta gli stessi obiettivi proposti dal paziente, i suoi desideri, vanno sottoposti a una valutazione critica. Non è scontato che ciò che ci chiede il paziente sia compatibile con una terapia. Un paziente potrebbe chiederci obiettivi che sarebbe più opportuno sottoporre a un avvocato (“il mio problema è che qualcuno mi perseguita”) o un personal trainer di una palestra (“mi devo rafforzare, sono fisicamente fragile”). Certo, il fatto che il paziente si sia rvolto a uno psicoterapeuta significa che in qualche modo egli percepisce la qualità psicologica e non materiale dei suoi problemi. Egli sa che in qualche modo il suo problema andrebbe riformulato in termini differenti: il paziente ha l’impressione di essere perseguitato, il paziente ha l’impressione di essere debole. Si tratta di valutazioni, convinzioni. Ma convinzioni che si esprimono in termini di scopi, obiettivi.

Iniziare una Terapia Cognitiva: Concordare le Regole. - Immagine: © Bernard BAILLY - Fotolia.com
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Gli obiettivi vanno quindi chiariti e condivisi. Se riteniamo che gli obiettivi proposti del paziente siano anch’essi disfunzionali e irrazionali, dobbiamo discuterli e confrontarci col paziente per arrivare a formulazioni condivise. Se questa condivisione non c’è, il lavoro terapeutico ne verrà danneggiato. Si tratta della cosiddetta alleanza di lavoro, che non va confusa con la relazione terapeutica (Bordin, 1979). Essa ne è solo una componente, ma forse è la componente più interessante dal punto di vista cognitivo, essendo quella più sensibile a un accertamento e a una ristrutturazione esplicite e quindi cognitive.

Per esempio, forse possiamo ritenere che un paziente desideri un livello di abilità sociale irrealistico o anche inutilmente elevato in rapporto al suo benessere. Costui desidera esercitare un fascino irresistibile e ci chiede di rimuovere le convinzioni irrazionali che gli impedirebbero di diventare estremamente simpatico. Davanti a noi c’è una persona di normale umanità e capacità relazionale, forse addirittura un po’ più timida della media, che desidera diventare il re delle serate tra amici. E inoltre costui, avendo raccolto su internet qualche informazione sulla terapia cognitiva, avendo afferrato qualcosa sul rapporto tra convinzioni irrazionali e sofferenza, ha pensato che la terapia cognitiva fosse lo strumento giusto per incrementare le sue capacità sociali. E magari può presentarsi in terapia proprio con la richiesta specifica di rimuovere quelle convinzioni che lo danneggiano nella prestazione sociale.

 

P.: Il mio problema è che non sono così simpatico come potrei. Ho letto qualche libro di Ellis. Mi ha colpito l’idea delle piccole frasi che ci diciamo che ci danneggiano. Forse anche io faccio così. Forse basterebbe che io smettessi di pensare qualcosa di sbagliato per diventare simpatico. Le chiedo questo.

Il che, in fondo, è ancora accettabile, sebbene occorra sempre andarci piano prima di promettere troppo. La richiesta terapeutica giusta non è tanto diventare più simpatici, ma star meglio, diminuire la sofferenza. Con questo paziente potremo convenire che la sua sofferenza avvenga soprattutto in contesti sociali, e anche che soffrendo meno effettivamente potrà avere più successo sociale.

T.: Beh, si, effettivamente la terapia cognitiva può aiutare anche a migliorare le nostre relazioni sociali. Però non è un addestramento in cui si apprende un’abilità. Si tratta di una terapia. L’obiettivo per noi è sempre superare la sofferenza. Stare meglio. Sia da soli che co gli altri. Probabilmente poi, stando meglio in mezzo agli altri, la sua compagnia diventerà più piacevole, più simpatica se vogliamo.

La stessa richiesta può essere espressa in termini ancora meno accettabili e adatti a una terapia.

P.: Il mio problema è che non sono così affascinante e attraente come potrei.

T.: In che senso?

P.: Penso che potrei avere molto più successo con le donne se solo sapessi cosa dire e come fare. Prima pensavo che ero incapace. Poi ho letto qualche libro di Ellis. E ho pensato che forse sarei capace se solo la smettessi di danneggiarmi da solo. Mi ha colpito l’idea delle piccole frasi che ci diciamo che ci danneggiano. Forse anche io faccio così. Forse basterebbe che io smettessi di pensare qualcosa di sbagliato per riuscire a corteggiare le donne molto meglio di quanto faccia ora. Le chiedo questo.

T.: Non so se è corretto considerare la terapia cognitiva una sorta di addestramento a corteggiare. Qual è esattamente il suo obiettivo? Cosa si aspetta?

P.: Vuole che sia esplicito? Vorrei essere capace di convincere a venire a letto con me tutte le donne che mi piacciono.

Lo Specchio Riflessivo (Psicoterapia e Video Feedback) - Immagine: © skvoor - Fotolia.com -
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In questo caso la richiesta è particolarmente allarmante e poco in sintonia con obiettivi terapeutici. Chiedere di incrementare le proprie capacità seduttive in un contesto terapeutico è un campanello d’allarme di possibili aspetti istrionici e impulsivi del paziente che fa una richiesta del genere. Ma anche davanti a richieste più congrue e meno preoccupanti, come diventare più simpatici, occorre essere guardinghi.

Il problema con questo tipo di richieste è la possibile confusione tra terapia e addestramento. L’obiettivo terapeutico deve essere la sofferenza psicologica prima che l’efficienza comportamentale. Una volta chiarito questo, possiamo poi anche comunicare al paziente che il benessere può facilitare l’efficienza e perfino tentare qualche applicazione addestrativa della terapia. È vero che la terapia cognitiva, rispetto ad altri orientamenti terapeutici può essere quella più disposta a contaminarsi con tecniche di addestramento, cosiddette skills training. Tuttavia l’obiettivo rimane la sofferenza psicologica e la cura dei sintomi. Per questo si dice che il paziente deve esprimere gli obiettivi in termini “internalizzati” e non “esternalizzati”.

La terapia cognitiva, sebbene applicabile a molti tipi di sofferenza psichica, ha sviluppato modelli clinici particolarmente sofisticati ed efficienti per i disturbi di tipo ansioso e depressivo. Quando gli obiettivi terapeutici non sono particolarmente chiari, un modo per orientare la terapia in una direzione per così dire “cognitiva” la terapia è focalizzarsi sulla sofferenza di tipo ansioso e depressivo: chiedere al paziente quali sono le sue paure e le sue malinconie, quando si presentano e come, e proporre al paziente di concentrarsi su quelle. Qualunque altro obiettivo potrà essere discusso e rinegoziato in un secondo momento.

In ogni caso gli obiettivi non sono mai definitivi ma sempre rinegoziabili a vari intervalli durante la terapia.

 

 

BIBLIOGRAFIA:  

  • Bordin, E. S. (1979). The generalizability of the psychoanalytic concept of the working alliance. Psychotherapy: Theory, Research & Practice, 16(3), 252-260.
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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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