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Applicazioni cliniche della Teoria polivagale di Porges – Report dal convegno

Nel convegno la dott.ssa Giovannozzi ha mostrato le ricadute cliniche della Teoria polivagale, tra cui l'importanza di dare un ambiente sicuro al paziente. %%page%%

Di Annalisa Bertuzzi

Pubblicato il 10 Dic. 2015

Lo scorso 28 novembre l’istituto Feel Safe ha organizzato una giornata di approfondimento in cui la dott.ssa Gabriella Giovannozzi ha esaminato le ricadute, nella pratica clinica, della Teoria polivagale elaborata da Stephen Porges.

Tale teoria offre una chiave di lettura per comprendere il malessere dei pazienti in un’ottica relazionale, mettendo l’accento sui meccanismi fisiologici implicati nel processi di adattamento all’ambiente. In questo quadro, un intervento clinico efficace deve essere in grado di favorire, nel paziente, la percezione dell’ambiente come sicuro, in modo da determinare una condizione di benessere fisico e mentale che si traduce nella capacità di saper regolare il proprio stato psicofisiologico.

La sicurezza rappresenta, infatti, una condizione essenziale affinché una persona possa stare bene e guarire: senza sicurezza non ci può essere né relazione, né regolazione, perché senza sicurezza la nostra energia, il nostro metabolismo e il nostro battito cardiaco sono impegnati nella difesa. Come ci possono essere, quindi, benessere, crescita e guarigione se non c’è sicurezza? Tradotto in termini clinici ciò significa che quando lavoriamo con un paziente la nostra prima preoccupazione, il primo requisito di ogni operazione terapeutica, dovrebbe essere quella di creare una condizione di sicurezza, non solo rispetto a passato, ma anche e soprattutto nel presente del contesto terapeutico (setting e relazione).

La Teoria polivagale ripensa il funzionamento del Sistema Nervoso Autonomo non in termini di antagonismo tra il sistema simpatico e parasimpatico, bensì in termini di gerarchie di risposta; un aspetto molto importante è l’esistenza di un ramo mielinizzato del parasimpatico (detto nervo vago mielinizzato o ventrovagale) che funge da sistema di regolazione e origina in un’area del tronco encefalico denominata nucleo motorio del vago.

Il nervo vago è costituito da una famiglia di nervi (da qui il nome di teoria polivagale): il ramo dorsovagale e il ramo ventrovagale, a sua volta suddiviso in due componenti, una componente viscero motoria, che regola le viscere al di sopra del diaframma (cuore e respiro), e una componente somatomotoria, che regola i muscoli del collo, della faccia e della testa (il sorriso, il contatto oculare, la vocalizzazione, l’ascolto), in altre parole tutto ciò che è implicato nell’interazione sociale verso cui noi mammiferi siamo orientati in condizioni di sicurezza.

Il primo circuito che compare (il più arcaico filogeneticamente) è quello denominato dorsovagale, osservabile nei rettili e nei mammiferi superiori; è collegato con la regolazione dei processi vegetativi e del funzionamento degli organi posti al di sotto del diaframma. Si attiva in condizioni di pericolo estremo, creando uno stato di rallentamento che arriva fino all’immobilizzazione (la difesa dei rettili), e determina, quindi, uno stato di immobilità che non nasce da una condizione di sicurezza, bensì da estrema paura. Nei mammiferi superiori questa condizione di immobilizzazione con paura è collegata all’ottundimento mentale e alla perdita del senso di controllo e le emozioni sottostanti sono tristezza, disgusto, imbarazzo e, ovviamente, paura.

Quando il circuito dorsovagale è attivo riscontriamo, nella persona, uno stato di prostrazione: muscoli flaccidi, sguardo perso nel vuoto, cuore bradicardico e movimento del collo all’indietro (il movimento della tartaruga, come a volersi nascondere). Il corpo è stanco e pesante e tende al movimento verso il basso; si verifica un rallentamento delle risposte muscolari e scheletriche con riduzione dell’apporto di ossigeno. Lo stato dorsovagale si associa frequentemente a condizioni depressive.

Uno stadio filogenetico successivo ha portato allo sviluppo del sistema simpatico, che regola la capacità metabolica e il battito cardiaco, ossia tutte quelle reazioni che, a livello fisiologico, sono collegate al meccanismo di attacco-fuga, la reazione di difesa elettiva del mammifero di fronte al pericolo; il sistema simpatico, quando si attiva, inibisce il tratto gastrointestinale, che è molto dispendioso in termini energetici (se devo difendermi da un pericolo la digestione passa in secondo piano…). L’attivazione del sistema simpatico è osservabile attraverso uno stato di mobilizzazione: aumentano le tensione muscolare, l’ossigenazione , la vasocostrizione e la frequenza del battito cardiaco; l’energia fluisce verso l’avanti e verso l’alto, la mandibola si serra. In questo caso, le emozioni sottostanti sono la paura e la rabbia.

Lo stadio filogenetico ancora successivo ha portato allo sviluppo del circuito ventrovagale, che è specifico dei mammiferi superiori e dell’uomo; si tratta di un circuito che ha un effetto calmante e frenante, perché frena l’attività del simpatico; il battito cardiaco decelera, ma, in questo caso, si tratta di un’immobilizzazione senza paura, in assenza di pericolo. Quando la persona è in uno stato ventrovagale il battico cardiaco rallenta (ma non è la bradicardia dovuta alla paura, come avviene nello stato dorsovagale), il respiro diventa più lento e profondo, avviene la modulazione dei muscoli dell’orecchio medio (che migliora la capacità di prestare ascolto e comprendere) e possiamo osservare movimenti armonici del collo e della testa.

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Applicazioni cliniche della Teoria polivagale di Porges – Report dal convegno_testo

Il sistema di autoregolazione parte, quindi, da un sistema primitivo di inibizione (il sistema rettiliano), si affina, nel corso dell’evoluzione, con il sistema di attacco-fuga, e culmina in un sistema sofisticato di ingaggio sociale mediato dalle espressioni facciali e dalla vocalizzazione.

Come conseguenza, un individuo in interazione sociale può stabilizzare la sua condizione neurofisiologica: se l’ambiente viene percepito come sicuro le risposte di difesa vengono inibite e la condizione di sicurezza che deriva dalla relazione si riflette nelle sensazioni viscerali.

Quando un paziente viene da noi terapeuti, che lavoriamo con la relazione, dovremmo sempre domandarci come possiamo strutturare questa relazione terapeutica in modo da offrire un contesto sicuro; in linea di massima, noi facciamo questo dando la nostra disponibilità, con la coerenza del setting che offre contenimento, mettendo a disposizione la nostra conoscenza e le nostre tecniche. Questo discorso diventa ancora più importante quando si lavora con i bambini, intervenendo sulle relazioni d’attaccamento, che rappresentano il luogo in cui si costruisce la sicurezza e quando ci si confronta con le tematiche dell’adozione e dell’affido, che non sono altro che una nuova opportunità, che viene data all’essere umano, di costruirsi sicurezza.

A livello diagnostico è importante fare una mappatura delle reazioni del sistema nervoso autonomo del paziente, ponendole su un continuum, mettendo sulla sinistra la condizione di ipoarousal estremo dovuto all’attivazione del circuito dorsovagale, passando poi per l’iperarousal dovuto all’attivazione del sistema simpatico, per arrivare ad uno stato ventrovagale che riflette sicurezza; torna utile individuare quale sia lo stile abituale di attivazione del paziente.

Di fatto, sia con i bambini che con gli adulti è importante lavorare su quello che accade dopo che la persona ha subito un trauma o una serie di traumi minori che hanno cumulato i loro effetti: la neurocezione, ossia capacità di valutare l’ambiente come sicuro o pericoloso, è compromessa, nel senso che si continua ad avere, a livello corporeo, la percezione di minaccia, di essere in pericolo. In questo quadro, è essenziale restituire al paziente un senso di sicurezza che passi anche attraverso le sensazioni corporee: se è attivo il circuito dorsovagale si cerca di stimolare l’energia riportandola verso l’alto e l’esterno (far alzare in piedi la persona, farla spingere o afferrare qualcosa, stimolare braccia e gambe, assecondare i movimenti, anche molto piccoli, di reazione attiva); se, invece, c’è un’attivazione eccessiva del sistema simpatico si cerca di riportare l’energia verso il basso (ad esempio attraverso il sentire il contatto con il terreno, ossia il grounding) valorizzando le sensazioni di autoregolazione.

Lo stato dorsovagale e lo stato di attivazione del sistema simpatico, nella loro apparente antiteticità, sono accomunati dal fatto che la persona si sente in pericolo e questo non le consente di coinvolgersi in una serena interazione sociale, dato che l’organismo sta fronteggiando una minaccia. Il nostro sistema nervoso autonomo è evoluto per passare rapidamente dalla condizione di coinvolgimento sociale (sicurezza -circuito ventrovagale attivo) ad una di reazione per affrontare un pericolo (minaccia – sistema simpatico attivo); se il pericolo viene meno la persona ritorna ad uno stato di regolazione, se persiste si attiva uno stato dorsovagale, associato a pericoli estremi, in un continuum che va dalla sicurezza all’immobilizzazione.

Possiamo individuare un altro stato ibrido denominato stato di freezing, che si colloca su una linea di confine quando, in presenza di una minaccia costante, la reazione simpatica sta lasciando il posto ad una reazione dorsovagale; è un blocco vigile, caratterizzato da completa cessazione del movimento ad eccezione della respirazione e dei movimenti oculari, frequenza cardiaca sostenuta, muscoli rigidi e tesi, acutezza sensoriale. Si tratta di uno stato di congelamento vigile, in cui si prova forte paura e si comincia a dissociarsi dalle sensazioni corporee, per ridurre la sofferenza emotiva.

Il passaggio opposto, quello da uno stato dorsovagale ad una attivazione del sistema simpatico (dall’immobilizzazione alla mobilizzazione), o da uno stato dorsovagale ad uno ventrovagale presuppongono una risalita più difficile da attuarsi: il sistema nervoso autonomo è configurato per scendere facilmente, non altrettanto facilmente per risalire verso una condizione di autoregolazione correlata ad uno stato di sicurezza. Di conseguenza, accade che il sistema nervoso di una persona che ha subito un trauma sia intrappolato nello stato di allerta dorsovagale o simpatico, come se il pericolo fosse sempre in atto, perdendo la propria flessibilità.

Possiamo aiutare il paziente a riagganciare le sensazioni corporee, conducendo un processo esplorativo volto ad aumentare la consapevolezza delle proprie sensazioni corporee e delle emozioni connesse, per ricreare uno stato di regolazione e permettergli di uscire dallo stato dorsovagale facendo, ad esempio, il confronto tra la situazione traumatica e il presente della situazione terapeutica, procedendo con molta gradualità.

Per, invece, far uscire il paziente dal freezing (in cui il sistema simpatico è attivo, ma in termini di paura) l’attenzione va spostata al dopo (cosa è successo dopo l’evento traumatico?) e dobbiamo fare attenzione, perché se ci limitiamo ad attivare il sistema simpatico rafforziamo lo stato di freezing; vi sono, inoltre, persone che sono in una costante agitazione dovuta ad attivazione del sistema simpatico, perché continuano a percepire un pericolo che non c’è oppure perché si aggrappano a questo stato come estrema difesa per non cadere in una reazione dorsovagale (un’agitazione apparente, in parole povere si difendono dall’abbattimento e dalla tristezza con l’eccitazione eccessiva).

In tutti i casi sopradescritti noi, in qualità di terapeuti, cerchiamo il più possibile di lasciare fuori il contenuto, il racconto dell’esperienza traumatica, concentrandoci sul presente, sul qui e ora, e sulle sensazioni corporee; l’obiettivo finale da porsi è arrivare a riattivare il sistema ventrovagale.

Il circuito ventrovagale ci permette, quando siamo in condizione di sicurezza, di promuovere altra sicurezza; noi intercettiamo questi segnali attraverso l’interazione sociale, decodificando in modo istintivo messaggi che derivano dal contatto oculare e dalla voce, inviando segnali di risposta, entrando in relazione e promuovendo l’autoregolazione delle sensazioni fisiologiche.

Per attivare il circuito ventrovagale abbiamo a disposizione anche alcuni espedienti, che agiscono a livello corporeo e hanno un effetto regolante:

  • Lavorare sul respiro (inspirazione corta, espirazione lunga, senza forzare per non andare in iperventilazione), incluso il canto (perché è un’attività che induce il respiro lungo) e il canto corale, che presuppone anche la necessità di sintonizzarsi con gli altri;
  • Esercizi di coerenza cardiaca (respiri lunghi, immaginando il cuore al centro, respiro che “culla il cuore”)
  • Musica ad alta frequenza (che ha un’influenza regolante sul circuito ventrovagale).

Possiamo utilizzare L’EMDR non solo per andare ad intervenire sulle esperienze traumatiche in senso stretto, ma anche su tutto ciò che è portatore di difficoltà, incluse le persone con cui il paziente ha relazioni problematiche.

L’obiettivo è, in generale, condurre il paziente a sperimentare sensazioni corporee e vissuti positivi, in modo che acquisti confidenza e familiarità con uno stato di regolazione. Si cerca di traghettare il paziente da sensazioni ed emozioni negative e sensazioni corporee ed emozioni positive, insegnandogli a riconoscere le sensazioni piacevoli; si tratta di un lavoro che richiede tempo e gradualità.

Molto importante è anche il contatto oculare, che rappresenta anche la via maestra attraverso cui il bambino apprende dal caregiver i comportamenti di regolazione; un buon contatto oculare presuppone una microregolazione continua (il contatto deve esserci senza essere, però, prolungato ed eccessivo), come, ad esempio, i contatti oculari brevi, non forzati e con una intensa coloritura affettiva osservabili nella relazione madre-bambino quando siamo in presenza di un attaccamento sicuro.

Possiamo spiegare ai nostri pazienti l’importanza del contatto oculare, renderli consapevoli di eventuali disregolazioni nelle loro modalità di contatto oculare, legittimando anche il bisogno di evitare il contatto, quando vissuto come troppo intenso; possiamo scegliere di non adottare un contatto oculare diretto, che può essere vissuto come intrusivo. Tutto ciò aiuta il paziente ad diventare più consapevole dei propri vissuti e influisce positivamente sulle sue capacità di regolazione.

In ultima analisi, è importante procedere lentamente, avendo cura di effettuare una corretta processazione: se partiamo da una cognizione negativa dobbiamo arrivare ad una cognizione positiva e, di conseguenza, alle sensazioni ed emozioni positive correlate; viceversa, se partiamo da una sensazione corporea negativa dobbiamo arrivare ad una sensazione positiva e all’emozione e alla cognizione positiva correlata.

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Annalisa Bertuzzi
Annalisa Bertuzzi

PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA AD INDIRIZZO UMANISTICO - INTEGRATO

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