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Il segno come sintomo: dal corpo significante al significato del corpo – Recensione

Il filo conduttore del libro è il corpo inteso come universo di significati mutevoli nel corso del tempo nell'ambito dei disturbi alimentari - Psicologia

Di Marina Morgese

Pubblicato il 03 Feb. 2015

Aggiornato il 04 Feb. 2015 21:13

Nonostante l’autrice dedichi ampio e prezioso spazio all’eziologia dei disturbi alimentari, fondamentale è l’attenzione che viene prestata a quello che potremmo definire il filo conduttore di tutto il libro: la considerazione del corpo come universo di significati mutevoli nel corso del tempo.

Gli ultimi anni sono stati testimoni di una forte crescita dei casi di disturbi del comportamento alimentare, tra cui l’anoressia nervosa. Parallelamente si è sempre più diffusa, tra i meno esperti, l’idea che tale esplosione di casi sia dovuta al bombardamento mediatico che sempre più trasmette l’idea che magrezza e bellezza siano sinonimi e soprattutto valori da raggiungere se ci si vuole affermare nella vita.

Ne “Il segno come sintomo”, l’autrice Francesca Pierotti porta il lettore, a mio avviso, a una grande delucidazione in merito alle cause dell’anoressia: seppur non si possa negare il peso dei mass media, vi sono altri fattori che possono predisporre una persona all’insorgenza di un disturbo della condotta alimentare, tra cui la famiglia, la cultura e le amicizie. Non vanno poi tralasciati altri fattori scatenanti quali eventi di vita ad alto impatto emotivo o traumi.

Nonostante l’autrice dedichi ampio e prezioso spazio all’eziologia dei disturbi alimentari, fondamentale è l’attenzione che viene prestata a quello che potremmo definire il filo conduttore di tutto il libro: la considerazione del corpo come universo di significati mutevoli nel corso del tempo.

Dunque, suggerisce l’autrice, è lecito chiedersi: la malattia può ritenersi separabile dal soggetto che la manifesta? In realtà la malattia esprime un dolore non proprio solo del corpo, ma di tutta la persona. Attraverso la malattia il soggetto si esprime, lancia un messaggio e comunica. Uno dei meriti dell’autrice sta nel rendere particolarmente chiaro questo punto nel suo libro. Nel caso dei disturbi del comportamento alimentare, tale superamento del primato biologico si rende ancor più importante da tenere a mente.

Fondamentale è, dunque, a detta dell’autrice, uno sguardo clinico di complementarità tra segni e sintomi. I segni sono manifestazioni patologiche visibili e oggettive, i sintomi invece rappresentano disturbi a carattere soggettivo e, in quanto tali, da decodificare. Per fronteggiare il malessere si deve ricostruire il percorso della malattia, attraverso l’ascolto della narrazione del soggetto e attraverso l’indagine scientifica dovuta alla competenza tecnica. In quanto l’individuo è essere sociale, non si può non concepire il sintomo come svincolato anche dal contesto culturale proprio dell’individuo.

Grazie a questo sguardo teorico iniziale, l’autrice espone un contributo empirico di notevole importanza: vista l’eziologia multifattoriale dell’anoressia, gli autori della ricerca (Francesca Pierrotti e Eduardo Cinosi, medico specializzando in psichiatria) hanno deciso di prendere in considerazione l’unico elemento che accomuna tutti coloro che ne soffrono: la ricaduta della patologia sul corpo e, nello specifico, la dispercezione corporea (il modo in cui il soggetto rappresenta il suo corpo nella mente). In particolare hanno voluto studiare come tale dispercezione corporea venga manifestata attraverso modalità segniche ben specifiche: il disegno e la fiaba.

Perché i ricercatori utilizzano proprio questi due metodi?

Attraverso il disegno della propria figura umana, l’individuo produce una rappresentazione di Sé che può essere sia positiva che negativa e che consente di cogliere i diversi aspetti della propria personalità. Soprattutto, attraverso l’analisi del disegno dell’adulto, si possono evidenziare battute d’arresto della crescita e della corretta integrazione delle parti del proprio corpo con la mente. La fiaba invece attribuisce un senso alle situazioni di vita, consente di dare ordine a se stessi e al mondo, trovando delle soluzioni ai propri problemi interiori e non solo.

I risultati di tale contributo empirico sono molto interessanti, non privo chiunque voglia leggere il libro del piacere di scoprire quel che è emerso dall’analisi dei disegni e delle fiabe di pazienti anoressici.

Consiglio la lettura de “Il segno come sintomo” agli operatori che lavorano nell’ambito dei Disturbi del Comportamento Alimentare e agli studenti interessati all’argomento: il lavoro ha il merito di riportare all’attenzione dei tanti una visione più complessa e meno riduzionista della malattia e dell’anoressia nello specifico. Il contributo empirico offre, inoltre, spunti interessanti per uno sguardo clinico più completo sul mondo interno del paziente anoressico.

 

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BIBLIOGRAFIA: 

  • Pierotti, F. (2013). Il segno come sintomo: dal corpo significante al significato del corpo. Ali&No: Perugia.  ACQUISTA ONLINE
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Marina Morgese
Marina Morgese

Caporedattrice di State of Mind

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