Cos’è l’immagine corporea
Il concetto di immagine corporea ha affascinato neurologi e comportamentisti per oltre un secolo. La definizione più quotata è forse quella proveniente da una classico di Paul Schilder del 1935:
L’immagine corporea è l’immagine e l’apparenza del corpo umano che ci formiamo nella mente, e cioè il modo in cui il nostro corpo ci appare.
e come ogni quadro, nel guardarlo, possiamo provare emozioni, possono emergere ricordi e sensazioni.
Da qui la rappresentazione mentale diviene un processo di integrazione e mediazione fra percezioni, cognizioni ed emozioni che possono influire sulla nostra autostima (Posavac & Posavac, 2002).
Più recentemente, Peter Slade (1988) definisce l’immagine corporea:
L’immagine che abbiamo nella nostra mente della forma, dimensione, taglia del nostro corpo e i sentimenti che proviamo rispetto a queste caratteristiche e rispetto alle singole parti del nostro corpo
Secondo Slade (1994), l’immagine corporea è costituita da diverse componenti: percettiva (ad esempio, come la persona visualizza la taglia e la forma del proprio corpo); attitudinale (quello che la persona pensa e conosce del proprio corpo); affettiva (i sentimenti che la persona nutre verso il proprio corpo); comportamentale (riguardante ad esempio, l’alimentazione e l’attività fisica). Quindi l’immagine corporea riguarda la persona nella sua globalità, e i suoi effetti possono essere rilevanti e complessi.
Costruzione e alterazione dell’immagine corporea tra neuropsicologia e aspetti socio culturali
La costruzione dell’immagine corporea e le sue eventuali alterazioni derivano da un insieme di aspetti neurobiologici, psicologici e socio-culturali.
A proposito dei primi, le principali aree cerebrali collegabili all’immagine corporea sono:
- L’emisfero destro (determinante per la regolazione delle emozioni)
- Insula, amigdala e giro superiore (che mediano le reazioni di disgusto e di avversione legate alle percezioni visive)
- Corteccia occipitale dorsale, giunzione temporo-parieto-occipitale destra, giro fusiforme, lobo parietale inferiore, corteccia prefrontale dorso-laterale (se disfunzionali, potrebbero dare origine a distorsioni della percezione dei volti e del corpo. Inoltre l’alterato funzionamento della corteccia prefrontale dorso-laterale potrebbe contribuire all’incapacità di correggere distorsioni percettive generate da altri sistemi mal funzionanti).
- Corteccia prefrontale ventro-mediale (se disfunzionale, potrebbe dare origine all’incapacità di inibire reazioni di disgusto e di ansia derivate da difetti corporei percepiti
- Giro paraippocampale destro (se disfunzionale, potrebbe dare origine ad incongrue autovalutazioni circa il proprio aspetto, negative distorsioni interpretative e idee di riferimento)
- Il fronto-striato (se con anomalie, potrebbe contribuire alla disfunzione esecutiva e alla natura intrusiva dei pensieri ossessivi e dei comportamenti compulsivi).
Tra gli aspetti psicologici associati all’alterazione dell’immagine corporea: esperienze evolutive avverse come l’influsso di umiliazioni subite per l’aspetto fisico durante infanzia e adolescenza. I soggetti con alterazione dell’immagine corporea si caratterizzano per un’estrema importanza data all’apparenza, derivante dall’essere stati bambini ed adolescenti molto apprezzati per il loro aspetto fisico.
A proposito degli aspetti socio-culturali, il Modello Tripartito di Influenza considera i genitori, i pari e i mass media, tre fonti che condizionerebbero lo sviluppo delle alterazioni dell’immagine corporea. Infatti, i mass media promuovono un’eccessiva esaltazione della magrezza, rinforzata da genitori e pari rinforzano che incoraggiano tale attuale standard irrealistico di bellezza. Quest’ultimo quindi viene interiorizzato ma, poiché è impossibile da raggiungere concretamente dalla maggior parte delle donne, favorisce l’insoddisfazione corporea.
Come si origina l’immagine corporea?
Quando siamo neonati la percezione che abbiamo del nostro corpo è rappresentata principalmente dalla propriocezione ossia dal sentire il proprio corpo attraverso la contrazione dei muscoli, o dalla sensibilità viscerale oppure dal senso di equilibrio. Il tutto avviene anche senza l’ausilio della vista. Il bambino inizialmente non fa distinzione fra sé ed il mondo che lo circonda, questo è un lungo processo che avviene a tappe e che comprende non solo la distinzione fra sé ed il mondo esterno ma anche l’integrazione delle parti del proprio corpo in un’unica unità.
A partire dai tre anni di vita il bambino inizia a riconoscere la propria immagine riflessa allo specchio e due anni più tardi capisce che anche le altre persone hanno un corpo simile al suo.
Immagine corporea e mappe corporee nei neonati
Il guardare qualcun altro utilizzare una parte specifica del corpo attiva nel bambino un modello corrispondente di attività cerebrale nella mappa corporea.
Le mappe corporee mostrano come alcune parti del cervello corrispondano punto per punto alla topografia del corpo; sono state studiate approfonditamente negli esseri umani adulti e in altri primati, ma come si sviluppano nei bambini e il loro rapporto con altri aspetti dello sviluppo infantile, è ancora poco compreso.
I ricercatori dell’Università di Washington, Institute for Learning Sciences & Brain (I-LABS) sono tra i primi scienziati al mondo a studiare le mappe del corpo nel cervello infantile. Questa nuova branca delle neuroscienze può fornire informazioni importanti su come i bambini sviluppano il senso fisico di sé – costruiamo un implicito senso di noi stessi attraverso il senso di avere un corpo e di vedere e sentire i nostri corpi che si muovono – e può rendere ancora più completa la comprensione di come si formano le prime relazioni sociali con gli altri, queste mappe infatti facilitano le connessioni che costruiamo con altre persone, anche nei primi mesi di vita.
Marshall e Meltzoff hanno esplorato questo campo di ricerca in diversi studi sperimentali: in un esperimento i ricercatori hanno usato l’EEG su bambini di 7 mesi e hanno visto che il tocco di mani e piedi corrispondeva a differenti modelli di attività nella parte del cervello che elabora il tatto.
Altri studi hanno mostrato che le mappe corporee nel cervello infantile sono attivate dalla vista di altre persone che svolgono azioni con diverse parti del corpo: il modello di attività cerebrale dei neonati corrispondeva alle parti del corpo utilizzate dal soggetto osservato.
Questi risultati forniscono la prima evidenza che il guardare qualcun altro utilizzare una parte specifica del corpo attiva nel bambino un modello corrispondente di attività cerebrale nella mappa corporea; secondo i ricercatori questa scoperta potrebbe migliorare la comprensione dei processi neurali che sottendono l’imitazione, che è un importante mezzo di apprendimento per i bambini.
Nel loro insieme i risultati raccolti dai due ricercatori dimostrano che le mappe corporee si sviluppano precocemente nella vita e possono essere integrate per favorire nei neonati il senso del proprio corpo, così come la possibilità di connettersi con e imparare da altre persone.
Immagine corporea in adolescenza
Man mano che si avvicina il periodo dell’adolescenza il corpo va incontro a diversi cambiamenti ed è da qui che molto spesso iniziano le difficoltà nel riconoscersi, per esempio uno sviluppo anticipato rispetto a quello dei coetanei può far si che si diventi fonte di sguardi ed attenzione che non sempre, specie le ragazze, vivono serenamente.
La creazione dell’immagine corporea può infatti risentire di fattori sociali ma anche di fattori interni.
L’ambiente in cui stiamo crescendo, l’interazione con i nostri coetanei e anche con i nostri genitori possono condizionare il nostro sviluppo. Si è maggiormente sensibili al giudizio altrui, e si va creando in questo periodo un’ideale del proprio corpo che risente dell’influenza dei mass media ma anche dei confronti con i propri pari.Nella formazione dell’immagine corporea vi è un continuo paragone fra quello che è il proprio corpo e il corpo ideale, e a seconda della maggiore o minore vulnerabilità al giudizio si andrà formando un’idea di sé più o meno coerente che potrà portare con sé maggiore o minore sofferenza.
Il corpo in adolescenza è soggetto a continui e rapidi cambiamenti, l’aumento di peso, lo svilupparsi delle forme, l’acne sono tutte manifestazioni spesso momentanee che possono contribuire ad una maggiore difficoltà nell’accettazione della propria forma fisica. Va da sé che in questa situazione una maggiore vulnerabilità dal punto di vista emotivo e psicologico può far si che si provi un maggiore disagio.
L’immagine corporea e la rappresentazione che l’adolescente si fa della propria fisicità è una complessa strutturazione che risente di fattori sociali ma anche psicologici ed emotivi.
Riportiamo nuovamente le parole di Schilder (1935):
Un’immagine corporea è sempre in qualche misura la somma delle immagini corporee della società… e muta a seconda di colui col quale ci articoliamo
L’insoddisfazione nei confronti della propria forma fisica è assai diffusa sia fra il sesso femminile che fra il sesso maschile, in alcuni casi può però portare alti livelli di sofferenza che possono interferire con la vita dell’individuo.
Le preoccupazioni possono farsi talmente pressanti da portare il soggetto ad effettuare continui Body Checking ossia comportamenti di controllo che vanno dal guardarsi allo specchio molte volte durante la giornata, pesarsi più e più volte al giorno, verificare la perdita di peso e la propria taglia indossando abiti attillati, misurare la circonferenza di cosce, fianchi ed addome, chieder continue rassicurazioni sul proprio aspetto. La persona può impiegare diverse ore per prepararsi prima di uscire, ed evitare di farlo qualora non si fosse raggiunto l’aspetto desiderato.
Coloro che hanno di sé una rappresentazione negativa della propria immagine corporea dedicano molte ore della loro giornata al proprio aspetto fisico e maggiore è l’insoddisfazione maggiore è il tempo impiegato nel controllare e cercare di rimediare ai difetti percepiti.
Per queste persone autostima e aspetto esteriore rappresentano due unità direttamente proporzionali che spesso risultano accompagnate da ansia depressione e forte autosvalutazione.
Un’ immagine corporea negativa implica una forte insoddisfazione per alcuni aspetti del proprio corpo (Cash, 2002) ed è riscontrabile in buona parte dei disturbi del comportamento alimentare oltre che nel disturbo del dismorfismo corporeo (o dismorfofobia).
I disturbi dell’immagine corporea portano con se sintomi specifici: dai comportamenti ripetitivi di evitamento e/o controllo, a pensieri di tipo rimuginativo, alle distorsioni percettive nonchè uno scarso insight della problematica.
Immagine corporea vs schema corporeo
Quando parliamo di rappresentazione del corpo, ci riferiamo a due costrutti: l’immagine corporea, argomento di discussione psicologica e lo schema corporeo, che interessa maggiormente la neuropsicologia.
Fino a pochi anni fa, esisteva un’enorme confusione concettuale fra questi due costrutti. Uno stesso autore poteva parlare di rappresentazione corporea utilizzando termini intercambiabili. L’Autore a cui mi riferisco è Schilder, la cui opera “Immagine di sé e schema corporeo” (1935) è la prima e più completa opera in merito a questo argomento. Schilder ha avviato questo dibattito, ha chiarito qualche interrogativo, ma, al tempo steso, ha aperto una ricerca decennale, non ancora del tutto soddisfatta, in merito alla rappresentazione corporea.
Come si è giunti al concetto di “schema corporeo”? Perché il termine “immagine corporea” si riferisce alla sola patologia psichica o psichiatrica? Quali sono i punti di sovrapposizione?
Il concetto di schema corporeo nasce agli inizi del XX secolo, ma una primissima elaborazione teorica sulla rappresentazione mentale del nostro corpo si può far risalire alla seconda metà del XIX secolo nella ricerca fisiologica e neurologica dell’epoca.
Il primo ad utilizzare il termine “schema corporeo” fu Bonnier, nel 1905, distinguendo il senso dello spazio e l’orientamento soggettivo rispetto al mondo esterno. Il criterio topologico di Bonnier ci consente di occupare un luogo nello spazio (solo nostro), all’interno del quale sappiamo orientarci e localizziamo le diverse parti del corpo. Egli definisce “aschematia” l’alterazione di tale rappresentazione topografica e spaziale e individua nell’attività vestibolare il contributo principale ad essa.
Schilder, nella sua opera più famosa, definisce l’immagine corporea umano come “il quadro mentale che ci facciamo del nostro corpo, vale a dire il modo in cui il corpo appare a noi stessi” oppure “lo schema corporeo è l’immagine tridimensionale che ciascuno ha di se stesso: possiamo anche definirlo immagine corporea”.
Schilder è uno psicologo, si occupa poco della localizzazione dello schema corporeo, anzi accetta le ipotesi dei suoi predecessori, quali Pick o Anton e Babinski e per questo viene attaccato dalla neuropsicologia, seppure preso molto in considerazione per le sue teorie “ponte” fra la psicologia tradizionale e la moderna neuropsicologia. Nello stesso Autore convivono tre pensieri: quello dello sviluppo libidico, da cui dipenderebbe uno schema corporeo che si struttura e destruttura all’infinito, quello sociologico, secondo cui la rappresentazione corporea non è altro che la somma delle immagini corporee della comunità, da cui dipenderebbe il nostro modo di rapportarci con il nostro corpo e con gli altri e quello neuropsicologico, un maldestro ma interessante tentativo di spiegare i disturbi dello schema corporeo, che interessano soprattutto il lato sinistro del corpo, per una dominanza o preferenza del lato destro che, essendo più forte, sarebbe meno esposto a questi disturbi.
Schilder fu un autore molto apprezzato, ma l’errore che il mondo scientifico non gli ha perdonato è quello di aver utilizzato i termini “schema corporeo e immagine corporea” come se si trattasse dello stesso costrutto, mentre oggi sappiamo che lo schema corporeo è inconsapevole, mentre l’immagine corporea è presente alla coscienza.
Merleau-Ponty (1945), invece, oppone un “corpo-oggetto” ad un “corpo-me” assimilato al pensiero cosciente: conosciamo il nostro corpo attraverso le rappresentazioni mentali che ci facciamo di esso. Il soggetto è fatto di corpo e lo schema corporeo è un modo di esprimere che “il mio corpo è al mondo”, che funziona nel mondo come il cuore nell’organismo, e l’uomo è coscientemente in possesso dei suoi organi di cui conosce ogni posizione e orientamento. Lo stare al mondo ha una dimensione temporale: il presente è ciò che il soggetto vede (e vive) nel momento attuale, il passato è ciò che torna per confrontarsi con il presente e il futuro è la percezione di ciò che sarà.
Per questo motivo, la spiegazione dell’Autore riguardo l’arto fantasma sarebbe quella di “un vecchio presente che non si decide a diventare passato” una definizione interessante per chi desiderava una spiegazione esclusivamente psicoanalitica ai disturbi della rappresentazione corporea, ma che certamente non poteva soddisfare i neuropsicologi.
La svolta in campo neuropsicologico si ha con Critchley (1953) e la sua opera The Parietal Lobes, la prima descrizione dettagliata dei disturbi dello schema corporeo quali l’anosognosia, la negligenza spaziale unilaterale, il terzo arto fantasma.
La ricerca moderna nasce solo nel secondo dopoguerra, grazie all’utilizzo dei metodi di indagine anatomofunzionale. Le ricerche localizzarono lo schema corporeo nel lobo parietale destro e attribuirono a questa localizzazione la maggior parte dei disturbi della rappresentazione corporea.
La differenza consiste nel verificarsi, nelle lesioni emisferiche destre, di disturbi sensitivo-sensoriali e visuo-spaziali che producono una difettosa integrazione dei distretti corporei e degli stimoli provenienti dall’emisoma sinistro; invece, nelle lesioni emisferiche sinistre, i disturbi dell’orientamento corporeo sono aggravati spesso da sindromi agnosiche, per l’interessamento lesionale dei centri del linguaggio.
Lo schema corporeo può essere localizzato nella corteccia parietale destra, che comprende le aree 5, 7, 39 e 40 di Broadman. Le circonvoluzioni pre e postrolandica sono caratterizzate da somatotopia, cioè a definite zone del corpo corrispondono aree specifiche della corteccia cerebrale, così come rappresentato nell’Homunculus di Penfield.
I concetti di schema corporeo e di immagine corporea condividono la possibilità di rappresentare la totalità e la complessità del corpo umano. Mentre il primo è un articolato schema percettivo legato al processo di localizzazione spaziale compiuto dal sistema nervoso, la seconda include le componenti soggettivo-cognitivo-affettive delle rappresentazioni corporee. Essendo oggettivo il primo e soggettivo il secondo costrutto, divennero, rispettivamente, interesse della neuropsicologia e della psicologia.
L’immagine corporea riguarda la situazione emotiva, i ricordi, le motivazioni e i propositi d’azione dell’individuo; non è statica, ma si modifica continuamente per merito delle esperienze personali. Approfondire questo concetto richiederebbe di abbandonare lo studio della struttura cerebrale dedicata allo schema corporeo e analizzare l’energia libidica, la relazione oggettuale madre-bambino o gli eventi emozionali che tanta importanza assumono nell’esistenza di un individuo.
Sebbene la rappresentazione del corpo sia di interesse psicologico quanto neuropsicologico, non si potranno mai discriminare i disturbi che colpiscono esclusivamente l’immagine corporea, da quelli che colpiscono lo schema corporeo. Possiamo ipotizzare un continuum dove collocare, ai due estremi, diagnosi solo psicologiche o solo neuropsicologiche e immaginare, lungo di esso, diversi casi intermedi.
Un disturbo che si colloca in posizione centrale tra quelli specifici dello schema corporeo e quelli dell’immagine corporea è il “disturbo da dismorfismo corporeo” (BDD), caratterizzato dalla preoccupazione per un difetto del proprio aspetto corporeo, della forma o di alcune caratteristiche. Pur essendo considerato un disturbo psicopatologico, perché condivide la sua neurochimica con il disturbo ossessivo-compulsivo e l’ansia sociale, ha notevoli correlazioni con i disturbi dello schema corporeo: i circuiti neuronali coinvolti con il BDD sono la corteccia occipito-temporale (per l’immagine generale del corpo) e le regioni fronto-striatale e temporale-parietale per i giudizi sulla forma e bellezza del viso.
L’esperienza corporea è un’esperienza complessa, per lo più inconscia e che dipende dall’integrazione di informazioni multisensoriali relative al corpo nello spazio. Questa complessa integrazione avviene tra i processi automatici, sensoriali e bottom-up (legati allo schema corporeo) con quelli di ordine superiore, percettivi e top-down (legati all’immagine corporea) (Gurfinkel e Levick, 1991; Kammers et al., 2006 ).
L’importante distinzione a livello concettuale tra schema corporeo e immagine corporea non dovrebbe implicare a livello comportamentale una separazione tra i due aspetti, in quanto questi possono interagire e influenzarsi a vicenda: ad esempio, strumenti come le protesi possono essere incorporati sia nell’immagine corporea (a livello del movimento e di una sua proiezione cosciente) che nello schema corporeo (a livello di approccio automatico con il mondo esterno) (Gallagher e Cole, 1995).
Lo schema corporeo è una rappresentazione plastica e dinamica delle proprietà spaziali e biomeccaniche del corpo che deriva da input sensoriali multipli che interagiscono con i sistemi motori (Kammers et al., 2006; Schwoebel e Coslett, 2005).
Lo schema corporeo comprende uno schema motorio e posturale automatico su cui si basano i nostri movimenti non consapevoli, anche se può influenzare e sostenere l’attività intenzionale (Gallagher, 1986; Gallagher e Cole, 1995; Paillard,1991). Inoltre, questo schema può incorporare al suo interno anche parti significative dell’ambiente esterno (come possono essere le protesi per i soggetti amputati) (Gallagher, 1986). Quindi, lo schema corporeo è formato da rappresentazioni innate del corpo che forniscono un repertorio di funzioni motorie necessarie per la sopravvivenza e una piattaforma neurale attraverso la quale comprendiamo e interagiamo con gli altri nel corso della nostra vita (Brugger et al., 2000).
L’immagine corporea, invece, è una rappresentazione cosciente del corpo che è definita da aspetti lessicali e semantici, all’interno dei quali troviamo i nomi e le funzioni delle parti del corpo e le relazioni tra parti del corpo e gli oggetti esterni (Schwoebel e Coslett, 2005). Gallagher e Cole (1995) individuano tre aspetti importanti all’interno dell’immagine corporea:
- L’esperienza percettiva del soggetto del proprio corpo (cioè il rendersi conto del proprio corpo, in termini di presa di coscienza della posizione degli arti, del movimento o della postura);
- La conoscenza concettuale (compresi i miti o le nozioni scientifiche) che il soggetto ha circa il corpo in generale;
- L’atteggiamento emotivo del soggetto verso il proprio corpo.
Nei casi in cui lo schema corporeo risulti essere compromesso, ad esempio a seguito di deafferentazione corticale, l’immagine corporea e quindi l’attivazione consapevole di rappresentazioni alternative del corpo, permettono di compensare la perdita del controllo innato sulla postura e sui movimenti (Gallagher e Cole, 1995).
Esistono molti disturbi legati ad una percezione erronea del proprio corpo e della sua rappresentazione, che il più delle volte sono associati a danni a livello della corteccia premotoria, parietale o dei sistemi che coinvolgono queste aree. Tra questi disturbi troviamo il Disturbo dell’Identità dell’Integrità del Corpo (Body Integrity Identity Disorder, BIID).