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Body positivity o body neutrality: un dilemma “apparente”?

I contenuti promossi dalla body positivity, focalizzandosi in ogni caso sull’apparenza estetica, potrebbero incrementare l'oggettivazione corporea. Si può promuovere allora un atteggiamento di body neutrality o body compassion?

Di Cristian Di Gesto, Anna Ricci

Pubblicato il 21 Apr. 2023

Nelle società occidentali non è raro che il corpo venga considerato un oggetto da guardare, giudicare e di cui disporre, portando le persone a porre attenzione alla propria immagine corporea e suscitando insoddisfazione ed emozioni negative negative a riguardo. Tuttavia un movimento socioculturale noto come body positivity sta emergendo sempre di più sui social media..

Immagine corporea

 Schilder, nel 1935, definisce l’immagine corporea come l’immagine del proprio corpo nella propria mente, ovvero il modo in cui il corpo appare a se stessi. In seguito, Slade (1994) la descrive più precisamente come l’immagine che abbiamo nella nostra mente della forma, dimensione, taglia del nostro corpo e i sentimenti che proviamo rispetto a queste caratteristiche e alle singole parti del nostro corpo: cioè, la rappresentazione soggettiva che ogni persona ha del proprio corpo. Lo sviluppo della propria immagine corporea è un processo fortemente influenzato da alcuni fattori sociali e culturali: in primo luogo, l’esposizione a immagini mediatiche su piattaforme social e su riviste tradizionali; in secondo luogo, il confronto con la propria realtà socioculturale e con i propri pari (Thompson et al., 1999). In particolar modo, negli ultimi decenni l’aumento dell’utilizzo dei social – in particolar modo Instagram – in età pre-adolescenziale e adolescenziale ha reso necessario un approfondimento di questo fenomeno di influenza sulla percezione del sé corporeo. Un recente studio sperimentale condotto su un campione di giovani donne italiane (Di Gesto et al., 2022) ha dimostrato che, indipendentemente dai livelli di interiorizzazione degli standard socioculturali di bellezza, l’esposizione ad immagini di Instagram alle quali è associato un elevato numero di like rappresenta un fattore di rischio per l’aumento delle preoccupazioni e delle emozioni spiacevoli relative al proprio corpo, come insoddisfazione corporea e ansia sociale per il proprio aspetto fisico.

Oggettivazione corporea e auto-oggettivazione corporea

La percezione e la consapevolezza del proprio corpo come involucro della propria identità personale sono elementi fondamentali durante la transizione dall’adolescenza all’età adulta (Rollero, 2019). Nelle società occidentali non è raro che gli individui vengano depersonalizzati, spogliati della propria umanità e identità personale. Il corpo viene considerato un oggetto da guardare, giudicare e di cui disporre. Attraverso la Teoria dell’Oggettivazione, Fredrickson e Roberts (1997) hanno portato alla luce questa tendenza tipica delle società attuali: le persone vengono indotte ad interiorizzare questa prospettiva sul loro stesso corpo; si verifica quella che Fredrickson & Roberts (1997) definiscono auto-oggettivazione, consistente nella tendenza a percepire e giudicare il proprio corpo secondo un ipotetico sguardo esterno interiorizzato. La letteratura negli anni ha esaminato questo fenomeno focalizzandosi maggiormente sulle giovani donne, oggi però risulta doveroso considerare gli effetti allarmanti anche relativamente alla controparte maschile, dato che, sempre di più, sembra rappresentare un target altrettanto vulnerabile alle influenze socioculturali sulla rappresentazione del proprio corpo (Nagata et al., 2020). Secondo Calogero e Thompson (2010), sin dall’infanzia le bambine vengono spinte a focalizzarsi sul loro aspetto estetico e sulle qualità relazionali, mentre i bambini vengono incentivati a concentrarsi sulle loro qualità assertive e sulle loro competenze, anche fisiche (Eagly & Koenig, 2006). Sembrerebbe che in Italia i processi di oggettivizzazione e di sessualizzazione siano più pervasivi che in altri paesi europei (Dakanalis et al., 2015; Rollero et al., 2019): questa consapevolezza rende necessario estendere le ricerche all’interno dei diversi paesi europei e non, al fine di poter avere una visione più ampia rispetto alle differenze culturali in riferimento a tale ambito.

Thinspiration e fitspiration

Le piattaforme social basate sulla condivisione di fotografie, come Instagram, hanno contribuito alla diffusione di ideali basati sulla thinspiration (contenuti destinati a ispirare la perdita di peso) e sulla fitspiration (contenuti destinati a ispirare obiettivi di fitness) (Cohen et al., 2021; Fardouly & Vartanian, 2016). L’analisi dei contenuti di thinspiration e fitspiration sui social media ha rilevato che la maggior parte dei post e delle stories ritrae tipicamente corpi magri e tonici in pose sessualmente oggettivanti, con messaggi che inducono al senso di colpa rispetto a diete, peso ed esercizio fisico (es., Tiggemann & Zaccardo, 2018; Wick & Harriger, 2018), aumentando l’umore negativo e l’insoddisfazione corporea (Robinson et al., 2017; Tiggemann & Zaccardo, 2015). La letteratura dimostra che gli adolescenti e i giovani adulti, caratterizzati da cambiamenti nella fisicità (ad esempio, sviluppo dei muscoli e del seno, comparsa di brufoli), instabilità emotiva e comportamento esplorativo per costruire la propria identità, sono particolarmente bersaglio degli standard di apparenza nei contenuti promossi tramite i social media. Molti studiosi (ad esempio, Harriger et al., 2023) hanno espresso preoccupazione verso i giovani a causa delle rappresentazioni degli ideali di apparenza nei social media. I mezzi di comunicazione di massa tradizionali, come la televisione – quindi film e cartoni animati –, e quelli più recenti, come i social media, rappresentano in modo persistente una visione omogenea delle caratteristiche estetiche considerate ideali per uomini e donne, riducendo la possibilità di veder rappresentati tutti i corpi possibili. Per quanto si pensi che esista una dittatura del politicamente corretto, ad esempio, le persone con corpi grassi sono sottorappresentate a livello mediatico e social-mediatico e, quando appaiono sugli schermi, il loro aspetto è quasi sempre connesso a caratteristiche stereotipate e/o negative (es., Holland et al., 2015). Questo contribuisce a creare un immaginario collettivo che influenza non solo quello che la società pensa delle persone con un corpo considerato non conforme ai canoni estetici dominanti in una data cultura, ma anche ciò che tali persone pensano di loro stesse. Gli ideali estetici veicolati attraverso i media sono accompagnati da indici di accettazione sociale, come i like, che forniscono all’utente il punto di vista del pubblico social, influendo sui livelli di insoddisfazione corporea e ansia nel mostrare il proprio corpo per timore di un giudizio negativo (es., Di Gesto et al., 2022). Questa modalità stringente di rappresentare solo alcuni corpi si distacca dal concetto di salute promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), secondo cui la salute è uno stato di totale benessere fisico, psicologico, sociale e spirituale e non semplicemente assenza di malattie o infermità. Una maggiore rappresentazione da parte dei media di personaggi e corpi che rispecchiano questo concetto potrebbe favorire negli utenti un maggiore riconoscimento del proprio corpo come uno dei corpi possibili, riducendo così le emozioni negative di frustrazione legate al gap presente tra la percezione del proprio corpo e gli ideali estetici rappresentati e rinforzati dai media. L’idea che la rappresentazione di determinati corpi possa “promuoverli” fra le persone, determinando un aumento del numero di persone con corpi grassi è contraria alle evidenze scientifiche. Non rappresentare o farlo in modo stereotipato e, quindi, marginalizzare e stigmatizzare le persone, spinge chi ha un corpo grasso a ritenere fuori dalla propria portata alcune cose che invece potrebbe avere piacere e voglia di fare (es. aumentare il proprio grado di fitness). Questa idea è confermata da decenni di studi scientifici sullo stigma (es., Bidstrup et al., 2022; Rojas-Sanchez et al., 2022). La rappresentazione di tutti i corpi è salute pubblica; nella rappresentazione la varietà educa a una realtà possibile ed è importante mostrarla tutta.

Body positivity e body neutrality

 Mentre gli account Instagram che mostrano immagini idealizzate continuano a crescere in popolarità, un movimento socioculturale noto come body positivity è emerso sempre di più sui social media, con l’obiettivo di portare alla luce modelli corporei non corrispondenti agli iconici ideali di magrezza, snellezza, perfezione proporzionale o cutanea. La body positivity mira a promuovere l’idea che sia importante accettare tutti i corpi, senza tralasciarne nessuno, indipendentemente da forma, dimensioni e caratteristiche (Rodgers et al., 2022). In una recente analisi del contenuto di 640 post di Instagram campionati da account popolari di body positive, gli autori hanno trovato che tali post includono tipicamente immagini che rappresentano forme e taglie corporee di diverse dimensioni e ideali estetici altrimenti sottorappresentati negli account tradizionali (Cohen et al., 2019). Hashtags associati con la body positivity e la fat acceptance sono #healthateverysize, #haes, #effyourbeautystandards, #fatspiration. Ciò è coerente con i principi Health At Every Size® (HAES), che sostengono un approccio alla salute a peso neutro, dando la priorità al benessere rispetto alla perdita di peso (Association for Size Diversity and Health, 2013). Attraverso tali post, i sostenitori del body positive mirano a dimostrare che tutti i corpi meritano rispetto e promuovono una relazione più positiva con il proprio corpo e se stessi. Alcuni recenti studi (es. Cowles et al., 2023) hanno mostrato che l’esposizione a post di body positivity si associava positivamente a maggiori livelli di soddisfazione corporea e un miglioramento dell’umore.

Tuttavia, non mancano in letteratura critiche mosse verso i contenuti promossi dalla body positivity, i quali, focalizzandosi in ogni caso sull’apparenza estetica, sembrano incrementare i livelli di oggettivazione e auto-oggettivazione corporea (Cortez & Alfonso, 2021). Cohen e colleghi (2019) hanno realizzato uno studio sperimentale in cui le partecipanti – giovani donne – sono state sottoposte alla visualizzazione di post di Instagram che promuovono ideali di body positivity, thinspiration e post neutrali rispetto all’aspetto estetico. I risultati hanno mostrato miglioramenti dell’umore e più alti livelli sia di soddisfazione che di apprezzamento corporeo in risposta all’esposizione a contenuti di body positivity, rispetto ai post volti a promuovere ideali di magrezza e ai post neutrali dal punto di vista dell’apparenza fisica. Tuttavia, sia i post che promuovono l’ideale di magrezza che i post di body positivity sono stati associati a un aumento dell’auto-oggettivazione rispetto ai post neutrali dal punto di vista dell’aspetto corporeo. Di conseguenza, questa ricerca preliminare suggerisce che, da un lato, la visione di immagini positive per il corpo è associata a un miglioramento dell’umore e a una maggiore soddisfazione corporea, dall’altro, è ancora associata a un’eccessiva attenzione focalizzata sull’aspetto corporeo.

I risultati emersi dallo studio condotto da Cohen e colleghi (2019) suggeriscono la necessità di nuove ricerche su un approccio al corpo meno oggettivante: la body neutrality sembrerebbe rappresentare la via di mezzo per i messaggi polarizzati su amore-odio verso il proprio corpo (Weingus, 2018). Mentre la body positivity mira a cambiare la definizione di bellezza nella società, promuovendo l’accettazione e l’apprezzamento di tutte le forme e dimensioni del corpo, la body neutrality mira a cambiare il valore che la società attribuisce alla bellezza, incoraggiando le persone a porre meno enfasi sul proprio aspetto fisico (Rees, 2019). Questo approccio potrebbe contribuire a ridurre la tendenza, ampiamente diffusa, a percepire e a giudicare il proprio corpo assumendo uno sguardo esterno.

Nel contesto dell’immagine corporea, negli ultimi anni la ricerca ha cominciato a focalizzarsi anche sui concetti di body compassion (Altman et al., 2017). La compassion è definita come un atteggiamento di sensibilità alla sofferenza propria e altrui in aggiunta al desiderio di alleviare tali stati di disagio; essa implica la combinazione di emozioni, motivazioni, pensieri e comportamenti che coinvolgono due dimensioni: gli attributi compassionevoli, cioè una sensibilità intenzionale alla sofferenza e la capacità di tollerare l’angoscia senza un atteggiamento giudicante, e le azioni compassionevoli, cioè la motivazione a intraprendere azioni utili per prevenire l’angoscia e/o affrontarla (de Carvalho Barreto et al., 2020). Alcuni autori (es., Policardo et al., 2021) hanno rivelato che alti livelli di body compassion, ossia un atteggiamento di gentilezza e accettazione delle proprie inadeguatezze corporee percepite, si associa a minore insoddisfazione corporea, incrementando i processi psicologici di: defusion, ossia la tendenza a non identificarsi eccessivamente con le imperfezioni, i limiti o le inadeguatezze percepite relativamente al proprio corpo; common humanity, cioè la capacità di considerare i propri difetti corporei percepiti come parte dell’esperienza umana; acceptance, cioè l’accettazione di pensieri, percezioni e pensieri dolorosi legati al corpo in contrapposizione a un atteggiamento critico e giudicante verso il proprio sé corporeo.

Alla luce delle ricerche in tale ambito, risulta fondamentale promuovere interventi di sensibilizzazione primaria volti a contrastare l’effetto delle influenze socioculturali sull’immagine corporea e a potenziare i fattori di protezione, come l’apprezzamento della funzionalità corporea e la body compassion.

 

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