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EMDR e Dissociazione – Intervista ad Annabel Gonzalez

EMDR: Dialogo costante tra terapeuta e Sé adulto del paziente, nel quale si inseriscono le altre parti più sofferenti per essere accolte e ascoltate.

Di Camilla Marzocchi

Pubblicato il 30 Mag. 2013

Aggiornato il 30 Gen. 2018 14:13

EMDR e Dissociazione:

la Co-consapevolezza nel Dialogo Clinico.

Intervista ad Annabel Gonzalez

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EMDR e Dissociazione - Intervista ad Annabel Gonzalez. - Immagine: © benjamingrafico - Fotolia.com La Co-consapevolezza nel Dialogo Clinico: Questa costruzione è possibile grazie al dialogo costante tra terapeuta e Sé adulto del paziente, nel quale lentamente si inseriscono le altre parti più sofferenti per essere accolte e ascoltate.

Somiglia più ad una “terapia di gruppo”, ci dicono scherzando, in cui ogni decisione va presa in accordo con tutte le parti coinvolte o almeno a tutte comunicata! 

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L’intervento di Annabel Gonzalez e Dolores Mosquera, offre numerosi spunti di riflessione e arricchisce di possibilità nuove il protocollo EMDR più classicamente conosciuto.

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La cornice teorica è quella delle giornate che le hanno precedute: il modello della dissociazione strutturale di van der Hart, in particolare in pazienti con disturbo dissociativo dell’identità (DDI).

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Il cuore del protocollo descritto (Gonzalez e Mosquera, 2012) è il concetto di “self- care”, inteso come un’attitudine dell’individuo costituita da 3 elementi essenziali: 1- una tendenza generale a darsi un valore persona

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le, a considerarsi amabile, 2- l’assenza di comportamenti di “auto-boicottaggio” o autolesivi e 3 – capacità di intraprendere azioni specifiche che producano vantaggio,  crescita personale o che alimentino il valore personale.

Ispirate dal protocollo Loving Eyes (Knipe, 2008), le autrici descrivono la necessità di recuperare ed allenare le capacità di autocura attraverso il diretto coinvolgimento del Sé adulto del paziente nella “presa in carico” delle diverse parti della propria personalità. Pazienti che crescono in un ambiente abusante e minaccioso o di neglect verso i propri bisogni, non riusciranno infatti ad internalizzare modelli operativi  interni di cura di sé (memoria procedurale), faranno fatica cioè a riconoscere e prendersi cura dei propri bisogni, emozioni e sentimenti.

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Il trattamento descritto è molto complesso e caratterizzato da fasi che si susseguono con tempi lunghi, ma necessari a “ricucire lo strappo” provocato dalle sofferenze precoci:

1 Riconoscere le parti del sé dissociate,

2 Comunicare con loro, 

3 Sviluppare empatia verso ognuna di esse, 

4 Collaborare con loro su obiettivi specifici, 

5 Condividere l’interiorità e i bisogni di ognuna, 

6 Co-consapevolezza, riconoscere cioè che ognuna ha emozioni e pensieri autonomi,

7 Co-consapevolezza continuativa (integrazione tra le parti).

L’ambiziosa e affascinante idea generale è che si possano costruire lentamente connessioni via via più fitte tra le diverse parti della personalità dis-integrate, in modo da ristabilire un sufficiente e tollerabile grado di comunicazione tra loro.

Questa costruzione è possibile grazie al dialogo costante tra terapeuta e Sé adulto del paziente, nel quale lentamente si inseriscono le altre parti più sofferenti per essere accolte e ascoltate. Somiglia più ad una “terapia di gruppo”, ci dicono scherzando, in cui ogni decisione va presa in accordo con tutte le parti coinvolte o almeno a tutte comunicata! 

Segue una breve Intervista ad Annabel, che ringrazio per la gentilezza con cui si è resa disponibile al termine dell’ultima, lunga e densissima giornata di lavori.

Nelle prime giornate del convegno abbiamo sentito parlare di terapia sensomotoria e la sensazione immediata è che in alcuni casi sembrerebbe meno rischioso lavorare con la sensorymotor piuttosto che con EMDR. Cosa ne pensa?

Janina Fisher
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Quando si inizia la formazione in EMDR si parte da traumi semplici, mentre con pazienti gravi si parla di traumi complessi. Il punto a mio avviso importante non è solo quanto il paziente è stabilizzato o disregolato, ma piuttosto come adattare la procedura standard a situazioni traumatiche più gravi. In generale penso che mantenere il focus sul corpo sia un fattore di estrema stabilizzazione, se sai come utilizzarlo, poiché i pazienti con i loro sintomi stanno evitando di sentire e di provare determinate emozioni e sensazioni. Anche con la terapia sensomotoria le sensazioni suscitate possono essere molto intense e disturbanti e credo che, allo stesso modo che per l’EMDR, usare la procedura sensomotoria standard, per traumi semplici, possa essere ugualmente rischioso con pazienti dissociativi. 

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Il protocollo da voi descritto sembra utilizzare essenzialmente l’installazione di risorse, come metodo dominante, piuttosto che la procedura EMDR standard di desensibilizzazione da materiale traumatico. Quale caratteristiche generali deve avere la risorsa da installare?

Sì, ma non si tratta proprio di installazione, come nella procedura standard. Lo strumento è la stimolazione bilaterale in sé, come potente strumento di collegamento dei due emisferi e tra le informazioni di cui sono portatori. Non ci sono quindi indicazioni generali per decidere quale sia la risorsa migliore da installare e da “fissare” nella memoria procedurale del paziente, ma piuttosto il target della stimolazione va scelto in base ai nostri obiettivi terapeutici, via via diversi.  Se il nostro obiettivo è incrementare le capacità di self-care e ridurre la fobia verso le parti più emotive e dissociate, allora un buon target sarà, ad esempio, ogni volta che c’è un insight rispetto al suo funzionamento mentale, oppure ogni volta che il paziente ha un’idea costruttiva e funzionale su come accudire la sua parte traumatizzata, oppure ogni volta che sente semplicemente qualcosa in questa direzione (compassione, tenerezza, comprensione,..).

In generale l’obiettivo è rinforzare tutte le volte che la comunicazione del paziente muove verso l’esterno, piuttosto che verso l’interno.

Quali sono le 3 più importanti differenze tra la procedura standard di EMDR e quella da voi descritta per i pazienti dissociativi?

La procedura standard è pensata per lavorare sul trauma direttamente,  mentre il protocollo con i pazienti dissociativi è caratterizzato dalla lenta e progressiva costruzione dei presupposti per arrivare a lavorare sul trauma. Si tratta di un lavoro preparatorio di stabilizzazione, necessario per ridurre le difese rispetto al materiale traumatico. La seconda caratteristica distintiva è che si tratta di un metodo progressivo, basato su fasi successive, tutte necessarie per raggiungere l’integrazione. La terza caratteristica è che il nostro lavoro è centrato sullo sviluppo di strategie di self-care che rendano il paziente in grado di accettare e “aiutare” le parti di sé (EP) più sofferenti. Il nostro referente nel dialogo clinico è sempre il Sé Adulto, con cui collaboriamo attivamente per comprendere come prenderci cura delle altre parti. Infine la mappa di riferimento è quella della dissociazione strutturale, anche se non è propria del modello EMDR.

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Ci è sembrato un modello molto valido, compatibile con l’EMDR ed esplicativo del funzionamento dei pazienti dissociativi, quindi perché non integrarlo..

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BIBLIOGRAFIA:

  • Gonzalez, A & Mosquera, D (2012). EMDR and Disociación: The Progressive Approach. Ed. by Amazon. Spanish edition: EMDR y Disociación: El abordaje progresivo. Ed Pléyades. Madrid.
  • Knipe, J. (2008). Loving Eyes: Procedures for therapeutically reverse Dissociative Disorders while preserving emotionally safety. In Forgash & Copeley (Eds). Healing the Heart of Trauma and Dissociation with EMDR and Ego State Therapy. (DOWNLOAD)

 

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