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A porte chiuse. Violenza domestica e dipendenza affettiva (2022) di Floriana Lunardelli – Recensione

Il saggio "A porte chiuse" descrive e analizza un fenomeno in continua crescita: la violenza domestica, soprattutto a carico di donne e minori

Di Elena Ritratti

Pubblicato il 02 Mag. 2023

La dott.ssa Floriana Lunardelli è operatrice all’interno del centro antiviolenza di Via Cairoli a Genova, nel quale vengono accolte e seguite donne che hanno subito violenza e racconta nel suo libro “A porte chiuse” le caratteristiche della violenza domestica.

 

Il perturbante è quella sorta 

di spaventoso che risale a 

quanto ci è noto da lungo 

tempo, a ciò che ci è 

familiare (Sigmund Freud, Il perturbante, 1919).

 Porta deriva dal latino porta che ha la stessa radice di porto e del greco antico πορός (porós): significa vano aperto in un muro o altra struttura per poter passare. Da qui il significato di accesso, apertura, passaggio, varco per entrare, ma anche per uscire.

Da sempre e in ogni cultura l’atto di varcare una soglia rappresenta il punto di incontro o di separazione tra due ambiti, non solo considerati come fisici, ma anche e soprattutto come dimensioni: noto ed ignoto, sacro e profano, certo ed incerto. La stessa porta ha una valenza significativa nell’ambito del setting analitico, perché separa dal caos del mondo esterno, permettendo di creare un’atmosfera protetta e accogliente.

Quando si pensa alla porta di casa si ha la sensazione di accesso al proprio focolaio domestico e, dunque, d’istinto si riporta la mente ad un senso di familiarità e sicurezza. Ma cosa succede se quella stessa porta viene improvvisamente bloccata o si blocca, impedendo l’uscita? Proprio il nostro luogo sicuro diventa impervio, nemico, perturbante (Unheimliche). L’estraneità provoca senso di disagio, ansia che può, a sua volta, scatenare angoscia e terrore. La porta di casa diventa un ostacolo, non dà più via d’uscita.

La dott.ssa Floriana Lunardelli è operatrice all’interno del centro antiviolenza di Via Cairoli a Genova, nel quale vengono accolte e seguite donne che hanno subito violenza.

Nel suo saggio descrive e analizza un fenomeno in continua crescita: la violenza domestica, soprattutto a carico di donne e minori. In effetti, l’autrice lo descrive come la forma di violenza più pericolosa e anche più subdola, in quanto molto spesso la più celata agli occhi delle stesse vittime e aggressori, calati in schemi relazionali disfunzionali e tossici da cui difficilmente riescono a uscire senza un valido aiuto.

Il libro è suddiviso in tre parti.

Il concetto di Male

Nella prima parte si evidenzia e si analizza il concetto di Male dal punto di vista letterario, filosofico, artistico e psicologico. Che cos’è il Male? “Il Male è zona vuota od oscura, male è dolore, ansia, paura, attacco di panico, terrore, depressione […]. Male è minaccia imprecisa ed improvvisa, simile ad un uragano, capace di distruzione”.

Dal mito della caverna di Platone, dove si sottolinea allegoricamente che tutto sta nella capacità di conoscere il Bene e soprattutto saperlo riconoscere, si passa, in ambito sociologico, al Male banale, così definito da Hannah Arendt a sottolineare l’impossibilità di analisi nel profondo di una tematica che continua ad avere confini indefiniti: si vorrebbe credere che questa dimensione abbia sembianze demoniache, quasi fosse una rassicurazione, ma si rimane delusi, se si porta avanti tale convinzione. Il Male non sempre è crudeltà innata, in quanto può essere generato da cieca obbedienza o processi di deumanizzazione o, addirittura, banalmente, da lavoro abitudinario, eseguito in maniera meticolosa. Dal punto di vista psicoanalitico il saggio presenta l’antinomia tra Eros e Thanatos, tra pulsione di vita secondo il principio di piacere e pulsione di morte, quella che Freud evidenzia come necessità di ritorno alle origini, all’immobile, così elaborato dalla stessa tradizione filosofica greca: una tendenza di regressione allo stato di pietra, quasi ad essere l’unica illusione di poter dominare il Male.

Molto interessante è la rassegna sulle modalità di espressione artistica utilizzate per rappresentare le forme del Male; nel corso del tempo, si passa da una vera e propria antitesi ad un magnetismo tra poli opposti, quasi a sottolineare la duplicità incarnata nell’essenza umana. Non c’è bene senza male e non c’è male senza bene, in una forma di compromesso che l’autrice esprime con l’ossimoro “il piacere del Male”, utilizzato a partire dalla seconda metà del XVI secolo e per tutto il successivo. In questa descrizione si arriva al 1962, anno in cui Anthony Burgess presenta nelle pagine del suo testo i dettagli della crudeltà: “Arancia meccanica”, riprodotto successivamente sul grande schermo da Kubrick. L’autrice riflette sulle divergenze nel finale tra testo e pellicola, a sottolineare, ancora una volta, l’impossibilità di un’unica spiegazione o di un’unica direzione. Il Male può essere recidivo, incarnato, fine a sé stesso o da esso ci si può salvare? Il dipinto “Lo stupro” di Edgar Degas che si trova nel saggio non ha bisogno di parole.

Il tema della violenza

Nella seconda parte del testo ci si immerge nel tema della violenza, fenomeno, scrive l’autrice, “di tutti e di ognuno”. Violenza che non sempre sfocia in aggressione fisica, in quanto pervasa da una moltitudine di gradienti che includono anche uno sguardo sprezzante, segno di un non riconoscimento. Tra i bisogni della scala di Maslow sono annoverati il bisogno di sicurezza e il senso di appartenenza. Quest’ultimo, se sottratto, comporta un meccanismo incisivo e tagliente, quasi come un coltello, perché presuppone esclusione, indifferenza, rigetto. Un vero cancro della società moderna che può avere conseguenze drammatiche, senza un ritorno.

 In questa parte centrale vengono definite le varie forme di violenza con un accento sull’ambito domestico: da una violenza fisica conclamata che ingloba anche l’abuso sessuale, si sottolinea la pervasività di una psicologica, meno evidente, ma altrettanto devastante. Spesso si ritrova in quella ruota di potere e di controllo che scaturisce a partire dal concetto di intimità, a sua volta messaggero di parti più profonde e più intime di ciascuno. L’intimità custodisce gelosamente segreti, desideri e fantasie, ma può anche ricollegarsi alla relazione di coppia, in quel campo di condivisione e di scambio di sentimenti ed emozioni positive. Ma non sempre è così: se da questo scambio reciproco ognuno dei due partner riesce, in maniera funzionale, a modulare i propri atteggiamenti nel rispetto dell’altro, la relazione può arricchirsi e potenziarsi. Eros Ramazzotti, in uno dei suoi pezzi storici canta questo: “Ma il Bene che cos’è? È la fatica di un passo indietro per fare spazio a te”. Ma se questa relazione paritaria diventa motivo di accese discussioni, soprattutto quando l’uomo tende ad essere meno favorevole al dialogo, “può subentrare quel “classico gioco di ruolo”, in cui il “silenzio” si rivela pericoloso proprio per le donne” (Kaufmann, 2008). La donna che ama follemente, la donna che giustifica sempre e comunque, la donna che perfino si colpevolizza di colpe che non le appartengono, si ritrova in quel circolo di dipendenza affettiva che, paradossalmente, fa sì che proprio l’Amore sia la sua pena e condanna; un Amore che crea dipendenza alla stessa maniera di una droga.

E allora che fare?

Floriana Lunardelli rimanda alle varie strategie di coping messe in atto dalla donna, non sempre funzionali: dall’andare incontro al molestatore nel tentativo di farlo ragionare, all’andare contro, fino a quel movimento orientato verso l’interno che innesca meccanismi di diniego da parte della vittima o che porta all’uso di sostanze e farmaci, nel tentativo di alleviare il dolore fisico e psicologico.

La violenza domestica non è un semplice conflitto, essa si perpetua nel tempo e si manifesta secondo modalità di graduale escalation, approfittando di una situazione di potere e di supremazia. Il “primo schiaffo” può essere interpretato come un incidente di percorso, ma risulta solo un pensiero illusorio difensivo. Si può assistere perfino a quella “fase di luna di miele” dove la donna riesce a perdonare il carnefice, illudendosi che non succederà mai più.

In questo ambiente serrato, quasi come se si fosse dietro alle sbarre, non si può dimenticare la presenza di bambini, testimoni di eventi che terrorizzano e immobilizzano. Il medesimo atto di assistere diventa esso stesso violenza: come ben evidenzia l’autrice, il bambino, non ancora in possesso di strumenti per reagire alla situazione, vive dei profondi sensi di colpa, anche per il fatto di non essere lui stesso il maltrattato o per l’idea che la lite sia scaturita a causa sua. Non si presta attenzione ai suoi bisogni primari di accudimento, alla sua ricerca di sicurezza e al suo bisogno di amore.

Il centro antiviolenza

Nella terza parte del saggio vengono presentati, in maniera accurata, due casi di donne che hanno avuto la forza di rivolgersi al Centro antiviolenza dove lavora Floriana: si mettono in luce la complessità del fenomeno e tutti gli sforzi fatti per fronteggiarla.

Il saggio è la rappresentazione di un Male contemporaneo vischioso ed invischiante, intricato nella sua diversità di forme e di volti. L’autrice pone l’accento su quanto possa inficiare sulla salute, intesa come benessere psicofisico, l’esposizione di minori a maltrattamenti ripetuti. L’assistere a tali fenomeni può gravare fortemente sulle capacità cognitive e può innescare disagi più o meno conclamati con esordio in adolescenza o in età adulta. Nelle donne vittime di violenza spesso si riscontrano bassa autostima, locus of control esterno e un senso di sé fragile o diffuso. I modelli di riferimento disfunzionali interiorizzati possono spingere alla presa di una posizione di passività che caratterizza la vittima, da cui derivano anche senso di responsabilità e di colpa. Oppure è possibile, come nel secondo caso esposto, l’aver inglobato l’idea che l’aggressività nelle relazioni affettive sia naturale.

Un valore aggiunto al testo sta nella possibilità di ascoltare, attraverso i QR code presenti, le voci di donne vittime di violenza che hanno avuto il coraggio di raccontare le loro storie, reali e crude, con l’intento di aiutare chi ancora non è riuscito a chiedere aiuto. In effetti, ascoltandole, è possibile immaginare che qualche lettore si possa immedesimare in una di loro ed essere supportato nella ricerca di un centro antiviolenza. Qui si lavora individualmente, ma anche in gruppi, per incrementare consapevolezza e comprensione, per aiutare ogni persona a non sentirsi né sola né giudicata, e soprattutto ad accompagnarla in questo processo, rispettando tempi e modalità.

Una via di uscita da quella porta chiusa non solo per la vittima, ma anche per il carnefice, se pronto a consegnarsi spontaneamente ad uno dei centri per autori di violenza sul territorio.

Una via di uscita da quella porta, spettatrice silente ed impotente.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Arendt, H. (2019). La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme. Feltrinelli Editore: Freud, S. (1977). Al di là del principio del piacere. Trad.it Solmi, A.M.M., Colorni, R. Bollati Boringhieri: Torino.
  • Freud, S. (1989). Opere. 1917-1923. Bollati Boringhieri: Torino.
  • Lunardelli, F. (2022). A porte chiuse. Violenza domestica e dipendenza affettiva. Erga Edizioni.
  • Platone. (2012). Il mito della caverna. C. Sini (a cura di). AlboVersorio: Senago. Ramazzotti E. (2008). Ci parliamo da grandi. Da Chambers, G., Ramazzotti, E., Agliardi, N.
  • Ritratti, E. (2023). Il Male del Signor Nessuno in Rivista Italiana di Conflittologia nr 45, pp.224-248.
  • Vocabolario Treccani, consultato online in data 12/03/2023.
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