La Psicoterapia è più un gioco che un lavoro.
Intervista a Janina Fisher
Dal Congresso: Nuove Frontiere nella Cura del Trauma – Venezia 2013
Il cuore dell’intervento di Janina Fisher è sicuramente la descrizione della disregolazione emotiva, spiegata come difficoltà a riportare uno stato di arousal emotivo a livelli tollerabili.
In linea con Van Der Hart (1999) e Ogden e Minton (2006), la Fisher descrive la capacità di “regolare” i propri stati interni, come una capacità che viene appresa durante l’infanzia grazie al legame con le proprie figure di attaccamento.
Impariamo a calmarci da soli, perché qualcuno ci ha rassicurato in passato, impariamo a tirarci su il morale, perché qualcuno ha saputo farci sorridere quando eravamo tristi!
In questo modello, l’attivazione fisiologica frutto di una buona regolazione emotiva è chiamata Zona di Attivazione Ottimale (o “finestra di tolleranza”), e varia da individuo ad individuo e in base al contesto in cui siamo. Quel che è certo però è che nessuno può stare troppo a lungo al di sotto (ipoarousal) o al di sopra (iperarousal) di questa finestra, senza sviluppare intensa sofferenza psicologica.
La finestra di tolleranza corrisponde ad uno spazio ideale all’interno del quale “ci sentiamo al sicuro”, all’interno del quale possiamo “pensare e allo stesso tempo sentire emozioni”, possiamo pensare ed agire in modo funzionale ai nostri bisogni, possiamo stare.
In situazioni psicopatologiche, la finestra di tolleranza può essere molto piccola, una finestra “toothpick” come dice Janina, e rendere rapidissimo il passaggio da uno stato di bassa attivazione (stati di vuoto, tristezza, rallentamento cognitivo, disperazione, vergogna) ad uno di alta (ipervigilanza, incubi, diffidenza estrema, irritabilità, comportamenti distruttivi), senza che vi sia alcuna possibilità di regolazione.
La corteccia è tagliata fuori, tutto è emozione e azione.
All’interno della terapia sensomotoria, il ruolo del terapeuta è dunque primariamente quello di “regolatore neurobiologico” degli stati emotivi che escono dalla finestra di tolleranza del paziente, mentre successivamente si potrà ragionare su questi stati e dar loro un significato.
L’acquisizione delle capacità metacognitive necessarie per portare avanti un dialogo clinico che sia efficace, passa dunque dal corpo e dalla sua continua osservazione (tecniche bottom up): postura, tono di voce, gesti, sensazioni interne, espressioni facciali, azioni desiderate, azioni fatte.
“Qualche volta il mio studio sembra più un ambulatorio di fisioterapia che di psicoterapia”
“La psicoterapia può essere un gioco più che un lavoro”
Intervista alla Dott.ssa Janina Fisher
SoM: Quando in Italia si parla di neurobiologia o neuroscienze in generale, suona subito come qualcosa che ha che fare più con la medicina che con la psicologia e questo sia nei luoghi di lavoro che talvolta in ambienti universitari. La psicoterapia sensomotoria invece, muove da una solida e imprescindibile base neurobiologica, che diventa terreno comune per paziente e terapeuta. Che clima ha trovato, secondo lei, la psicoterapia sensomotoria in Italia?
JF: Credo che in tutto il mondo ci siano terapeuti in cerca di risposte e sia in una nazione con orientamento più scientifico, che in una culturalmente più orientata alla tradizione psicoanalitica, come ad esempio la Francia, ci sono terapeuti che non conoscono questo tipo di approccio, ma che sono in cerca di strategie e protocolli che siano più adatti ai loro pazienti. Non sono io ad aver portato la psicoterapia sensomotoria in Italia, ma in generale credo che il problema non sia parlare di “circuiti neurali” all’interno delle nostre sedute, ma piuttosto il modo in cui ne parliamo. Perciò quando io dico ad un mio paziente “Si, il tuo dolore e la tua sofferenze sono il tuo corpo che sta ricordando, con i sentimenti e le sensazioni di quel bambino spaventato e solo…”, nessuno mi può rispondere “Lei non ha capito niente!”.
SoM: Durante le giornate del convegno si parlerà di terapia sensomotoria e di EMDR, come approcci da integrare tra loro o da utilizzare all’interno di altri approcci psicoterapici. Quali sono secondo lei le più importanti similarità e differenze tra i due metodi?
JF: Parlando in generale, l’EMDR richiede che il paziente abbia una più ampia “finestra di tolleranza”, mentre con la terapia sensomotoria questa può essere anche bassissima o inesistente. Dall’altro lato, la terapia sensomotoria è più relazionale e quindi con pazienti che non hanno molta consapevolezza del loro corpo o ai quali piace “tenere le distanze” dal terapeuta, l’EMDR è perfetto.
La terapia sensomotoria è per alcuni aspetti più “delicata”, mentre qualche volta i pazienti che si sottopongono ad EMDR, riferiscono un intenso stato di attivazione “overwhelming” dopo ogni seduta. Al contrario la conclusione delle sedute di terapia sensomotoria si chiudono con un discreto stato di benessere.
Qualche volta noi siamo soliti utilizzare terapia sensomotoria nella prima parte del trattamento, ma appena il paziente è stabilizzato e mostra una finestra di tolleranza più ampia, consigliamo un percorso EMDR per lavorare in modo più specifico sulle memorie traumatiche.
Tra le somiglianze infine c’è il fatto che entrambi facilitano un atteggiamento mindful. Nell’EMDR l’evento è solo un trigger per trovare un’immagine, una cognizione negativa, un’emozione ed una sensazione fisica collegata ad esso ed osservarle contemporaneamente, e nello stesso modo nella terapia sensomotoria poniamo l’attenzione su questi stessi elementi ma all’interno del dialogo con il paziente.
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SoM: Pensando alla “finestra di tolleranza” sembrerebbe che utilizzare la terapia sensomotoria con pazienti dissociativi sia meno rischioso rispetto all’EMDR, poiché il contatto costante con il corpo funge da “ancoraggio” alla realtà. Cosa ne pensa?
JF: Sì, credo che la terapia sensomotoria sia ottima per dare alle persone la sensazione del “qui ed ora”, ma alcune colleghe molto esperte come Dolores Mosquera e Anabel Gonzalez utilizzano splendidi protocolli di intervento su pazienti dissociativi, molto efficaci e compatibili con le tecniche sensomotorie.
Diciamo che per la media dei terapeuti può essere più rischioso usare EMDR con pazienti dissociativi, mentre la sensomotoria si può usare con un margine di sicurezza maggiore, anche se non si è accumulata troppa esperienza clinica.
SoM: Parlando ad un terapeuta cognitivo-comportamentale, sarebbe corretto secondo lei spiegare la psicoterapia sensomotoria come un metodo per far sperimentare al paziente nuovi eventi di vita con l’obiettivo di “imprimere” nella sua mente le cognizioni positive e più funzionali?
JF: Sì, assolutamente! Io faccio sempre questa battuta ai terapeuti CBT: “Devi imparare almeno una body therapy, se vuoi davvero diventare un bravo terapeuta cognitivo!” Unire le tecniche sensomotorie alla ristrutturazione cognitiva o agli esercizi di esposizione con prevenzione della risposta (E-RP), è del resto molto semplice e rende il trattamento sicuramente più efficace nel prevenire ricadute.
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BIBLIOGRAFIA:
- Ogden, P., Minton, K., Pain, C. (2006). Trauma and the Body. A Sensorimotor Approach to Psychotherapy. New York: Norton
- Fisher, J. & Ogden, P. (2009). Sensorimotor Psychotherapy. In C. A. Courtois, K. D. Ford (Eds) (2009), pp. 312-328.
- Siegel, D. (1999). The Developing Mind: How Relationships and the Brain Interact to Shape who We are. Guilford Press.