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Attacchi di panico: tra illogicità e paradosso

È importante imparare a conoscere il panico, capire il meccanismo sottostante e come gestirlo con la psicoterapia

Di Alessio Morgan

Pubblicato il 17 Ott. 2023

Cosa sono gli attacchi di panico

Chiunque, anche solo una volta nella vita, può sperimentare un attacco di panico

Diversamente da quanto si creda, è un evento, questo, estremamente frequente e in continua crescita nella popolazione mondiale. Proprio in merito alla sua elevata diffusione, è argomento da conoscere e approfondire, anche al fine di contribuire al superamento dello stigma circa la salute mentale. 

L’attacco di panico è un episodio di intensa paura, ha un esordio improvviso ed è caratterizzato da un rapido crescendo: la sintomatologia raggiunge il culmine in pochi secondi e tende a risolversi spontaneamente, di solito entro mezz’ora per la maggior parte dei casi, lasciando una scia molto invalidante. Vi sono sintomi fisici, quali tachicardia, dolore al petto, tremori, parestesie, dispnea, vertigini e svenimento, sintomi cognitivi, come la sensazione di irrealtà (nota con il nome di “derealizzazione”) e distacco da sé (“depersonalizzazione”), la paura di perdere il controllo oppure una sensazione di morte imminente. È bene ricordare che, malgrado possa far temere il peggio, non rappresenta mai un pericolo per la propria incolumità. L’unica e importante conseguenza è che il panico prenda il controllo: a seguito dell’intensa attivazione emotiva, si conserva un certo stato di tensione che potenzialmente può condurre a un nuovo attacco. Le misure precauzionali spontaneamente adottate riguardano particolari modifiche comportamentali, siano esse volontarie o involontarie, che andranno a incidere negativamente sulla qualità della vita e sulla stima che il soggetto ha di sé. 

Non bisogna però ritenere che l’attacco di panico, singolarmente considerato, sia in ogni caso patologico. Diviene clinicamente rilevante qualora interferisca con la vita dell’individuo o causi un disagio clinicamente significativo, configurandosi come disturbo di panico (APA, 2013). 

Diviene ora fondamentale comprendere il meccanismo che si pone alla base di questo  complesso sistema. Come afferma Giorgio Nardone, fondatore del Centro di Terapia Strategica, l’attacco di panico è solo l’apice di una costruzione progressiva. 

Alle origini del panico: trauma o match cognitivo?

Erroneamente (ma come spesso accade) si è portati a pensare che, dietro un attacco di panico, debba necessariamente celarsi la presenza di un trauma sperimentato in precedenza dal soggetto, il quale andrebbe poi a costituire la causa scatenante. In realtà, nella pratica clinica, è estremamente raro che vi siano alla base eventi traumatici tali da innescare questo tipo di disturbo. Considerato quanto detto, è da ritenersi del tutto inefficiente (e controproducente) il tentativo di ricercare le cause: anche ammesso si riesca a rinvenire il perché del disturbo, questo di certo non basta a risolvere il problema. 

Se guardarsi dentro rende ciechi” (Watzlawick, 2007), bisognerà allora cambiare ottica e spostare l’attenzione sul sintomo, ovvero la sua correlazione alle circostanze e al luogo in cui questo si verifica. Per esemplificare, se si sperimenta un sintomo mentre ci si trova alla guida della propria auto, si tenderà a ricollegare il malessere provato alla circostanza della macchina. Conseguentemente, il soggetto cercherà di evitare di guidare l’auto con l’intento di scongiurare che la sintomatologia possa manifestarsi nuovamente: il collegamento sintomo-circostanze in questione è denominato match cognitivo.

Così, più semplicemente, si può affermare che il panico sia la conseguenza di un meccanismo bloccato dagli stessi comportamenti posti in atto dal soggetto per tentare di ovviare il problema. Tentativi definiti “disfunzionali” in quanto, invece di risolverlo, lo alimentano.

Le tentate soluzioni

Le tentate soluzioni, dunque, sono rintracciabili in quella serie di azioni (e omissioni) orientate all’evitamento di situazioni che possono essere riconducibili all’esperienza del panico, oppure ancora, alla richiesta di aiuto rivolta a terzi e alla necessità di esternare il proprio disagio parlando del problema. 

Ma disfunzionale sarà eludere determinate circostanze soggiacendo al timore di innescare un altro attacco, poiché questo confermerà la pericolosità della situazione fino a imporre severi limiti alla propria quotidianità. Così come chiedere aiuto a una persona di fiducia, per lo svolgimento di attività consuete affermerà la propria incapacità di gestione autonoma del sintomo e parlare del disturbo contribuirà a percepirlo in modo del tutto spropositato. 

Appare chiaro come le suddette condotte, compiute con l’ingenua intenzione di sbloccare l’impasse, vadano invero a promuovere e incrementare ulteriormente il problema (sovente dopo essersi rivelate fallimentari), immergendo l’autore in un circolo vizioso difficile da spezzare.

La mente è illogica

È immediato ed è insito nella natura umana ricercare una strategia per tentare di superare un ostacolo. Tuttavia, gli strumenti razionali di cui si dispone sono totalmente inadeguati quando si parla di paura e di panico. La paura è un impulso atavico preposto alla salvaguardia della vita, il panico è la percezione anomala di tale impulso fisiologico: più nello specifico, è il paleoencefalo (la sfera cerebrale più antica, la stessa che governa l’istinto, per intendersi) a trasmettere un segnale alla corteccia attivando la sintomatologia propria degli attacchi di panico. A ben vedere, questo complesso sistema, proprio in quanto irrazionale, si sottrae alla logica ordinaria. 

Chi vive un attacco di panico si avvale delle tentate soluzioni per cercare di razionalizzare la paura, ma la paura, per sua natura, sfugge alla ragione. E quanto più si cercherà di controllare il panico, tanto più si perderà il controllo.

Al fine di sciogliere questo conflitto, è quindi necessario operare un’osservazione: la mente si comporta in modo apparentemente illogico, sicché illogiche dovranno essere le strategie adottate. 

Il paradosso della Terapia Breve Strategica

Strumento d’elezione per una soluzione celere ed efficace degli attacchi di panico e delle problematiche ad essi correlate è la Terapia Breve Strategica, frutto della collaborazione tra Giorgio Nardone e Paul Watzlawick. Tale approccio psicoterapico mira a ripristinare l’equilibrio psicofisico in un arco di tempo notevolmente limitato (circa dieci sedute) e parte proprio dall’analisi dei tentativi disfunzionali compiuti dal paziente. Base epistemologica è la teoria del costruttivismo, secondo la quale non esiste una realtà univoca, bensì molteplici realtà soggettive costruite a partire dall’esperienza individuale: la mente è attiva nel processo di costruzione della realtà disfunzionale che essa stessa subisce. Alla luce di quanto esposto, il terapeuta strategico non indaga circa il “perché” vi sia un determinato problema, bensì “come” il paziente avverta (o, per meglio dire, costruisca) e dunque subisca la propria realtà. Realtà che sarà disfunzionale in quanto condizionata dalle modifiche comportamentali avvenute a seguito delle tentate soluzioni: suo obiettivo sarà, pertanto, quello di destrutturarla al fine di ricomporla in modo più funzionale. Operazione che potrà realizzarsi solo mediante stratagemmi paradossali: come si è detto, la mente è illogica e, in virtù di questo, è richiesta una logica simile a quella del problema al fine di risolverlo. Se il paziente ha paura di prendere l’aereo, allora dovrà prendere l’aereo. Con modalità e tempistiche prestabilite, certo. Se è solito parlare di ciò che lo preoccupa con un familiare, gli sarà impedito di farlo e così via. 

La Terapia Breve Strategica trova efficiente applicazione in quanto totalmente illogica, al pari delle sue prescrizioni.

Tecniche di intervento

L’instaurarsi di un rapporto di fiducia tra terapeuta e paziente è la conditio sine qua non per uno svolgimento ottimale del percorso. A tal fine, il terapeuta si avvale di uno specifico linguaggio ipnotico per favorire la predisposizione del paziente all’esecuzione precisa e costante degli esercizi assegnati nel corso delle sedute. 

Individuata la specifica problematica attraverso il dialogo strategico, la terapia prevede l’applicazione di alcuni protocolli adattati di volta in volta alla fattispecie concreta. Ad esempio, sarà chiesto al paziente di portare con sé e compilare un diario di bordo ogni volta in cui si verifica un attacco di panico: la scrittura è un espediente fondamentale per alleviare e contrastare la sintomatologia. Altra prescrizione paradossale di rilievo è nota agli strategici come peggiore fantasia (“worst fantasy”) e consiste nell’evocare il panico in un’area di comfort come la propria stanza. 

Sebbene peculiari e illogiche, queste tecniche di intervento riducono drasticamente il numero di episodi di panico fino ad ridurre notevolmente il rischio di ricomparsa, assicurando in poco tempo il ritorno a una vita normale.

Con la giusta terapia e un’adeguata informazione, guarire dagli attacchi di panico è possibile.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association (2013), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi Mentali, Quinta edizione (DSM-5), trad. it. Raffaello Cortina, Milano 2014
  • Nardone, G., (1998): Psicosoluzioni. Come risolvere rapidamente i più complicati problemi della vita. Milano: BUR
  • Nardone, G., (2010): Paura, panico, fobie. Milano: Tea
  • Nardone, G., Balbi, E., (2017): Solcare il mare all’insaputa del cielo. Lezioni sul cambiamento terapeutico. Milano: Tea 
  • Nardone, G., Salvini, A., (2004): Il dialogo strategico. Firenze: Ponte alle grazie 
  • Nardone, G., Watzlawick, P., (1997): Terapia breve strategica. Milano: Raffaello Cortina Editore
  • Nardone, G., Watzlawick, P., (2010): L’arte del cambiamento. La soluzione dei problemi psicologici personali e interpersonali in tempi brevi. Milano: Tea
  • Watzlawick, P., (1976). La realtà della realtà. Confusione, disinformazione, comunicazione. Roma: Astrolabio Ubaldini
  • Watzlawick, P., (2007). Guardarsi dentro rende ciechi. Firenze: Ponte alle Grazie
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