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Vissuti emotivi e fatiche del caregiver: il fenomeno del burden

Con il termine burden si fa riferimento allo stress del caregiver correlato alla presenza e alla cura di un familiare affetto da una malattia grave o cronica

Di Micol Agradi

Pubblicato il 18 Mag. 2023

Con caregiver s’intende colui che fornisce cure a un familiare bisognoso di assistenza. Che si rivolga ad anziani o a disabili, il caregiver riveste un ruolo carico di responsabilità e vissuti emotivi che, se trascurati, possono portare al burden, ossia a un vero e proprio disagio psicofisico.

Chi è il caregiver

 Il caregiver è letteralmente colui che “si prende cura” delle persone che, avendo subito una diminuzione o una perdita di autonomia in seguito a una malattia, necessitano di assistenza.

Ad oggi vengono ufficialmente riconosciute due figure di caregiver:

  • Caregiver formale, che è una figura professionale specializzata nella cura del malato e che si occupa di assistenza domiciliare privata sotto compenso della famiglia (come gli operatori socio-sanitari o le badanti);
  • Caregiver informale, che può essere un qualsiasi parente del malato (nella maggior parte dei casi, i figli) che si assume la responsabilità di prendersi cura del familiare bisognoso di assistenza.

Solo nel 2017 la Legge Finanziaria ha inserito nell’Ordinamento Italiano la figura del caregiver familiare, qualificandola per la prima volta dal punto di vista giuridico e, così, riconoscendo l’attività di cura non professionale nel suo enorme valore morale, sociale ed economico. Farne una statuizione giuridica, tuttavia, non basta a garantire la salute degli stessi caregiver che, caricati di ruoli e responsabilità assistenziali, in molti casi sentono significativamente compromessa la loro qualità di vita.

I vissuti emotivi dei caregiver

Nel tentativo di approfondire i complessi vissuti emotivi dei caregiver, sarà opportuno fare riferimento alle due più diffuse forme di assistenza familiare al malato, di seguito approfondite.

Genitore anziano affetto da demenza senile

Secondo gli studi, circa l’80% delle persone affette da demenza senile in Italia è attualmente assistita a domicilio dai familiari. La cura a casa, tuttavia, non è semplice, perché si instaura su dinamiche complesse legate a comunicazioni consce e inconsce che strutturano l’identità familiare. Tale situazione può rivelarsi gravosa per i familiari che se ne assumono il carico, soprattutto per i soggetti particolarmente ansiosi che tendono ad attribuirsi interamente la responsabilità dell’assistenza. In alcuni casi, l’eccessiva dedizione alla cura finirebbe per essere controproducente, relegando il proprio caro a una condizione regressiva e infantilizzante dove è privato delle sue autonomie residue.

Quando si arriva al punto in cui la sofferenza dell’ambiente domestico è tale da non poter più trarre beneficio da un intervento auto-gestito, si attivano delle forze repulsive che fanno del ricovero l’unica soluzione possibile.

Figlio con disabilità

Essere caregiver di un figlio disabile comporta innegabilmente più oneri, perché i genitori si trovano a dover fornire un’assistenza quotidiana e continuativa e a fare i conti con il dolore di vedere il proprio figlio in difficoltà. Gli stati d’animo che spesso riportano sono rabbia, senso di colpa, tristezza, vergogna e invidia.

Spesso la rabbia è motivata dall’impotenza e dalla non accettazione della disabilità, al punto che alcuni genitori riferiscono di temere di perdere il controllo con agiti aggressivi nei confronti del figlio. Il senso di colpa è spesso legato alla sensazione di inefficacia e alla remota credenza di aver provocato un danno al figlio. La tristezza viene esperita in una dimensione luttuosa dove il genitore ammette a se stesso il dispiacere di non poter vivere la genitorialità ideale che si era immaginato. La vergogna si giustifica in relazione alle situazioni in cui la disabilità del figlio si palesa agli occhi degli altri, di cui si temono i pregiudizi. Infine, l’invidia deriva dal confronto con le altre famiglie, delle quali si tendono ad esaltare le risorse e le “normalità”.

Quando il carico diventa eccessivo: il burden

Con “burden” si fa riferimento all’insieme delle conseguenze oggettive e soggettive, fisiche e psicologiche, correlate alla presenza e cura di un familiare affetto da una malattia grave o cronica. Si tratta della risposta di stress del caregiver e della famiglia in seguito alla sofferenza psicofisica di un suo membro. Il carico percepito dal caregiver si esprime su vari fronti:

  • Carico oggettivo, che riguarda il tempo che il caregiver dedica all’attività assistenziale;
  • Carico evolutivo, che riguarda il sentirsi escluso rispetto alle aspettative e alle opportunità di vita dei propri coetanei a causa degli oneri assistenziali;
  • Carico fisico, associato alle ripercussioni fisiche date dall’assistenza (fatica, insonnia, stanchezza);
  • Carico sociale, che considera la percezione interna di un conflitto di ruolo in ambito familiare o lavorativo ed eventuali conflitti emersi col resto della famiglia;
  • Carico emotivo, associato agli stati d’animo sopra raccontati.

Secondo la letteratura, non tutti i caregiver avrebbero lo stesso rischio di sviluppare i sintomi del burden. Alcune differenze individuali influenzerebbero la capacità di tollerare la pesantezza del carico assistenziale:

  • Il nevroticismo sarebbe correlato a minore flessibilità al cambiamento, e dunque a maggior rischio burden;
  • L’estroversione porterebbe a maggior benessere generale, minori sintomi fisici e maggiore ricerca di sostegno sociale;
  • La percezione di autoefficacia incrementerebbe la sensazione di utilità personale;
  • La resilienza sarebbe legata a una maggiore capacità di accettazione della malattia e a una maggiore fiducia in se stessi e nelle proprie competenze a fornire assistenza;
  • La capacità di esprimere i propri vissuti emotivi ad altri significativi diminuisce il rischio depressivo;
  • L’utilizzo di strategie di coping efficaci, come il problem solving, l’accettazione e il coping religioso, aiuterebbe a fronteggiare più serenamente i compiti assistenziali.

L’importanza del supporto psicologico e sociale

Spesso i caregiver sono stati definiti le seconde vittime nascoste della malattia, dato che finiscono per sperimentare esaurimento vitale senza essere sufficientemente visti, riconosciuti e aiutati. La possibilità di fornire supporto psicologico e sociale a queste persone diviene allora una questione urgente. Alcuni interventi preventivi possono aiutare a monitorare le loro condizioni psicofisiche, offrendo supporti adeguati a ridurre il carico soggettivamente percepito; parallelamente, gruppi di mutuo-aiuto coordinati da uno psicologo potrebbero essere utili ai caregiver per sentirsi accolti, contenuti e accompagnati nell’elaborazione del ruolo di cura. Del resto, la presenza di sostegno sociale costituisce un fattore protettivo capace di contrastare l’isolamento e migliorare l’umore del caregiver, favorendo la cosiddetta crescita post-traumatica: i caregiver che riconoscono il proprio valore in quanto tali, percependosi utili e necessari, sono in grado di dare un senso alla vita che stanno conducendo e tollerare meglio le frustrazioni riconducibili al malato.

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