Definizione di autoefficacia
L’autoefficacia, meglio nota come autoefficacia percepita citando esattamente le parole usate da Albert Bandura, corrisponde alla consapevolezza di essere capace di dominare specifiche attività, situazioni o aspetti del proprio funzionamento psicologico o sociale. In altre parole, è la percezione che abbiamo di noi stessi di sapere di essere in grado di fare, sentire, esprimere, essere o divenire qualcosa.
Da queste convinzioni e credenze su se stessi derivano valutazioni che portano alla formazione di mete o di obiettivi. Gli scopi che desideriamo raggiungere derivano, dunque, dal sapere esattamente cosa siamo in grado di fare e con quali mezzi. La ricerca suggerisce che l’autoefficacia funziona come un’organizzazione gerarchica di credenze con diversi livelli di concretezza e complessità dell’azione da compiere; tali credenze influenzano profondamente l’apprendimento ed anche lo sviluppo a lungo termine (Bandura, 2000a; Ehremberg, Cox e Koopman, 1991).
Il costrutto di autoefficacia è stato usato in ricerca secondo due accezioni: da una parte come autoefficacia riferita all’abilità percepita di effettuare un particolare comportamento; dall’altra come autoefficacia riferita all’abilità percepita di controllare, prevenire o gestire le potenziali difficoltà che possono sorgere nell’esecuzione di una particolare prestazione (Kirsh, 1995; Maddux e Gosselin,2003).
Ciò significa che oltre ad una percezione generale di autoefficacia, ci sono credenze molto specifiche di autoefficacia riguardanti differenti domini del sé (ad es. forza fisica nel calcio, resistenza alla fatica nel prepararsi ad un difficile test di matematica). Prendendo l’ autofficacia nell’ utilizzo di una lingua come esempio esplicativo: il livello di autoefficacia nell’ utilizzo di una lingua si riferisce alle variazioni di padronanza percepita per esempio tra una prima ed una seconda lingua; la forza nell’autoefficacia percepita si riferisce al grado di sicurezza nell’usare questa lingua in occasioni formali o sociali, mentre la generatività si riferisce al trasferimento delle credenze di autoefficacia tra differenti compiti legati alla lingua (ad es. esposizioni scritte o orali).
Ciascuna credenza e le sue conseguenze sono sensibili a variazioni di situazione, di contesto e nel compito; queste credenze guidano ed organizzano la performance e l’insieme delle azioni di ciascuna persona, queste ultime a loro volta avranno conseguenze positive o negative a livello fisico, sociale e di autostima. Ogni valutazione successiva alla performance modificherà le credenze di autoefficacia della persona, modificando la probabilità che lo specifico compito venga ripetuto in futuro (Bandura, 1997).
L’autoefficacia è anche una parte costituente il concetto di autostima, rivolta a una serie di convinzioni che il soggetto ha di se stesso. Il costrutto di autostima e di autoefficacia sono intimamente correlati tra di loro, al punto che si influenzano e determinano reciprocamente. Esiste una sorta di relazione duale, in cui all’aumentare dell’uno aumenta l’altro e viceversa.
Autoefficacia, teoria dell’apprendimento e teoria sociocognitiva
La formulazione teorica che ha come oggetto l’autoefficacia discende dalle teorie dell’apprendimento, dalla teoria cognitiva e da quella socio-cognitiva.
Le teorie dell’apprendimento, cercando di spiegare la causa del comportamento, si sono focalizzate prima sul condizionamento e poi sulle conseguenze dei comportamenti stessi. Le teorie cognitive dell’apprendimento hanno introdotto le cognizioni all’interno dei processi di generazione dei comportamenti e hanno enfatizzato l’importanza dei guadagni e delle perdite risultanti dal comportamento come un fattore decisivo per la sua attuazione. La teoria Socio-Cognitiva di Bandura concepisce il funzionamento degli esseri umani come la risultante di un gioco dinamico tra influenze personali (cognizioni, affetti ed eventi biologici), comportamentali e ambientali.
E fu proprio Albert Bandura a coniare il termine di “modellamento” per indicare quel tipo di apprendimento che entra in gioco quando il comportamento di un organismo che osserva si modifica in funzione di un altro organismo che ha la funzione di modello. Nella teoria di Bandura i pensieri e le emozioni acquistano un ruolo con-causale nei confronti dei comportamenti, mettendo in evidenza come le aspettative proprie e altrui riguardo le prestazioni esercitino un’influenza sui comportamenti, sulla valutazione dei risultati ottenuti, e in ultima analisi sull’apprendimento.
Quindi, i comportamenti e/o le prestazioni individuali sono influenzati dalle aspettative riguardo le proprie capacità. Ma non sono solo gli effettivi risultati ottenuti in passato a impattare sulle future performance, quanto le sempre soggettive e discutibili interpretazioni e attribuzioni causali dei propri successi o fallimenti a impattare sulle proprie credenze di autoefficacia e sulle performances.
Ed e’ proprio in questa direzione che la teoria dell’autoefficacia di Bandura chiama in causa i processi valutativi di attribuzione causale.
Il processo mediante cui l’individuo si autovaluta – e autovaluta i propri comportamenti e prestazioni- è dovuto anche alle attribuzioni causali. Detto in termini più semplici le persone spesso cercano di spiegarsi un evento collegandolo ad una causa.
Sovente si tende ad attribuire un successo raggiunto ad una causa esterna alla persona, quale potrebbe essere la fortuna, oppure ad una causa interna, come ad esempio la tenacia.
Weiner (1994) ha affermato che le attribuzioni possono essere distinte in base a tre dimensioni:
– Locus of control: ossia se la causa di un successo (o di un fallimento), sia interna o esterna alla persona;
– Stabilità: per cui le cause possono essere stabili o instabili nel tempo (per esempio la facilità del compito è stabile, al contrario la fortuna è instabile);
– Controllabilità: il grado di controllo che si ha sui fattori in gioco: non tutti i fattori causali possono essere controllati dal soggetto.
Ad esempio, un individuo che ritiene che il risultato della sua prestazione vari in funzione del suo impegno, quindi in funzione di una causa interna e controllabile, avrà aspettative maggiori di ottenere un successo rispetto a chi è convinto che il successo in una determinata prestazione o situazione sia principalmente determinato da cause esterne e incontrollabili, come la fortuna. E similmente, valutando le proprie prestazioni passate, l’individuo che si spiega i propri successi attribuendoli a cause interne, stabili e controllabili (ad esempio, attribuendoli alle proprie capacità, impegno, tenacia) tenderà a valutare che i successi saranno ottenibili ancora in futuro, alimentando quindi aspettative positive riguardo le performance future.
Viceversa, attribuire il proprio insuccesso a fattori esterni, instabili, incontrollabili, porterà invece a ritenere che i risultati negativi si verificheranno di nuovo in futuro in altre circostanze, innescando una spirale di scarso impegno, sfiducia nelle proprie capacità e impotenza.
Dalla letteratura si evince che le credenze di autoefficacia inerenti la propria capacità di svolgere un compito ed i risultati aspettati predicono fortemente il comportamento effettivo; secondo diversi studi le credenze di autoefficacia sono in grado di predire la performance accademica ed anche le scelte professionali.
La teorizzazione sull’autoefficacia afferma che le credenze su se stessi – e di conseguenza le performances- dipendono dall’interscambio tra quattro processi psicologici:
1) I processi cognitivi: questi includono la valutazione delle proprie capacità, abilità e risorse, la selezione degli obiettivi, la costruzione degli scenari di successo e fallimento nel processo di raggiungimento dell’obiettivo, la generazione e la selezione delle opzioni nel problem solving, il mantenere l’attenzione ed il funzionamento necessari allo svolgimento del compito;
2) I processi motivazionali: le credenze di autoefficacia influenzano l’auto-regolazione della motivazione;
3) I processi affettivi: la percezione della propria padronanza della situazione influenza l’attivazione emotiva e la tolleranza ad emozioni negative quali l’ansia o la depressione che può portare allo scoraggiamento e all’impotenza;
4) I processi di selezione: le persone con alta autoefficacia, per raggiungere gli obiettivi di loro interesse, sono decisamente proattive nel selezionare e nel crearsi un ambiente fisico e sociale che si accordi alle loro capacità e risorse percepite. In tale processo la possibilità di raggiungimento dei propri obiettivi e di sviluppo personale sono massimizzate.
Le credenze di autoefficacia non sono statiche, ma si generano e sono costantemente modificate da almeno cinque fonti a loro volta influenzate dalle interpretazioni che le persone danno delle esperienze passate e presenti.
1) Esperienze di mastery: precedenti esperienze di padroneggiamento e successo nello stesso compito aumentano l’autoefficacia percepita, essa a sua volta aumenta la perseveranza nel superare le difficoltà durante l’esecuzione del compito stesso.
2) L’esperienza vicaria: l’osservazione di performance positive compiute da modelli sociali (come genitori ed insegnanti) e da persone le cui capacità sono simili alle proprie (come il gruppo dei pari) può generare un forte senso di autoefficacia. Una buona mastery e la presenza di modelli sociali, come genitori, insegnanti o pari, che affrontano efficacemente delle sfide possono mostrare come stimolare l’apprendimento di nuove abilità e strategie (Schunk e Zimmerman, 2007).
3) La persuasione sociale: una persuasione sociale convincente fornita da altri significativi, come genitori e insegnanti, può aumentare l’autoefficacia di un giovane, sempre che egli possieda almeno un po’ quella capacità. Il fallimento dopo aver intrapreso un compito difficile con false aspettative di successo può essere molto dannoso per le credenze di autoefficacia in quell’ambito. Una persuasione sociale di successo dovrebbe includere la modificazione di tutte le variabili processuali precedentemente considerate: l’espansione del repertorio comportamentale tramite uno skills training ed il controllo ambientale per facilitare una performance di successo, così come il rimarcare la desiderabilità dei risultati.
4) Stati fisiologici ed affettivi: le condizioni fisiologiche ed emozionali attuali e percepite lavorano direttamente attraverso i processi affettivi sopra descritti per influenzare le credenze di autoefficacia di una persona. Queste condizioni includono la prontezza fisica e mentale all’azione, il tasso di affaticamento e influenzano direttamente la decisione di continuare o arrendersi. Profonda importanza rivestono anche le credenze riferite al sé riguardo queste condizioni.
5) Esperienze immaginative: ripetizioni immaginative di performance positive o negative possono migliorare le capacità di coping e l’autoefficacia (tecniche cognitivo-comportamentali che usano le esperienze immaginative sono ad esempio la desensibilizzazione sistematica e il covert modeling) (Klassen e Usher, 2010; Williams, 1995).
La relazione tra autoefficacia e performance
Secondo la teoria dell’autoefficacia vi sarebbero tre processi mentali specifici che spiegano la relazione tra autoefficacia e risultati nelle performance in una determinata situazione, e cioè processi che in qualche misura intervengono nella relazione tra queste due variabili.
Si tratta di tre processi di assessment della propria autoefficacia in una data situazione o compito:
– Analisi delle richieste poste da una situazione/compito: l’individuo si trova a valutare che cosa è necessario per affrontare una situazione o svolgere un compito o un’attività;
– Analisi attributiva dell’esperienza occorsa: la valutazione dell’individuo riguardo le ragioni che spiegano il successo o l’insuccesso nell’ affrontare una situazione o un compito o un’attività. In tal senso si rimanda anche al concetto di locus of control interno o esterno;
– Valutazione delle risorse e dei vincoli personali e situazionali: l’individuo si trova a valutare i fattori personali e situazionali in gioco nell’affrontare una situazione, un compito o un’attività. I fattori personali includono ad esempio la percezione delle proprie abilità e competenze, mentre i fattori situazionali riguardano le richieste e le sfide specifiche poste da una situazione.
Un esempio applicativo che implica il costrutto dell’autoefficacia è ad esempio il contesto scolastico, nello specifico nella definizione e nell’organizzazione delle modalità di apprendimento dello studente e nel mantenere un livello adeguato di motivazione nello svolgimento delle attività proposte (Tsang, Hui e Law, 2012).
A riguardo, secondo uno studio di pochi anni fa, i bambini con DSA sperimentano un basso senso di autoefficacia circa le proprie abilità accademiche e sociali, dato in linea con la precedente letteratura (Bursuck, 1989; Grolnick & Ryan, 1990). Inoltre lo studio mette in luce che già nel corso della scuola primaria i bambini con DSA iniziano a sviluppare un’immagine negativa di sé (Ayres & Cooley, 1990; Clever, Bear, e Juvonen , 1992; La Greca & Stone, 1990). Il basso senso di auto-efficacia e la valutazione negativa di sè contribuiscono, a loro volta, a incrementare i livelli d’ansia sociale nei bambini con DSA (Cowden, 2009).
Bandura suggerisce ad esempio di favorire in classe insegnamenti personalizzati su ciascun allievo, elemento che ridurrebbe drasticamente confronti sociali demoralizzanti e massimizza valutazioni personali sui propri standard interni e maggiore competenza personale percepita (Bandura, 2000b).
In secondo luogo potrebbe essere utile strutturare attività didattiche su base cooperativa e favorire pratiche di tutoring attivo tra studenti, in modo che i più svantaggiati possano contare su modelli efficaci rappresentati dagli studenti più abili che a loro volta, assumendo temporaneamente il ruolo attivo di insegnamento, perfezionino e affinino la padronanza della materia, le proprie abilità comunicative e la propria autoefficacia scolastica.
Suddividere attività complesse in sotto-obiettivi relativamente semplici da conseguire, al fine di ottenere periodici feedback positivi circa le proprie abilità costituisce un’ulteriore modalità di potenziamento della propria autoefficacia, assieme all’invito agli studenti ad auto-istruirsi verbalmente per trovare le soluzioni più appropriate per ciascun compito. Cruciale, da parte dell’insegnante, il fornire feedback appropriati tanto sulla buona qualità del lavoro svolto quanto sui risultati ottenuti dagli studenti, promuovendo quindi un locus of control prevalentemente interno. Infine Bandura sottolinea la necessità, da parte degli insegnanti, di potenziare a propria volta la propria autoefficacia e a stringere proficue collaborazioni con le famiglie degli alunni (Bandura, 2000b).
L’ autoefficacia in psicologia oncologica
Per lo sviluppo e l’incremento dell’autoefficacia, sono di fondamentale importanza le esperienze comportamentali dirette di gestione efficace ma anche le esperienze vicarie. E’ a partire dalla reazione e dalla gestione delle esperienze vicarie che si può lavorare sul senso di autoefficacia dei pazienti oncologici. Inoltre osservare altre persone, simili a sé, che affrontano la malattia può portare a credere di avere le abilità necessarie per fare quanto osservato. Da qui l’importanza del supporto sociale per una buona gestione dei risvolti psicologici di queste patologie.
Gli aspetti centrali del lavoro sull’ autoefficacia dei pazienti oncologici sono quindi il processo di valutazione (assessment delle capacità), il grado di autoefficacia percepita (“Sono in grado di affrontare il cancro?”), le aspettative di risultato (analisi costi/ benefici) ed infine il comportamento (plan). Ma perché lavorare sull’ autoefficacia di questi pazienti? Gli studi presenti in letteratura evidenziano che l’autoefficacia sia un elemento di fondamentale importanza nel mediare il rapporto tra sintomi e depressione nei survivors. Ciò ha un ruolo essenziale nel ridurre la depressione, che non deve essere sottovalutato nella presa in carico della persona che si trova ad affrontare o ad aver affrontato una diagnosi di cancro.
Uno degli interventi utilizzati con i pazienti con diagnosi di cancro è la Mastery Enhancement Therapy. Tale intervento punta a valutare cosa è importante per la persona in relazione al suo passato e alle sue esperienze, e si è mostrato efficace nel migliorare l’autoefficacia dei pazienti affetti da neoplasia. Attraverso un percorso di quattro sessioni, della durata di 30-40 minuti, si cerca di incoraggiare il paziente a mettere in atto dei piani per far accadere ciò che decide di ripromettersi di fare.
Non è tuttavia solo la malattia oncologica a mettere a dura prova l’ autoefficacia dei pazienti. Vi sono altre condizioni mediche che, secondo recenti studi, impattano negativamente sul senso di autoefficacia personale: tra queste troviamo l’ epilessia e il diabete, ma anche con sintomi psicologici come disturbi dell’umore o attacchi di panico.
Bibliografia:
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