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Autoefficacia e accettazione nella relazione con il paziente oncologico – Report dal Convegno di Verona

Si è svolto a Verona il 31 maggio il workshop esperienziale su "Autoefficacia e accettazione nella relazione con il paziente oncologico" 

Di Eleonora Geccherle

Pubblicato il 08 Giu. 2016

Aggiornato il 01 Lug. 2019 14:07

Si è svolto a Verona nella giornata di martedì 31 maggio il workshop esperienziale “ Autoefficacia e accettazione nella relazione con il paziente oncologico”. L’iniziativa è stata promossa dal Servizio di Psicologia clinica dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, coordinato dal dottor Giuseppe Deledda, in collaborazione con la dottoressa Samantha Serpentini, psicologa presso l’Istituto Oncologico Veneto. Ospiti del workshop sono stati il professor Thomas Merluzzi, psicologo, dell’Università di Notre Dame dell’Indiana (Stati Uniti) e il professor Giambattista Presti, professore associato di Psicologia generale dell’Università Kore di Enna.

 

Il concetto di autoefficacia

Il convegno ha accolto numerosi professionisti, tra medici e psicologi, con l’intento di estendere il prezioso contributo a tutti coloro che si occupano di oncologia, un campo che tuttora lascia aperte numerose riflessioni umane, cliniche e di ricerca.
Le aree principali trattate nel corso del workshop sono state l’autoefficacia e l’accettazione nella relazione con il paziente oncologico. Proprio su questa tematica si è incentrato l’intervento del professor Merluzzi che ha aperto la mattinata. Durante la prima parte del suo speech, il professor Merluzzi ha mostrato una panoramica di diverse teorie psicologiche, partendo dalla teoria dell’autoregolazione, passando alla teoria della resilienza e terminando con la teoria dell’autoefficacia, postulata da Albert Bandura. Stando alla definizione del grande psicologo canadese possiamo definire l’autoefficacia come [blockquote style=”1″]l’insieme delle convinzioni circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie per produrre determinati risultati [/blockquote](Bandura, 2000).

Per lo sviluppo e l’incremento dell’autoefficacia, sono di fondamentale importanza le esperienze comportamentali dirette di gestione efficace, le esperienze vicarie, la persuasione verbale ed infine il controllo degli stati fisiologici ed affettivi. In particolare, sottolinea il professor Merluzzi, le esperienze vicarie possono essere un aiuto importante per questi pazienti. L’osservare altre persone, simili a sé, che affrontano la malattia può portare a credere di avere le abilità necessarie per fare quanto osservato. Da qui l’importanza del supporto sociale per una buona gestione di queste patologie. Nell’ambito terapeutico invece, continua il professor Merluzzi, si lavora soprattutto sulla fonte della “persuasione”, vale a dire l’incoraggiamento, sul piano verbale e non, che infonde nel paziente la possibilità di possedere competenze. Per questo motivo, il professor Merluzzi, ha definito il lavoro dello psicologo come “costruttore di autoefficacia”.

L’autoefficacia è inoltre comportamento-specifica: provare un alto grado di autoefficacia nel mettere in atto un comportamento non implica che si perseguirà con la stessa autoefficacia una condotta in un altro ambito. Come ha sottolineato Merluzzi essa è strettamente collegata alle situazioni, posso avere ad esempio una scarsa autoefficacia nel tennis, e magari un’autoefficacia molto elevata nel calcio.

Gli aspetti centrali di tale teorizzazione sono quindi il processo di valutazione (assessment delle capacità), l’autoefficacia percepita (“Sono in grado di affrontare il cancro?”), le aspettative di risultato (analisi costi/ benefici) ed infine il comportamento (plan). Vedere adattare questo costrutto, già molto diffuso e conosciuto in diversi ambiti della psicologia scolastica e lavorativa, anche al campo clinico e in particolare a quello oncologico è stato molto arricchente per i partecipanti. Inoltre gli studi presenti in letteratura evidenziano che l’autoefficacia sia un elemento di fondamentale importanza nel mediare il rapporto tra sintomi e depressione nei survivors. Tale caratteristica ha, infatti, un ruolo essenziale nel ridurre la depressione, che non deve essere sottovalutato nella presa in carico della persona che si trova ad affrontare o ad aver affrontato una diagnosi di cancro.

 

La teoria dell’autoregolazione

La sessione è continuata con un approfondimento sulla teoria dell’autoregolazione (Carver e Scheirer,1998). Quando si parla di un evento traumatico, come può essere la neoplasia, si identificano diverse modalità di reazione. Tra quelle positive vi è il recupero (resilienza di I livello) e la resilienza di II livello, cioè “thriving”. Mentre la prima condizione fa riferimento al momento in cui è ripristinato il livello pre-traumatico, nel secondo tale livello viene addirittura superato, arrivando a un maggiore stato di benessere, e livello di funzionamento. Le persone in tale condizione hanno sfruttato il potenziale post-traumatico per sviluppare nuove capacità, arrivando alla migliore e più auspicabile condizione di “prosperità”.

Durante la parte finale del suo speech, il relatore ha esposto alcuni degli strumenti da lui elaborati e validati, come il “Cancer Behavior Inventory” (CBI-B), e che grazie all’importante contributo della dottoressa Serpentini ora è disponibile anche in lingua italiana.
Un fattore d’indagine di tale strumento è la capacità dell’individuo di ricercare il supporto sociale. Tale aspetto è direttamente collegato all’agentività personale.

 

La Mastery Enhancement Therapy

L’intervento del professor Merluzzi si è concluso parlando della Mastery Enhancement Therapy. Tale intervento punta a valutare cosa è importante per la persona in relazione al suo passato e alle sue esperienze, e si è mostrato efficace nel migliorare l’autoefficacia dei pazienti affetti da neoplasia. Attraverso un percorso di quattro sessioni, della durata di 30-40 minuti, si cerca di incoraggiare il paziente a mettere in atto dei piani per far accadere ciò che decide di ripromettersi di fare. Il motto è quindi “Keep it simple and feasible”. Tale intervento, caratterizzato da brevità e semplicità, può essere svolto in mancanza di risorse anche dal personale infermieristico. Questo permetterebbe allo psicologo di focalizzare il suo intervento su quei casi che richiedono un trattamento più strutturato.

 

Self-compassion, mindfulness e accettazione

Un workshop particolarmente avvincente ha chiuso la giornata di formazione. I principali temi trattati sono stati quelli della self-compassion e della consapevolezza, approfonditi tramite esercizi esperienziali svolti a coppie e tramite l’uso della mindfulness per affrontare più efficacemente le situazioni di stress, cui spesso sono esposti i professionisti che si occupano di malattia oncologica. Il workshop è stato abilmente condotto dal professor Presti, presidente eletto dell’associazione internazionale ACBS (Association for Contextual Behavioral Science), e dal dottor Deledda, referente del SIG “ACT for Health”. Grazie al contributo di questi due importanti esponenti dell’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) ancora una volta è emerso come sia essenziale, soprattutto in relazione alla malattia neoplastica, aumentare la flessibilità psicologica, accogliendo e accettando i propri pensieri. Il controllo del dolore e delle emozioni spiacevoli è una competenza essenziale in campo oncologico. Spesso gli specialisti del settore si trovano a porsi l’interrogativo di come “stare con” le emozioni dolorose della persona, di come comunicare la diagnosi o di come accogliere il dolore che il paziente porta in seduta. Stare con il dolore, toccare con mano la terminalità possono esporre l’equipe curante al fenomeno del burn-out.

Tale modello si propone di aiutare il curante (ma anche il paziente) a essere maggiormente in contatto con il momento presente e a sviluppare una consapevolezza dei propri pensieri e delle proprie emozioni. Proprio coltivando la nostra consapevolezza di fronte a tali temi riusciamo a ridurre tutti quei comportamenti di evitamento che frequentemente insorgono quando entriamo in contatto con qualcosa di “avversivo”. L’accettazione è la risposta speculare e alternativa all’evitamento esperenziale. L’ACT impiega i processi di mindfulness e accettazione, insieme a quelli di modificazione comportamentale e azione impegnata, per aumentare la flessibilità psicologica, fornendo al personale curante una serie di risorse importanti e necessarie per gestire la loro esperienza lavorativa. Quest’approccio ha fornito numerose evidenze cliniche anche in campo terapeutico.

 

Conclusioni: l’importanza di sviluppare l’autoefficacia nel paziente oncologico

L’esperienza della malattia oncologica comporta un elevato distress e un considerevole impegno da parte dell’individuo per raggiungere un valido adjustment alla nuova condizione. Gli studi presentati durante questo convegno, così come l’esperienza clinica, rafforzano la necessità di rendere sempre più fruibili per questi pazienti percorsi di supporto che mirino a rafforzare la loro autoefficacia. Un punto basilare resta che il supporto psicologico offerto ai pazienti e ai loro famigliari, nonché la formazione e supervisione del personale curante, sono servizi necessari ed essenziali, conclusione che si auspica diventerà realtà concreta in tutti i contesti clinici che si occupano di tali patologie.

Per chiunque volesse approfondire tali tematiche, il prossimo incontro internazionale del GIS “Act for Health” si svolgerà sempre a Negrar il giorno 29 giugno, e avrà come ospiti il professor Joseph W. Ciarrocchi e il dottor Daniel J. Moran, attuale presidente ACBS.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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