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Diagnosi di carcinoma mammario: strategie di coping per affrontare un corpo che cambia

La donna con carcinoma mammario ha il difficile compito di comprendere quanto successo e trovare strategie di coping per affronater la condizione.

Di Raffaela Massa

Pubblicato il 23 Mag. 2016

Aggiornato il 25 Mag. 2016 11:16

La diagnosi di carcinoma mammario e dei trattamenti successivi, rappresenta un evento di crisi che sconvolge la vita di ogni donna e della sua famiglia suscitando un insieme complesso di reazioni emotive. La risposta iniziale alla diagnosi di cancro, può essere di incredulità e negazione transitoria; cui seguono paura, confusione, angoscia, rabbia, colpa, vergogna, tristezza, depressione e tendenza all’isolamento. 

 

La malattia è il lato notturno della vita,
una cittadinanza più onerosa.
Tutti quelli che nascono
hanno una doppia cittadinanza,
nel regno dello star bene
e in quello dello star male.
Preferiremmo tutti servirci soltanto
del passaporto buono,
ma prima o poi ognuno viene costretto,
almeno per un certo periodo,
a riconoscersi cittadino di quell’altro paese.

(Susan Sontag, La malattia come metafora)

 

L’impatto psicologico in donne con carcinoma mammario e strategie di coping

La diagnosi di carcinoma mammario e dei trattamenti successivi, rappresenta un evento di crisi che sconvolge la vita di ogni donna e della sua famiglia suscitando un insieme complesso di reazioni emotive. Il cancro può causare cambiamenti nel concetto di sé e nel proprio sistema valoriale con ripercussioni a livello emozionale. L’alterazione del concetto di sé ha delle implicazioni psicosociali causati dall’incertezza sui risultati dell’intervento, dalle aspettative per il futuro in termini di qualità di vita, strategie di adattamento e ridefinizione di sé nel rapporto con gli altri (Gordon D, 2002).

La risposta iniziale alla diagnosi di cancro, può essere di incredulità e negazione transitoria; cui seguono paura, confusione, angoscia, rabbia, colpa, vergogna, tristezza, depressione e tendenza all’isolamento. Spesso c’è anche la speranza di ottenere, dopo la guarigione dal tumore, una qualità di vita uguale a quella prima di contrarre la malattia, mantenendo l’indipendenza e l’esecuzione di normali attività quotidiane (Hollen et al., 2015).

In una fase iniziale di malattia, chiamata di shock o siderazione (pallore, tremore, sudorazione, tachicardia, agitazione), permane uno stato confusionale, di alterazione del senso del tempo, di stordimento, incredulità, in cui tutti gli sforzi sono finalizzati al controllo delle emozioni. In una seconda fase le reazioni più frequenti sono di ansia e paura, accompagnate spesso da rabbia, angoscia e un senso di abbandono. La gestione di questi vissuti potrebbe comportare evitamento emotivo, intellettualizzazione, catastrofizzazione e razionalizzazione. La razionalizzazione permette, infatti, una maggiore distanza dall’esperienza di malattia e crea l’illusione alla paziente di poter gestire l’ansia.

La maggior parte delle pazienti con carcinoma mammario, attraversano la fase dei trattamenti e delle cure con bassi livelli di ansia, manifestano una sintomatologia ansiosa solo nei momenti critici come la notte prima dell’intervento o il giorno prima della chemioterapia o il giorno dopo l’ultimo trattamento di radio o chemioterapia.

Terminato il periodo attivo dei trattamenti, la donna è lasciata col difficile compito di comprendere quanto successo e convivere con la sua nuova condizione; è la fase di elaborazione dell’evento malattia come parte della storia personale, in cui è necessario avvertire e interiorizzare il cambiamento. Tutte queste reazioni rientrano nel vivo del discorso psiconcologico, quando la persona utilizza e mobilita le proprie risorse che potranno comportare un adattamento alla malattia facendo fronte ai problemi legati alle modificazioni fisiche, psichiche, familiari e sociali.

 

Le strategie di coping alla diagnosi di carcinoma mammario

Nelle pazienti con carcinoma mammario sono stati identificati tre gruppi di strategie di coping a seconda che queste ultime siano orientate all’azione, al funzionamento emotivo e al funzionamento cognitivo. Nel primo gruppo rientrano pazienti che agiscono per non pensare, che si tengono impegnate con lavori, che coltivano le proprie passioni. Ricordare e condividere con altri la propria esperienza, è una modalità attiva che permette di gestire l’ansia e di arginare l’emotività. Le strategie di coping orientate al funzionamento emotivo si riferiscono a reazioni per ridurre o gestire lo stress provocato dal carcinoma mammario come ribellarsi, sfogarsi ed esprimere liberamente i propri sentimenti, oppure negarli e sopprimerli, rassegnarsi ed essere fatalisti, arrabbiarsi o prendersela con se stessi. Le strategie di coping orientate al funzionamento cognitivo centrano l’attenzione sulle abilità che permettono la focalizzazione del problema e la ricerca di soluzioni per gestire la malattia e le sue conseguenze. Analizzare varie opportunità, dissimulare o minimizzare, cercare un significato, reinterpretare positivamente l’evento, fare un piano e organizzarsi sono alcune delle strategie cognitive per aumentare il proprio senso di controllo.

Lazarus e Folkman (2006), hanno identificato diverse strategie di fronteggiamento in situazioni difficili. Si parla di stili di coping ossia diverse modalità comportamentali che la persona utilizza di fronte a eventi stressanti. Ci sono persone che agiscono con spirito combattivo, caratterizzato da atteggiamento di fiducia nelle proprie capacità di affrontare la malattia, livelli moderati di ansia e bassi livelli di depressione; altre mettono in atto processi di negazione/evitamento volti a minimizzare la malattia ed ad assumere un atteggiamento indifferente, altre persone possono essere costantemente in uno stato di allerta, una preoccupazione ansiosa caratterizzato da allarmismo, angoscia, ansia elevata, depressione fluttuante e ricerca parossistica di informazioni. Infine ci sono persone che agiscono con rassegnazione passiva, stoicismo, ed assenza di opposizione, bassi livelli di ansia, elevati livelli di depressione. Altre ancora vivono nella disperazione caratterizzata da sensazione di inutilità, di sconfitta, di impotenza, elevati sintomi di ansia e depressione.

Le persone che subiscono minor disagio presentano: atteggiamento attivo, propositivo, orientato alla ricerca di soluzioni più che all’autocommiserazione. Un coping attivo coinvolge i processi di problem-solving, modulazione e espressioni delle emozioni, ricerca di supporto sociale e spirituale (Skinner, Altman e Sherwood 2003). In contrasto sono associate al maggior rischio di morbilità psicologica, le donne con carcinoma mammario che presentano un atteggiamento passivo caratterizzato da sentimenti di impotenza e disperazione, rigidità, pessimismo, isolamento sociale, pensieri intrusivi e ruminazione.

I pensieri intrusivi sono collegati all’aumento del distress emotivo e al mantenimento di una sintomatologia ansiosa e/o depressiva. I pensieri intrusivi accompagnati da pensieri indesiderati e spiacevoli, immagini, ricordi, sono i sintomi più frequenti nelle persone con cancro (Mehnert, Berg, Henrich, e Herschbach, 2009) e peggiorano la qualità di vita. Coloro che hanno uno stile di coping depressivo oltre che vivere un senso di impotenza manifesteranno la paura della recidiva e che il cancro possa progredire (Simard, Savard, e Ivers 2010; Molina, Ceballos, Dolan, Albano e McGregor, 2015).

 

Il corpo che cambia e il suo significato

L’influenza del carcinoma mammario e/o del trattamento sull’aspetto corporeo possono comportare la perdita di parti del corpo, cicatrici e adattamento a protesi. Il corpo è un concetto molto esteso, inteso non solo in senso anatomico ma anche come relazione, emozione, sessualità, amore. È lo strumento principale di relazione, in continua interazione con l’ambiente; da questa interazione si costruisce l’immagine corporea, cioè la rappresentazione di sé stessi. Il corpo assume una centralità particolare sia per la sofferenza determinata da una patologia sia perché diviene metafora concreta di vissuti ed aspettative. Come documentato da Freud nel 1923, ‘[…] dal mondo delle percezioni emerge la percezione del proprio corpo […]’.

Il corpo di cui stiamo parlando è quello che sente, che vibra, che è carico di emozioni, che piange, che soffre o che gioisce. E’ il corpo che ciascuno di noi sperimenta direttamente nel mondo e nelle relazioni. E’ difficile riprendere ad amare quando il corpo che si abita è sentito come straniero (M. Foucault). Con l’espressione ‘immagine del corpo‘ si intende la propria immagine mentale, un atteggiamento verso la propria fisicità, un aspetto, uno stato di salute, un funzionamento normale, integrità e sessualità. È un concetto più vasto del sé, comprendente sentimenti femminili, attrattività, piacere del proprio corpo, come simbolo dell’espressione sociale e come essere nel mondo.

Schilder (1998), parla della ‘immagine del corpo che formiamo nella nostra mente, cioè il modo in cui il corpo appare a noi stessi‘, mettendo così in evidenza il concetto di immagine o rappresentazione mentale del corpo.

Quest’ultima introduce due aspetti cruciali: l’aspetto relativo alla percezione (che potrebbe non necessariamente corrispondere al corpo reale) e l’aspetto relativo alla valutazione del corpo percepito. L’immagine corporea diventa quindi: ‘l’immagine che noi abbiamo nella nostra mente della forma, della dimensione del nostro corpo e i sentimenti che noi proviamo rispetto a queste caratteristiche e rispetto alle singole parti del corpo‘ (Slade, 1994).

La nostra percezione definita da Schilder (1998), come ‘schema corporeo o immagine corporea‘, non è un fenomeno statico ma qualcosa che si costruisce, si struttura e si destruttura nel continuo rapporto col mondo. Non si tratta del mondo oggettivo, ma del mondo come è vissuto, che non si realizza solo a livello percettivo ma anche e soprattutto a livello emotivo. Lo schema corporeo si costruisce non solo sulla base delle sensazioni ma soprattutto mediante l’integrazione di queste sensazioni con i vissuti esistenziali ed emotivi del singolo soggetto. Se è vero infatti che non può costituirsi un Io senza un Tu, così non possiamo costruire la nostra immagine corporea senza l’immagine corporea altrui (Galimberti, 1983). Ogni sensazione contribuisce alla costruzione dell’immagine corporea. Un pensiero può influenzare il corpo, come anche l’immagine. L’immagine corporea viene distrutta e messa in pericolo non solo dal dolore, dalla malattia e da una effettiva mutilazione, essa viene distrutta e messa in pericolo anche da ogni profonda insoddisfazione (Schilder, 1998). Nell’immagine corporea si intrecciano indissolubilmente aspetti fisiologici e psicologici.

A tale riguardo si considerano le credenze globali e pervasive (schema) che determinano pattern di risposta a eventi interni o esterni (esempio ‘io sono un fallimento’). Uno schema è una struttura cognitiva che rappresenta la somma delle esperienze passate. Lo schema di immagine corporea è guidata dal processo di autovalutazione e dagli eventi contestuali. Il costrutto immagine corporea si basa sulla teoria dell’autodiscrepanza o percezione oggettiva/soggettiva della propria fisicità.

Higgins ha proposto la teoria dell’autodiscrepanza (1987) secondo la quale l’idea sul sè può essere concettualizzata come una relazione tra sè reale ed ideale. Il sé attuale o reale è basato sulla propria rappresentazione, le credenze che possediamo, mentre il sé ideale è una rappresentazione che si dovrebbe possedere. Entrambi risentono dell’influenza del sociale. Le discrepanze tra sé attuale e sé ideale inducono a vissuti di depressione, insoddisfazione, tristezza e frustrazione. Pensieri ed immagini automatiche in situazioni specifiche sono determinate dal cambiamento percepito, schema di sé, schema corporeo, presenza di discrepanze tra sé ideale e reale e attributi fisici.

Il problema nella propria immagine corporea deriva quindi da una marcata discrepanza tra aspetto percepito o attuale e i propri attributi fisici. Questa discrepanza porta a emozioni negative e disfunzioni comportamentali che interferiscono la routine quotidiana, l’occupazione e la qualità delle relazioni. Le persone sono generalmente motivate a far si che il sé reale corrisponda al sé ideale; la discrepanza tra queste rappresentazioni determina uno stato psicologico negativo (Higgins et al., 1985). L’ampiezza e la consapevolezza della discrepanza si collega all’intensità del sentimento cioè al grado in cui il singolo ritiene importante la discrepanza percepita (Higgins et al., 1986).

In altri termini, la discrepanza percepita può essere presente ma non causare problemi, se dal punto di vista della persona non è ritenuta importante, o al contrario divenire causa di malessere ed insoddisfazione. Chi ha già una buona percezione dell’immagine di sé e fiducia nelle proprie potenzialità fronteggia meglio il cancro. Percezioni negative di sé portano a insoddisfazioni nell’aspetto fisico, bassa percezione di femminilità, bassa integrità corporea, scarso interesse sessuale, difficoltà nel guardarsi nude. Quindi, quando la bellezza fisica delle donne viene compromessa dal carcinoma mammario o dal trattamento, lo stimolo del proprio valore corporeo si abbassa e la consapevolezza della propria possibilità di attrazione viene minacciata.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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