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Autostima e stile attributivo: in che modo ci autovalutiamo?

L'autostima è legata anche al processo di attribuzioni causali: i successi e gli insuccessi personali possono essere attribuiti a cause esterne o interne.

Di Chiara Carlucci

Pubblicato il 10 Giu. 2015

Aggiornato il 27 Apr. 2016 15:06

OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI

Il processo mediante cui l’individuo si autovaluta è dovuto anche alle attribuzioni causali. Detto in termini più semplici le persone spesso cercano di spiegarsi un evento collegandolo ad una causa. Sovente si tende ad attribuire un successo raggiunto ad una causa esterna alla persona, quale potrebbe essere la fortuna, oppure ad una causa interna, come ad esempio la tenacia.

[blockquote style=”1″]Ci sono due modi di vivere la vita. Uno è pensare che niente è un miracolo. L’altro è pensare che ogni cosa è un miracolo.[/blockquote]
(Albert Einstein)

Il celebre aforisma di Albert Einstein evidenzia il concetto, piuttosto noto, del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, visto da uno dei due punti di vista a seconda del nostro stato d’animo, del nostro umore, della nostra prospettiva personale di vedere le cose, del nostro carattere.
Ricordando anche che il modo personale di percepire gli eventi secondo un’ottica positiva o negativa è in parte influenzato dall’autostima.

Definire il costrutto di autostima non è semplice, in quanto si tratta di un concetto che ha un’ampia storia di elaborazioni teoriche. Una definizione concisa e condivisa in letteratura potrebbe essere la seguente: “Insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà di se stesso” (Battistelli, 1994).

Tre elementi fondamentali ricorrono costantemente in tutte le definizioni di autostima (Bascelli, 2008):
1. La presenza nell’individuo di un sistema che consente di auto – osservarsi e quindi di auto – conoscersi;
2. L’aspetto valutativo che permette un giudizio generale di se stessi;
3. L’aspetto affettivo che permette di valutare e considerare in modo positivo o negativo gli elementi descrittivi.

Una prima definizione del concetto di autostima si deve a William James (cit. in Bascelli e all, 2008), il quale la concepisce come il risultato scaturente dal confronto tra i successi che l’individuo ottiene realmente e le aspettative in merito ad essi (autostima = successo / aspettative).
Alcuni anni dopo Cooley e Mead espongono il concetto di autostima come un prodotto che scaturisce dalle interazioni con gli altri, che si crea durante il corso della vita come una valutazione riflessa di ciò che le altre persone pensano di noi.

Perché infatti l’autostima di una persona non scaturisce esclusivamente da fattori interiori individuali, ma hanno una certa influenza anche i cosiddetti confronti che l’individuo fa, consapevolmente o no, con l’ambiente in cui vive. A costituire il processo di formazione dell’autostima vi sono due componenti: il sé reale e il sé ideale.
Il sé reale non è altro che una visione oggettiva delle proprie abilità; detto in termini più semplici corrisponde a ciò che noi realmente siamo.
Il sé ideale altro non corrisponde che a come l’individuo spera e vorrebbe essere. L’autostima scaturisce per cui dai risultati delle nostre esperienze confrontati con le aspettative ideali. Maggiore sarà la discrepanza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, minore sarà la stima di noi stessi.
Un esempio a riguardo potrebbe essere quello di una ragazza che vorrebbe essere alta e magra come una modella, quando invece in realtà è bassa e cicciottella. In questa caso la sua autostima sarà presumibilmente bassa.

La presenza di un sé ideale può essere uno stimolo alla crescita, in quanto induce a formulare degli obiettivi da raggiungere, ma può generare insoddisfazioni ed altre emozioni negative se lo si avverte molto distante da quello reale.
Per ridurre questa discrepanza l’individuo può ridimensionare le proprie aspirazioni, e in tal modo avvicinare il sé ideale a quello percepito, oppure potrebbe cercare di migliorare il sé reale (Berti, Bombi, 2005).

Possedere un’alta autostima è il risultato di una limitata differenza tra il sé reale e il sé ideale. Significa saper riconoscere in maniera realistica di avere sia pregi che difetti, impegnarsi per migliorare le proprie debolezze, apprezzando i propri punti di forza. Tutto ciò enfatizza una maggiore apertura all’ambiente, una maggiore autonomia e una maggiore fiducia nelle proprie capacità.
Le persone con un’alta autostima dimostrano una maggiore perseveranza nel riuscire in un’attività che le appassiona o nel raggiungere un obiettivo a cui tengono e sono invece meno determinate in un ambito in cui hanno investito poco. Si tratta di persone più propense a relativizzare un insuccesso e ad impegnasi in nuove imprese che le aiutano a dimenticare.

Quando la stima di sé è alta l’individuo passa molto frequentemente all’azione, rallegrandosi di fronte a un successo e relativizzando un eventuale fallimento.  Al contrario, una bassa autostima scaturisce da un’elevata differenza tra sé ideale e sé percepito. Questa discrepanza può condurre a una ridotta partecipazione e a uno scarso entusiasmo, che si concretizzano in situazioni di demotivazione in cui predominano disimpegno e disinteresse. Vengono riconosciute esclusivamente le proprie debolezze, mentre vengono trascurati i propri punti di forza. Spesso si tende a evadere anche dalle situazioni più banali per timore di un rifiuto da parte degli altri. Si è più vulnerabili e meno autonomi. Le persone con una bassa autostima si arrendono molto più facilmente quando si tratta di raggiungere un obiettivo, soprattutto se incontrano qualche difficoltà o sentono un parere contrario a ciò che pensano.

Si tratta di persone che faticano ad abbandonare i sentimenti di delusione e di amarezza connessi allo sperimentare un insuccesso. Inoltre, di fronte alle critiche, sono molto sensibili all’intensità e alla durata del disagio provocato. Quando la stima di sé è bassa, l’individuo passa raramente all’ azione, dubitando di fronte ad un proprio successo e sottovalutandosi di fronte ad un fallimento.

Ma quali sono le fonti dell’autostima? O meglio: cosa concorre a far sì che un individuo si valuti positivamente o negativamente?
Come già detto non sono semplici fattori individuali a costituire l’autostima di una persona, bensì ci si autovaluta in merito a tre processi fondamentali:

1. Assegnazione di giudizi da parte altrui, sia direttamente che indirettamente.
Si tratta del cosiddetto “specchio sociale”: mediante le opinioni comunicate da altri significativi noi ci autodefiniamo.
Pare che gli individui alimentino la propria autostima sulla base della fiducia nelle opinioni di chi li giudica favorevolmente.
Una rilevanza evidente le hanno in questo processo anche le valutazioni indirette, ossia la possibilità di imparare a valutare se stessi a seconda del comportamento degli altri nei propri confronti.

2. Confronto sociale: ovvero la persona si valuta confrontandosi con gli altri che la circondano e da questo confronto ne scaturisce una valutazione.
L’esponente principale in merito a ciò è stato Festinger (1954), il quale ha sostenuto che in ogni individuo c’è un’esigenza di valutare azioni e capacità personali e, nel momento in cui i criteri soggettivi di valutazione sono assenti, si tende a valutare se stessi confrontandosi con altri, solitamente soggetti ritenuti simili.

3. Processo di autosservazione: la persona può valutarsi anche autosservandosi e riconoscendo le differenze tra se stesso e gli altri. Kelly (1955) considera ogni persona uno “scienziato” che osserva, interpreta e predice ogni comportamento, costruendo così una teoria di sé per facilitare il mantenimento dell’autostima.

Il processo mediante cui l’individuo si autovaluta è dovuto anche alle attribuzioni causali. Detto in termini più semplici le persone spesso cercano di spiegarsi un evento collegandolo ad una causa.
Sovente si tende ad attribuire un successo raggiunto ad una causa esterna alla persona, quale potrebbe essere la fortuna, oppure ad una causa interna, come ad esempio la tenacia.

Weiner, nel 1994, ha affermato che le attribuzioni possono essere distinte in base a tre dimensioni:
Locus of control: ossia se la causa di un successo (o di un fallimento), sia interna o sterna alla persona;
Stabilità: per cui le cause possono essere stabili o instabili nel tempo (per esempio la facilità del compito è stabile, al contrario la fortuna è instabile);
Controllabilità: non tutte le cause possono essere controllate dal soggetto.

Pare che l’attribuzione a cause stabili, controllabili e interne all’individuo abbia, in caso di raggiungimento di un successo, un innalzamento dell’autostima nell’individuo.
Di contro l’attribuzione a cause esterne a sé, instabili e poco controllabili portano ad un calo dell’autostima e della fiducia in se stessi.

Naturalmente avere un’alta stima di sé è piacevole ed aiuta a vivere meglio.
Maslow percepisce l’autostima come uno dei cinque bisogni fondamentali dell’individuo. Per egli il bisogno di autostima deve essere appagato affinché non vengano ostacolati i bisogni più elevati di autorealizzazione.
Pertanto le percezioni di sé sono importanti fonti motivazionali.

Svariate ricerche hanno messo in luce che gli individui tendono a svolgere tutte quelle attività che consentono di avvicinare il più possibile il sé reale al sé ideale. Per esempio, un ragazzo che aspira a diventare un culturista palestrato, sarà motivato in tutta quell’attività fisica che gli consentirà di divenire ciò (Baumeister e all, 2003).
Una discrepanza fra le personali valutazioni del sé reale e del sé ideale si viene a creare quando la persona si valuta e si concepisce meno adeguato rispetto a ciò che vorrebbe essere. In questo caso l’autostima è bassa con conseguenti emozioni associate di tristezza e insoddisfazione. Ciò potrebbe condurre ad uno scarso entusiasmo, che si concretizza in demotivazione e disinteresse.

Beck (1967) mette in luce che proprio la bassa autostima è una caratteristica tipica dei depressi. Essi infatti sperimentano vissuti legati al timore di fallimento, hanno basse aspettative di riuscita che conducono scarsa tenacia e demoralizzazione. Si tratta della visione del cosiddetto “bicchiere mezzo vuoto”.

Alla luce di queste considerazioni si evince quindi che l’autostima è un concetto complesso che viene a formarsi sulla base di varie fonti, sulla base delle quali l’individuo si valuta e si attribuisce un voto. Senza dimenticare che si tratta di un costrutto multidimensionale, nel senso che il soggetto può valutarsi differentemente anche in merito alle situazioni in cui si trova a vivere; per esempio è possibile che un individuo abbia un’alta stima di sé sul luogo del lavoro, dove ciò che egli realmente è si avvicina notevolmente al sé ideale, di contro potrebbe valutarsi negativamente nell’ambito dei rapporti interpersonali, dove magari potrebbe aspirare a volere qualcosa di più rispetto a ciò che egli possiede realmente .

In conclusione appare chiaro che l’autostima si sviluppa tramite un processo individuale ma anche interattivo – relazionale e può essere concettualizzata come uno schema cognitivo – comportamentale che viene appreso man mano che gli individui interagiscono con gli altri e con l’ambiente (Bracken, 2003).

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