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Sono contrario alle emozioni (2011) – Recensione

Vincenzo Malinconico è il personaggio creato da De Silva. Il suo rimuginare e ruminare sono raccontati in tre libri tra cui 'Sono contrario alle emozioni'.

Di Laura Lambertucci

Pubblicato il 07 Ott. 2015

Malinconico è un avvocato quasi disoccupato, un quasi ex marito con un rapporto problematico con le donne e, secondo il suo psicoterapeuta, con uno scompenso tra la sfera razionale e quella emotiva, che non risultano integrate. 

Vincenzo Malinconico è il tragicomico personaggio nato dalla penna dello scrittore Diego De Silva. Le sue vicissitudini e, soprattutto, il suo continuo rimuginare e ruminare sono raccontati in tre libri divertenti ma, allo stesso tempo, ricchi di spunti di riflessione e di momenti profondi: ‘Non avevo capito niente’ (2007), ‘Mia suocera beve’ (2010) e ‘Sono contrario alle emozioni’ (2011).

Malinconico è un avvocato quasi disoccupato, un quasi ex marito con un rapporto problematico con le donne e, secondo il suo psicoterapeuta, con uno scompenso tra la sfera razionale e quella emotiva, che non risultano integrate.

Non decodifica le sue emozioni, non le sente arrivare, non le anticipa. Semplicemente le subisce. Quando le vengono addosso, è del tutto impreparato ad affrontarle. E quelle la investono, come farebbe una macchina, o un camion- gli spiega il suo psicoterapeuta- prospettandogli un gran lavoro da fare con se stesso. Malinconico, che vorrebbe avere il controllo di tutto, non può che reagire chiedendo quanto durerà di preciso la terapia, come del resto non può fare a meno di pensare e ripensare ad ogni cosa che gli capita, persino di elucubrare sul significato delle canzoni, per razionalizzare tutto e distanziarsi così dalle emozioni che possono suscitare, vissute come un branco pronto ad attaccare.

Malinconico vive la sua vita offline, pensa e ripensa a quello che avrebbe voluto dire, tracciando mentalmente il preciso dialogo che avrebbe dovuto sostenere e che la prossima volta dovrà assolutamente fare per non sentirsi un cretino. Ma, subito dopo aver fatto il provino della sua requisitoria, lo assale il dubbio che forse non sarà mai capace di farlo, e poi chi lo sa, se veramente lo penso. Vincenzo perde sempre l’istante, preso com’è tra l’ansia del voler prevedere la sua prossima mossa, che stavolta non dovrà assolutamente sbagliare, ed il rimpianto per le mancate occasioni e per le volte in cui ha agito per non deludere le aspettative dell’altro e sfuggire così al senso di colpa, assumendo ruoli non rispondenti ai propri reali desideri e bisogni (del resto la malinconia che ne deriva è ironicamente già impressa nel suo nome).

I pensieri vengono vissuti da Vincenzo come villeggianti nell’albergo della sua mente. Si sente succube di essi e il loro andare e venire in modo libero e promiscuo gli impediscono di avere punti fermi su cui basare le decisioni. Inoltre, si fa prendere a tal punto da essi che finisce anche per scriverli in sterminati file word, nell’intento di fissare un punto di vista e tendenzialmente non cambiarlo più, e lì per lì ci riesce, ma gli bastano pochi giorni per sentire di nuovo vacillare le proprie opinioni e cestinare i suoi lunghi file, per scriverne poi altrettanti.

Ubriacarsi e ubriacare di parole è la strategia che viene riproposta anche con il suo psicoterapeuta, che non a caso Malinconico soprannomina ironicamente Mr. Wolf, in riferimento al personaggio che risolve problemi del film ‘Pulp Fiction’. Malinconico infatti non vuole impegnarsi veramente nel percorso di terapia, vorrebbe che fosse il suo terapeuta a dare una soluzione preconfezionata ai suoi problemi, che tra l’altro è anche reticente ad esplorare. La seduta così si riempie di chiacchiere vaghe che hanno l’unico scopo di non entrare in contatto con la sua parte emotiva, fino ad arrivare a una vera e propria dichiarazione di contrarietà alle emozioni: Oh, ho detto, e basta! Ma chi credete di essere? Chi vi conosce? Delle vecchie bacucche scongelate, ecco cosa siete. Sempre lì a imbellettarvi, a riproporvi, a toccare dove non dovreste (…) E piantatela, una buona volta, di stare sempre a ingentilirci l’animo. Diteci qualcos’altro. Oppure lasciateci in pace. Che se non ci emozioniamo stiamo bene lo stesso.

Lo psicoterapeuta, esasperato dall’atteggiamento del suo paziente difensivamente logorroico, non può che suggerirgli l’interruzione della terapia, a tali condizioni ritenuta inutile. Malinconico accetta con silenzio colpevole, non avendo per una volta nulla da replicare, consapevole di aver fatto di tutto per suscitare la rottura terapeutica ma, allo stesso tempo, con la voglia di fare retromarcia, nel suo eterno ciclo di insicurezza e di non presa di responsabilità nelle decisioni.

Ma non tutto è perduto per Malinconico.  Un rimuginio notturno stavolta proficuo (scritto al solito in un file word apposito) lo porta a una consapevolezza importante, che il più grande ostacolo al cambiamento è la mancata accettazione della sofferenza che l’ha condotto in terapia (il dolore per la fine di una relazione), sofferenza che la vita inevitabilmente porta con sé quando decidiamo di viverla appieno e di lanciarci, accollandoci dei rischi che in fondo però vale la pena di correre.

Malinconico si dice infatti che la prospettiva del fallimento, la paura di non facerla o di farci male sono macigni psicologici che bloccano ogni iniziativa, facendoci rassegnare a una condizione in cui nulla ci reca dolore, perché in realtà nulla ci accade. Una zavorra da cui liberarsi quindi.

Ma le parole e i buoni propositi scritti non bastano. I detriti del passato sono ancora lì in agguato e Malinconico sente che non può farcela da solo, per cui decide di tornare in psicoterapia per far in modo che qualcosa torni ad accadere nella sua vita.

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • De Silva, D. (2011). Sono contrario alle emozioni. Einaudi, Torino.
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Laura Lambertucci
Laura Lambertucci

Psicologa clinica, Psicoterapeuta in formazione

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