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Delusione, rabbia, disperazione: le emozioni negative e l’irresistibile tentazione di rassicurare

Di fronte ad emozioni negative, troppo dolorose e intense, vi è spesso la tendenza al conforto e alla rassicurazione dell’altro. Perché questo accade?

Di Linda Confalonieri

Pubblicato il 04 Ott. 2024

Aggiornato il 10 Ott. 2024 15:12

Demonizzare le emozioni negative

Provare emozioni negative non è piacevole, crea disagio e può essere naturale sentire l’esigenza di spegnerle non appena si accendono, di allontanarle e chiuderle in un cassetto non appena compaiono. 

Lo stesso accade vedendo un amico che si sfoga e condivide con noi la propria sofferenza, la disperazione, la tristezza e l’angoscia: sentendoci impotenti, abbiamo il desiderio di alleviare il peso di queste emozioni così dure e intense e allora una delle strategie è letteralmente provare a confortarlo convincendolo che le cose si sistemeranno, che tutto andrà bene e che, per esempio, ritornerà insieme alla sua compagna di vita che l’ha appena lasciato. Pur non avendo la minima idea di come potranno evolvere le cose per davvero. 

In questo senso, la tendenza al conforto e alla rassicurazione dell’altro viene dettata dall’intenzione di aiutare a spegnere il fuoco di emozioni troppo dolorose e intense. Le emozioni negative fanno soffrire, come suggerisce l’espressione stessa, hanno una valenza soggettiva negativa per l’individuo. Mal tollerate, risultano indigeste e fastidiose, alcune persone tendono a combatterle e ad eliminarle il prima possibile. Queste credenze e questi atteggiamenti spesso sostengono la nostra spinta a rassicurare gli altri e a demonizzare le emozioninegative.

Emozioni a valenza negativa: utili per il nostro adattamento

La percezione delle emozioni negative e le credenze che ruotano attorno ad esse variano da cultura a cultura (Mesquita & Leu, 2007). La pressione risoluta nell’allontanare, respingere, annientare il prima possibile le emozioni che creano sensazioni negative, tecnicamente in psicologia si chiamano “emozioni a valenza negativa”, si riscontra in misura maggiore in alcune culture occidentali rispetto alle culture orientali. In occidente prevarrebbe la logica della massimizzazione degli stati emotivi positivi e la minimizzazione di quelli negativi: le emozioni positive sono viste come la chiave per raggiungere il benessere, e di contrasto le emozioni negative rischiano di essere concepite in modo molto rigido come unicamente disfunzionali, stati avversi da evitare e da controllare il prima possibile (Bastian et al., 2012). 

Tuttavia, la psicologia generale ci insegna che le emozioni negative fanno parte di noi, hanno radici filogenetiche lontane e ancora oggi sono non solo inevitabili ma anche utili e adattive. Tristezza, rabbia, paura, delusione: emozioni e vissuti tipicamente umani, non eliminabili a priori dalle nostre esperienze di vita e di relazione affettiva in cui ci mettiamo in gioco, ci assumiamo rischi e responsabilità, ci imbattiamo in nuove avventure, cresciamo e arricchiamo le nostre identità. Nonostante ci creino disagio, le emozioni soggettivamente vissute come negative risultano nella loro essenza utili per il nostro adattamento. Nel momento in cui ci attiviamo con urgenza per annientare le emozioni negative che un nostro caro ci esprime, implicitamente stiamo comunicando che la sua tristezza e la sua angoscia sono poco sostenibili, tollerabili e accettabili; allora il rischio è che l’altro si senta incompreso nella propria sofferenza e che magari possa iniziare a mascherare l’espressione e la condivisione di vissuti emotivi autentici. 

Come supportare qualcuno che sta provando emozioni negative?

Quale può essere dunque un’alternativa per stare vicino, supportare, confortare senza voler sopprimere immediatamente lo stato emotivo negativo dell’altro? 

Il framework della terapia dialettico-comportamentale ci viene in aiuto: la validazione comunica a una persona che i suoi stati d’animo, i suoi pensieri e le sue azioni hanno senso (Rathus, Miller, 2016) e che si possono comprendere all’interno una data situazione. La validazione si riferisce all’abilità di legittimare l’autenticità di uno stato d’animo (“Molti si sentirebbero come te in questa situazione”), senza sminuire, negare o banalizzare quanto esperito, senza avere fretta di sopprimerlo. La validazione implica una presenza attiva, attenta e autenticamente empatica, in cui l’altro si senta un po’ meno solo in ascolto dei propri vissuti emotivi negativi. La validazione quindi si contrappone a una logica di soppressione degli stati emotivi negativi e appare un passo fondamentale per promuovere la regolazione delle emozioni.

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Linda Confalonieri
Linda Confalonieri

Redattrice di State of Mind

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Anolli, L. (2003). Le emozioni. Edizioni Unicopli
  • Mesquita B, & Leu J (2007). The cultural psychology of emotion. In kitayama S & Cohen D (Eds.), Handbook for cultural psychology New York: Guilford Press
  • Validazione in terapia: tra accettazione e cambiamento (stateofmind.it).
  • Rathus, J.H., Miller, A.L. (2016) Manuale DBT per adolescenti. Raffaello Cortina Editore, Milano
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