Cosa sono le emozioni negative?
Le emozioni negative sono quelle che tecnicamente vengono definite emozioni a valenza negativa, ovvero soggettivamente vissute dalla persona in modo negativo e spiacevole. Le emozioni a valenza negativa possono essere ad esempio l’ansia, la tristezza, la rabbia, la colpa, il disgusto. Non sono necessariamente dannose e assolvono a specifiche funzioni nel regolare il nostro stare nel mondo. Tuttavia, se eccessivamente protratte nella loro durata oppure se sostenute da credenze irrazionali, eccessive e disfunzionali, possono correlarsi a esiti negativi a livello comportamentale e di benessere soggettivo.
Le emozioni negative fanno parte dell’esperienza umana e sarebbe irrealistico oltre che disadattivo avere la pretesa di eliminarle. Generalmente, di primo acchito siamo portati a pensare che generino solo sofferenza, che creino disagio nella persona e che quindi vadano evitate, soppresse e minimizzate non appena insorgono. Tuttavia, la stessa psicologia generale ci insegna che non è così: anche le emozioni negative sono utili, hanno una loro funzione che va conosciuta e compresa per una migliore regolazione emotiva.
Ad esempio, in alcuni casi le emozioni negative possono essere segnali importanti che ci motivano a impegnarci per risolvere o cambiare una situazione, ci possono proteggere da situazioni di pericolo, ci possono segnalare situazioni incerte in cui stare in allerta, oppure aiutarci a riparare a un danno, ci segnalano la perdita di qualcosa di importante.
La funzione delle emozioni rimanda al concetto che le emozioni sono dei segnali, le emozioni motivano e orientano l’azione e i nostri comportamenti.
Emozioni negative: colpa, ansia, tristezza e rabbia
Anzitutto, le emozioni, sia a valenza positiva che negativa, sono intrecciate alle relazioni. Vi è un rapporto di interdipendenza tra emozioni e relazioni, in cui vi è una reciproca influenza: provare colpa a seguito di un danno arrecato all’altro, consente di riparare o di evitare lo stesso danno in futuro in una relazione. È grazie alla colpa, emozione a valenza negativa, quindi, che sentiamo una spinta riparatoria che influenza le interazioni e le relazioni con gli altri.
D’altro canto, la stessa ansia ci segnala una situazione di pericolo, incertezza, minaccia e ci attiva per far fronte alle sfide e alle difficoltà. Un livello medio di ansia ci consente di attivarci per studiare per preparare un esame o di preparare le risposte che potrebbero porci a un colloquio di lavoro; traiamo un vantaggio da un moderato livello di ansia che ci fa sentire coinvolti, che ci segnala che qualcosa è importante per noi, che ci motiva e attiva per affrontare la situazione. Tuttavia, un livello di ansia eccessivo è problematico, inficia aspetti cognitivi, tra cui l’attenzione e la concentrazione, può comportare segnali somatici intensi ed eccessivamente attivanti, come se il corpo e la mente fossero in allerta in modo sproporzionato per un pericolo imminente.
L’ansia diviene dannosa nel momento in cui vi sono pensieri catastrofizzanti e un processo di rimuginio che disregola anche la focalizzazione dell’attenzione sul compito, sulla prestazione e sulla situazione da affrontare. Riconosciamo un’ansia eccessiva, ad esempio, quando sovrastimiamo la probabilità, la pericolosità e i rischi di una situazione e sottostimiamo le nostre capacità di affrontare e di tollerare lo scenario temuto. Se l’ansia moderata e la paura sostengono il problem-solving (che si differenzia da un rimuginio afinalistico) e una mobilitazione adattiva delle risorse dell’individuo verso un piano per affrontare e tollerare una situazione temuta, allora hanno una funzione utile per promuovere risultati positivi, soddisfazione e benessere dell’individuo.
La tristezza è l’emozione che segnala una perdita o una mancanza. La perdita o mancanza può riferirsi a una persona, a una relazione, a una situazione, a un’opportunità, un’esperienza o un oggetto significativo. In seguito al segnale della tristezza, l’individuo può prendere consapevolezza della perdita e attivarsi per riempire il vuoto, elaborare la perdita e/o per modificare ciò che crea insoddisfazione. La tristezza e la depressione sono però fenomeni diversi che non vanno confusi: se condividono il vissuto di perdita, la depressione assume contorni più pervasivi, permanenti, autoriferiti, irrisolvibili e intollerabili: qualsiasi tentativo per arginare il vissuto di perdita e insoddisfazione viene vissuto come inutile. Il rischio è il circolo vizioso della passività, umore deflesso e impotenza.
Un’altra emozione a valenza negativa è la rabbia. Nella famiglia della rabbia rientrano molteplici vissuti emotivi inerenti al senso di ingiustizia e aspettative non soddisfatte rispetto a persone, situazioni e al corso degli eventi in coerenza con i nostri valori. La rabbia segnala quindi un’ingiustizia o un’aspettativa non soddisfatta. Senza questa emozione adeguatamente regolata e direzionata, non potremmo agire in maniera da far valere i nostri diritti, esprimere disappunto e tentare di modificare situazioni che ci creano insoddisfazione con assertività.
Emozioni negative e psicoterapia
Facciamo attenzione, dunque, a non incorrere in una errata credenza naif: la terapia, in particolare la terapia cognitivo-comportamentale, non ha l’obiettivo di eliminare le emozioni negative cambiando i pensieri, bensì gli obiettivi sono di gran lunga più articolati. Un punto chiave è appropriarsi di modalità adeguate di regolazione delle emozioni negative, diminuendole in termini di intensità e persistenza se eccessive e se legate a comportamenti disfunzionali, dannosi e inutili rispetto ai valori e agli scopi del paziente. Nella terapia cognitivo-comportamentale si aiuta il paziente a identificare le emozioni e i pensieri ad esse correlate, a valutare l’accuratezza e la funzionalità di tali pensieri, per poi promuovere risposte più adattive a livello cognitivo, emotivo e comportamentale. Che significa affrontare e regolare le emozioni negative, promuovendo resilienza e maggiori livelli di benessere psichico.