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Rimuginio (Worry)

Il rimuginio è considerato uno stile di pensiero negativo, analitico, ripetitivo che ha un impatto fondamentale nel sostenere molti disturbi psicologici.

Aggiornato il 16 lug. 2023

Rimuginio: che cos’è

Tutti abbiamo esperienza di rimuginio. In termini tecnici è considerato uno stile di pensiero negativo, analitico, ripetitivo che negli ultimi decenni ha mostrato di avere un impatto fondamentale nel sostenere molti disturbi psicologici.

Esso è considerato una delle componenti principali dell’ansia, in particolare del disturbo d’ansia generalizzato, in cui il soggetto più che preoccuparsi rimugina, ripete mentalmente a sé stesso che gli eventi andranno male o che qualcosa di spiacevole potrebbe capitargli da un momento all’altro, in una sorta di dialogo con se stessi, definito dialogo interno.

Il rimuginio o worry è definito come una forma di pensiero ripetitivo strettamente legato all’ansia che, nel tempo, la mantiene e la aggrava. Il rimuginio è costituito da una forma di pensiero ripetitivo di tipo verbale e astratto, privo di dettagli e seguito, in molti casi dalla focalizzazione visiva di immagini relative ai possibili scenari ansiogeni. Il rimuginio è caratterizzato dalla ripetitività del pensiero; i pensieri, che si focalizzano su contenuti catastrofici di eventi  che potrebbero manifestarsi in futuro, sono vissuti come incontrollabili e intrusivi.

Il rimuginio cattura la nostra attenzione. Ci chiude nella nostra mente. Ci isola nei pensieri e ci tiene lontano da ciò che ci circonda. Ci assorbe e mantiene salienti per noi informazioni e contenuti spiacevoli. Il rimuginio impedisce di dimenticare. Il rimuginio impedisce di andare oltre un brutto pensiero o una sensazione spiacevole, perchè quando si inizia a rimuginare è difficile smettere.

Il rimuginio è una modalità di fronteggiamento dell’ansia generata dalla percezione di situazioni identificate come pericolose e/o incerte, per questo difficili da gestire; quindi rimuginare sulla situazione temuta ha lo scopo di prevenirla e controllarla. Coloro che rimuginano sono inclini al sentirsi poco capaci di poter controllare gli eventi incerti (Harvey, Watkins, Mansell, & Shafran, 2004), per questo utilizzano il rimuginio come strumento mentale per anticipare e controllare il possibile verificarsi di un evento futuro temuto. Il non verificarsi delle conseguenze temute determina, quindi, il rinforzo di tale processo di pensiero (Borkovec et al., 2004).

Chi rimugina ha paura e teme sempre possa avverarsi il peggio, non riesce a valutare possibili alternative per gestire la situazione temuta e pensa che il rimuginare possa portare alla soluzione del problema. Alla lunga, chi rimugina si percepisce debole, fragile, insicuro, spaventato e costantemente soggiogato dalla pericolosità del futuro, di conseguenza il rimuginio si cronicizza e diventa disfunzionale e maladattivo (Clark, & Beck, 2010).

Le persone con Disturbo d’Ansia Generalizzata faticano a controllare il proprio rimuginio. Quando iniziano a pensarci non riescono più a smettere, a concentrarsi su altri compiti o su aspetti piacevoli della vita quotidiana. Il disturbo d’ansia generalizzato è un disturbo d’ansia caratterizzato da una cronica condizione di stress e da uno stato di preoccupazione costante per molte situazioni diverse che risulta eccessivo in intensità durata o frequenza rispetto alla probabilità o alle conseguenze degli eventi temuti. Le preoccupazioni possono essere accompagnate da: irrequietezza, affaticamento, difficoltà di concentrazione e memoria, irritabilità, difficoltà nel sonno, tensione muscolare o altri disturbi somatici (es: nausea, diarrea, emicrania, sudorazione ecc…). Il rimuginio è un elemento centrale del disturbo.

Un’altra caratteristica di questo disturbo sono le strategie di controllo del pensiero (es: tentativo di distrarsi e di non pensare) e la ricerca di rassicurazioni. Questi tentativi di controllo spesso sono controproducenti nel lungo termine e non modificano il modo in cui funziona e si mantiene il malessere emotivo del paziente con Disturbo d’Ansia Generalizzato.

Rimuginio: errore processuale o meccanismo di evitamento del dolore?

Borkovec e il paradosso del rimuginio

Cos’è il paradosso del rimuginio? In breve, secondo Borkovec, rimuginando su ciò che ci preoccupa, evitiamo di pensarci davvero. Questo accade perché nel rimuginio non elaboriamo emozionalmente le preoccupazioni, le minacce e i nostri fallimenti, ma ci crogioliamo in essi sterilmente. A che pro? Per avere un sollievo. Processare emozionalmente, infatti, richiede un carico di attivazione attenzionale e/o emozionale che nel breve termine è faticoso, troppo intenso e doloroso.

Quindi immaginare (rispetto al rimuginare) implica uno svantaggio emozionale immediato e un’allocazione di risorse attenzionali inizialmente maggiore. Questo sforzo immediato alla lunga consente una piena risoluzione emotiva e anche pratica o almeno una piena accettazione di ciò che è accaduto. Nel rimuginio invece si rimane in uno stato intermedio, non troppo doloroso, ma mai davvero risolto. Un continuo preoccuparsi, che è preferito al vero pensare a soluzioni concrete. E perché? Per non affrontare lo sforzo attentivo necessario a innescare la processazione (e accettazione) emozionale.

Insomma, pensare a soluzioni concrete richiede l’attivazione non solo del rimuginio verbale, ma anche della preoccupazione immaginativa e visuale. Solo immaginando ciò che temiamo, possiamo venirne a patti; nominare verbalmente non basta. Operazione impegnativa ed emotivamente intensa, per alcuni troppo dolorosa.

Rimuginio e metacredenze

La metacognizione rappresenta la conoscenza e consapevolezza del funzionamento della propria mente. Con “credenze metacognitive” intendiamo le motivazioni con cui le persone spiegano a loro stesse la propria tendenza a rimuginare, come la convinzione che rimuginare sia utile, ad esempio a risolvere una situazione problematica o ad anticiparne le conseguenze negative facendoci sentire più pronti, oppure la convinzione che non sia possibile fermare il rimuginio, vivendolo come una sorta di automatismo al di fuori del proprio controllo; rimuginare quindi è percepito come un processo automatico, incontrollabile, dannoso al punto che potrebbe, per alcuni, portare alla pazzia.

Per Wells il rimuginio è sempre un errore processuale di focalizzazione eccessiva sull’oggetto della preoccupazione, focalizzazione che poi si cronicizza in rimuginio a causa di credenze secondarie di incontrollabilità del pensiero (“non riesco a smettere”) e mai, come invece per Borkovec,  evitamento di qualcosa di più doloroso. Il rimuginio è tanto più grave e difficile da eliminare quanto più la persona attribuisce a questo processo mentale significati positivi, metacredenze positive secondo Adrian Wells, cioè pensa che rimuginare sia utile, aiuti a risolvere i problemi, prepari al peggio, riduca la probabilità che accada l’evento temuto. Spesso si rimugina per sentirsi più sicuri o per analizzare al meglio un problema, chiaramente queste credenze disfunzionali legate all’utilità del rimuginio mantengono l’individuo in una condizione di ansia e in una falsa percezione di risoluzione del problema stesso (Sassaroli & Ruggiero, 2003).

Nel DOC per esempio i pensieri intrusivi e ripetitivi attivano alcune credenze metacognitive negative, cioè pensieri relativi al significato e all’importanza della comparsa nella mente delle ossessioni. In quest’ottica il problema non è quindi avere dei pensieri intrusivi in mente, ma il fatto che per i pazienti con Disturbo Ossessivo Compulsivo ciò diventa intollerabile, minaccioso, preoccupante, fonte di rimuginio.

Se ha ragione Wells, il trattamento deve essere soprattutto un riaddestramento attenzionale a non rimuginare preceduto da un poco di lavoro cognitivo volto a verificare se davvero il rimuginio è incontrollabile. Tutta l’argomentazione di Borkovec è quindi rigettata. E questo porta a una ancora più forte affermazione clinica che parlare del contenuto -e, a maggior ragione, di contenuti particolarmente dolorosi- è solo altro rimuginio, poiché ribadisce il CAS (Sindrome Cognitivo Attentiva). Se ha ragione Borkovec, invece, vale la pena ragionare anche sul contenuto evitato e incoraggiare il contatto emotivo con il contenuto del tema doloroso che viene tenuto a distanza con il rimuginare.

Rimuginio desiderante

Il pensiero o rimuginio desiderante si esprime attraverso l’elaborazione di informazioni relative a un oggetto o attività piacevoli sia in forma immaginativa (imaginative prefiguration), come ad esempio la costruzione di immagini mentali dell’oggetto desiderato (Kavanagh et al., 2009), sia in forma verbale (verbal perseveration), caratterizzato da un “discorso interno”, di tipo verbale, ripetitivo e con dichiarazioni auto-motivate (Caselli e Spada, 2010).

Rimuginio e ruminazione sono stili di pensiero volontari e perseveranti. In questo senso sono simili al pensiero desiderante. Tuttavia quest’ultimo pare distinguersi per:

  1. una natura concreta (Watkins, 2011);
  2. maggior presenza di immagini;
  3. una valenza che non si limita alle emozioni negative;
  4. un fuoco attentivo che si sposta dall’interno all’esterno, ma rimane ristretto a stimoli connessi con il target del desiderio.

La funzione principale di tale processo risulta essere quella di motivare all’azione concreta, poiché aiuta a mettere in evidenza e a far riaffiorare alla coscienza le conseguenze positive dell’oggetto del piacere, permettendo di assaporarle in anticipo. Il rimuginio desiderante ha un impatto negativo sulla regolazione degli stati emotivi, correla con l’ansia contribuendo al suo mantenimento e aggravamento (Borkovec et al., 1990) e spesso si associa ad un basso livello di consapevolezza metacognitiva.

L’uomo possiede una capacità autoriflessiva sul proprio funzionamento cognitivo definita meta-credenza. Il rimuginio desiderante è sostenuto in particolare da metacredenze positive che, in modo disfunzionale, ne sostengono l’utilità, mantenendo uno stato di eccitazione (Wells, 2012). Il pensiero desiderante tende ad avere delle similitudini con il craving, con il quale sono in una relazione di mutua influenza (Caselli e Spada, 2011), ma si differenziano poiché quest’ultimo rappresenta un’esperienza motivazionale interna, mentre il pensiero desiderante è uno stile di elaborazione delle informazioni. Il pensiero desiderante, inoltre, è uno dei maggiori elementi di mantenimento del craving, fattore cruciale nelle dipendenze patologiche.

Il pensiero desiderante risulta essere il predittore maggiormente significativo della dipendenza affettiva, laddove vi sia una tendenza alla stessa, rispetto ad altri fattori come la ruminazione, la propensione al craving e all’autoconsapevolezza cognitiva, anch’essi presenti. Una minore consapevolezza del proprio funzionamento cognitivo, ha effetti diretti sulla dipendenza affettiva, pertanto, si associa ad una maggiore disposizione alla dipendenza affettiva e tale effetto risulta moderato dal pensiero desiderante, dalla ruminazione e dalla tendenza al craving.

Per quanto riguarda lo stile di pensiero dei pazienti bipolari la letteratura evidenzia come la ruminazione sia caratteristica sia della fase depressiva che di quella eutimica. Ancora pochi sono gli studi sulla fase maniacale o ipomaniacale anche se la letteratura che collega lo stile di pensiero ripetitivo alle emozioni positive rimanda alla descrizione del rimuginio desiderante le cui caratteristiche presentano dei punti di convergenza con lo stile di pensiero tipico della fase ipo-maniacale, il quale tende a produrre sensazioni di stima verso se stessi, treni di pensieri molto rapidi, aumento della focalizzazione su attività immediatamente gratificanti, aumento dell’impegno nella produzione di piani d’azione orientati al raggiungimento di un obiettivo, spinta verso decisioni basate sul qui ed ora, iperattivazione generale.

I risultati mostrano come lo stile di pensiero ripetitivo in cui sono coinvolti i pazienti bipolari in fase maniacale o ipomaniacale abbia le caratteristiche del rimuginio desiderante, sostenuto in particolare da meta-credenze positive sul trigger e sullo stato desiderato, quello ipomaniacale o quantomeno ipertimico, nonché da meta-credenze negative di incontrollabilità e pericolosità del pensiero. Emerge inoltre una quota di rimuginio desiderante “di stato” in fase eutimica, riferita sempre alla fase ipo-maniacale, la quale agisce come sintomo residuale e potrebbe concorrere al mantenimento del disturbo, al presentarsi di ricadute nonché alla scarsa aderenza al trattamento.

Rimuginio e stile parentale

Esistono due vie attraverso le quali il genitore iperprotettivo può portare all’educazione di un figlio rimuginatore (per quanto questa associazione non rappresenta un nesso causale e assoluto). Innanzitutto il comportamento iperprotettivo insegna al bambino ad essere eccessivamente preoccupato riguardo ciò che di negativo può accadere in futuro o come conseguenza delle proprie scelte. Secondariamente, un genitore che fa le scelte al posto del bambino riguardo la sua vita non permette a quest’ultimo di allenarsi ad esplorare, a fare scelte e sbagliare. Imparare a sbagliare è fondamentale per costruire personali criteri decisionali ed è molto utile che avvenga in un periodo di vita in cui si è comunque tutelati dall’azione riparativa e di cura dei genitori che possono limitare i danni. Il rischio di un genitore iperprotettivo è l’ostacolo allo sviluppo di decisioni autonome, di fronte a un problema il bambino tende quindi a non agire e a rimuginare su una molteplicità di ipotetiche alternative, incerto su quale tentare.

Precedenti ricerche hanno mostrato come l’iperprotezione possa avere un’influenza diretta sul rimuginio ostacolando le esperienze esplorative dei bambini e non permettendo loro di apprendere strategie di fronteggiamento dei problemi orientate all’azione (Cheron, Ehrenreich and Pincus, 2009; Nolen-Hoeksema, Wolfson, Mumme and Guskin, 1995), oltre che un effetto indiretto, favorendo lo sviluppo di credenze metacognitive non adattive e non realistiche che sono associate all’attivazione del rimuginio e all’aumento di ansia (Wells, 2000). Uno studio di Spada et al. (2012) mostra come la combinazione di un ambiente familiare percepito come iperprotettivo e alti livelli di credenze sulla necessità di controllare questa forma di pensiero e sulla sua utilità o inutilità siano un fattore di rischio per lo sviluppo del rimuginio.

Mentre sembra abbastanza immediato comprendere come credere nell’utilità del rimuginio faciliti la messa in atto di questa forma di pensiero perseverante, è curioso notare come credere che sia sempre e comunque necessario controllare tutti i propri pensieri sortisca lo stesso effetto. In questo senso, sembra che una buona strategia per evitare di incagliarsi nel rimuginio sia concederselo e permettersi di avere momenti e situazioni di ansia e preoccupazione (worry). Come impegnarsi a evitare di pensare all’elefante rosa non fa altro che ingrandire questa immagine nella mente, per non fare dell’elefante rosa un’ossessione basta lasciar scorrere il pensiero dalla proboscide alla coda.

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