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Transfert

Con il termine transfert ci si riferisce alla tendenza del paziente a proiettare sulla persona dell’analista aspettative e rappresentazioni che traggono origine dalle interazioni con i propri genitori durante l’infanzia. Tale concetto ha subito negli anni un'importante evoluzione nel campo della psicoterapia dinamica.

Agli albori della psicoanalisi Freud scoprì che ogni paziente proietta inevitabilmente sulla persona dell’analista, tramite transfert, aspettative e rappresentazioni che traggono origine dalle interazioni con i genitori durante l’infanzia. Così, nel corso del trattamento, il paziente ama, odia, desidera, teme, invidia l’analista.

Transfert e controtransfert: evoluzione del concetto in psicoterapia

Fin dalla pratica dell’ipnotismo, nel Settecento e Ottocento, si conosceva l’importanza dei meccanismi che guidassero la relazione medico-paziente, oggi indicati coi termini transfert – controtransfert. All’epoca si sapeva che la relazione tra ipnotizzatore e ipnotizzato era una forma di rapporto con caratteristiche regressive e di dipendenza tali da ricreare aspetti della relazione genitore-figlio.

Ma fu il contributo di Freud a dare un fondamentale impatto alla formulazione teorica del concetto di transfert e controtransfert, da cui poi è derivata una lunga serie di sviluppi teorici ad opera di altri famosi analisti. Ad oggi, la teoria del transfert viene considerata uno dei maggiori apporti di Freud alla psicologia (Etchegoyen 1986).

Nei casi clinici degli “Studi sull’isteria” (1892-95) Freud fa numerosi commenti sulle particolari sfumature affettive che caratterizzano la relazione tra paziente e psicoterapeuta arrivando a definire con precisione il transfert (Übertragung) come una singolare relazione umana che si instaura tra medico e paziente attraverso un falso nesso in cui il paziente stesso assegna al terapeuta rappresentazioni spiacevoli che emergono a vari livelli durante il lavoro comune.

Freud parla di transfert, partendo da alcune considerazioni sul metodo delle libere associazioni e sulla sua validità. Tale metodo però, in alcuni momenti, si blocca ad opera di alcune circostanze, definite da Freud resistenze. Queste resistenze sono attribuibili a una spiacevole ed erronea rappresentazione del medico da parte del paziente. I falsi nessi, che portano gli affetti rimossi a trasformarsi da ricordi passati a riferimenti diretti all’analista, costituiscono un fenomeno regolare e costante della terapia, vengono inseriti nella dialettica del presente e del passato, nel contesto delle ripetizioni e della resistenza ma non comportano un nuovo tipo di impegno.

Inizialmente, quindi, il transfert si caratterizza per Freud come un caso particolare di spostamento dell’affetto da una rappresentazione all’altra e la rappresentazione su cui viene spostato è quella dell’analista, poiché intrinsecamente più disponibile.

Affiora inoltre l’idea, in Freud, del transfert come elemento che favorisce la resistenza: confessare un desiderio rimosso diviene decisamente difficile se fatto alla persona direttamente interessata.

Transfert: tra ostacolo e agente di cura

Nel poscritto dell’analisi del “Caso Dora” (1901) Freud espone la teoria del transfert in forma completa, declinandone i due versanti: come ostacolo e come agente della cura. L’idea principale della sua teoria è che, durante la terapia analitica, la nevrosi cessi di produrre i suoi sintomi, formandone di nuovi che coinvolgono direttamente la figura dell’analista. Dunque, venendo a mancare i vecchi sintomi, può sembrare che la nevrosi sia cessata. Tuttavia, la cessazione dei vecchi sintomi non spegne la capacità produttiva della nevrosi che si esercita così a creare un particolare tipo di formazioni mentali, per lo più inconsce, denominate transfert.

Vengono così rivissute una serie di esperienze psicologiche come se appartenessero non al passato ma al presente, e fossero in relazione con lo psicoanalista: alcune di esse sono quasi identiche alle esperienze psicologiche pregresse, altre sono rifacimenti che subiscono l’influenza di fatti realmente accaduti. Ma il trattamento, sebbene ostacolato da tali distorsioni, può procedere normalmente poiché non c’è differenza se l’impulso da dominare è diretto alla persona dell’analista o a un’altra qualsiasi, infatti la psicoanalisi non genera il transfert ma lo scopre. Questa idea, che Freud non cambierà, declina il transfert come la malattia in sé che può essere curata attraverso il metodo interpretativo:

Il transfert, destinato a divenire il più grave ostacolo per la psicoanalisi, diviene il suo migliore alleato se si riesce ogni volta a intuirlo e a tradurne il senso al malato

Transfert e libido

Il transfert ha le sue radici in alcuni modelli di comportamento che caratterizzano la vita amorosa di ogni persona, derivati da disposizioni innate o da esperienze vissute durante l’infanzia. Secondo Freud, solo una parte della libido derivante dalle esperienze del passato raggiunge il pieno sviluppo psichico, raggiungendo il livello cosciente. Ciò che resta viene rimosso e riposto nei complessi inconsci. Questa parte della libido, conservata nell’inconscio, è ciò che provoca il fenomeno del transfert. Se il bisogno di essere amati, dunque, non viene pienamente soddisfatto nella vita reale, secondo Freud, la ricerca continua di amore porterà l’individuo a trasferire la propria libido a qualsiasi oggetto che possa consentirne la scarica in piena conformità con la logica del processo primario vigente nell’inconscio.

Riguardo alla funzione del transfert, Freud gli attribuisce il compito di resistenza: poiché lo scopo del trattamento psicoanalitico è seguire il processo regressivo della libido per renderla nuovamente accessibile alla coscienza e porla al servizio della realtà, l’analista diventa nemico della rimozione: così il processo patologico si volge contro il fattore di cambiamento che vuole invertirne lo sviluppo.

Il transfert comincia a operare nel momento in cui si arresta il processo di richiamo alla memoria, così il paziente comincia a trasferire invece che ricordare e perciò sceglie da tutto il complesso l’elemento che può meglio inserirsi nella situazione presente.

La ridefinizione del concetto di transfert

Nel 1920 Freud opera una svolta radicale nel concetto di transfert con il saggio “Al di là del principio di piacere”. Il transfert non viene più considerato come motivato dalla resistenza, ma dalla coazione a ripetere, a sua volta a servizio della pulsione di morte. Dunque è l’idea di ripetizione il principio esplicativo alla base del transfert e si afferma inoltre che l’Io, agendo in nome del principio di piacere, tende a rimuovere tale transfert (che diviene quindi il rimosso e non la resistenza) dal momento che la funzione dell’Io è di opporsi alla ripetizione, vista come fonte di distruzione e di minaccia.

La ripetizione, dunque, rappresenta l’esistenza di un impulso negativo che tende a ripetere la situazione del passato, ridefinendo così il transfert come bisogno di ripetere. Ma l’individuo, dice Freud, si oppone alla ripetizione attraverso una resistenza al transfert mobilitata dal principio di piacere e quindi dalla libido.

In conclusione, per Freud il transfert fu percepito come un fenomeno di scarica aderente al principio del piacere, consistente nello spostamento della pulsione agente in quel preciso momento da immagini infantili e soprattutto inconsce alla persona dell’analista. Il transfert cioè è solo un modo di ripetizione del passato, segnato dal conflitto edipico infantile, e la situazione presente non aggiunge nulla di nuovo in quanto, ai fini della scarica libidica, un oggetto vale l’altro.

Nel processo analitico il transfert non è di ostacolo ma attiva l’impegno del paziente nel suo lavoro col medico e diventa strumento di comprensione e di interpretazione dell’analista stesso. Grazie ad esso, l’analista permette al paziente di comprendere la differenza tra vecchi e nuovi oggetti, di eliminare le distorsioni tipiche del fenomeno transferale e di comprendere l’irrealtà e l’inappropriatezza degli affetti sperimentati nei confronti del neutrale analista (Silvestroni 2009).

Come cambia il concetto di transfert: Sullivan e la matrice transfert – controtransfert

Il concetto di transfert ha subito, nel corso degli anni, diverse rivisitazioni teoriche da parte di altri influenti psicoanalisti, una delle rivisitazioni più importanti è quella effettuata da H.S. Sullivan.

Sullivan spostò l’enfasi dall’osservazione del paziente (transfert), all’osservazione del paziente e dell’analista in interazione (matrice transfert-controtransfert), dando vita alla corrente psicoanalitica di Tradizione Interpersonale.

E’ infatti bene ricordare come nella stanza di terapia non ci sia solo il paziente, con parte del suo inconscio da proiettare sull’analista ma come anche quest’ultimo tenda, più o meno inevitabilmente, a proiettare aspetti inconsci della sua psiche nella relazione col paziente: si parla allora di controtransfert.

Il cambiamento di paradigma avvenuto nel pensiero psicoanalitico si deve all’introduzione del concetto sullivaniano di “osservatore partecipe” che presuppone nell’analista l’abilità di occuparsi e di valutare attentamente anche la propria partecipazione rispetto al paziente. Gli autori interpersonalisti che hanno seguito la scia di Sullivan hanno esteso questa preziosa intuizione fino a rivoluzionare l’uso terapeutico del controtransfert in modi che Sullivan (1954) stesso non aveva clinicamente portato avanti. Nel campo psicoanalitico il transfert e il controtransfert sono esperienze formate reciprocamente e create congiuntamente da entrambi i partecipanti analitici, piuttosto che come espressioni esclusivamente endogene del mondo intrapsichico chiuso dell’uno o dell’altro partecipante.

Il transfert nei disturbi di personalità: la teoria psicoanalitica di Otto Kernberg

Otto Kernberg concettualizza un modello, che diventa il fondamento della psicoanalisi contemporanea, chiamato Terapia focalizzata sul Transfert (Transference-Focused Psychotherapy, TFP; Clarkin, Kernberg, & Yeomans, 2006). Esso parte dalle relazioni oggettuali (Kernberg, 1984), e utilizza le recenti ricerche in area evolutiva e neurobiologica (Clarkin & Posner, 2005) per comprendere in che modo relazionarsi al paziente.

Kernberg ha definito il suo approccio teorico come Psicologia dell’Io e delle Relazioni oggettuali, in cui confluiscono tre modelli psicoanalitici di riferimento. Kernberg parte dai limiti riscontrati nella teoria pulsionale di Freud, ovvero l’incapacità di dare delle spiegazioni adeguate alla complessità della motivazione umana, riferendosi alla teoria di Margaret Mahler, focalizzata sul processo di separazione-individuazione, e a quella di Edith Jacobson, con la definizione di mondo rappresentazionale ovvero immagini o esperienze passate da cui si ricavano mappe cognitive del mondo esterno. E’ sulla base di queste premesse teoriche che Kernberg arriva a formulare nuova teoria sui disturbi di personalità.

Una delle fasi più importanti di questa terapia è, secondo Kernberg, l’analisi dei sintomi chiave: il terapeuta si concentra sui sintomi significativi che emergono durante il colloquio, esplorandoli quando appaiono, e può operare interventi di chiarificazione, messa a confronto e interpretazioni. Lo scopo è far emergere le modalità relazionali del paziente, così come si manifestano in seduta, e nel metterle progressivamente in evidenza con continue interpretazioni del transfert, cioè mostrando il meccanismo intrapsichico che sottende il comportamento e le emozioni del soggetto.

Transfert: tra amore e odio

Etchegoyen (1986) affermava che in ogni analisi devono esistere momenti d’ amore, di innamoramento, poiché la cura riproduce le relazioni d’oggetto della triade edipica, ed è pertanto inevitabile e salutare che ciò avvenga (p. 184).

Eppure c’è una particolare sfumatura che desta nel terapeuta problematiche complesse. L’ amore di transfert che maggiormente preoccupa ogni analista è quello che, per la sua improvvisa apparizione, per la sua tenacia, per la sua intenzione distruttiva e per l’intolleranza alla frustrazione che lo accompagna, sembra capace di portare l’analisi a un punto di rottura.

Precocemente Freud si trovò alle prese con le potenti forze dell’ amore che si attivano tra paziente e analista fino a collocare l’amore al centro della riflessione sull’azione terapeutica, parlando di una guarigione mediante l’amore (amore di transfert e non amore del terapeuta) capace di tradurre l’inconscio. Tuttavia Freud scorgeva nell’ amore di transfert anche un lato oscuro in grado di opporre al trattamento un ostacolo formidabile.

Infatti, sebbene inizialmente Freud collochi l’ amore come centro dell’azione terapeutica, parlando di una vera e propria guarigione mediante l’ amore, alcuni anni dopo, Freud sembra modificare tale posizione sull’attrazione erotica come veicolo di cura: soltanto il transfert cosciente è alleato del trattamento. Il transfert erotico veniva relegato, insieme al transfert negativo, tra i due tipi di transfert inconsci che rappresentano una resistenza al trattamento (Freud 1912).

L’incertezza dello stesso Freud sul tema transfert ha portato a porsi diverse domande: l’amore di transfert è resistenza o mezzo di guarigione? È un sentimento reale o irreale? E, soprattutto, è simile o diverso rispetto all’amore che si prova al di fuori del contesto analitico?

L’ambiguità di Freud è ancor più evidente nella distinzione che opera tra amore di transfert e amore fuori dall’analisi: anche se l’innamoramento da transfert costituisce una riedizione di antichi processi infantili, questo sembra essere il carattere tipico di qualsiasi innamoramento. Forse, l’unica differenza secondo Freud, sta nel fatto che l’amore di traslazione offre un grado di libertà inferiore rispetto all’amore normale e lascia scorgere di più la sua dipendenza dai modelli infantili.

Pur restando nella sua ambiguità sul concetto di amore di transfert e avendo scoperto solo differenze insignificanti tra amore di transfert e quello reale, Freud avverte l’analista di procedere come se l’amore manifestato in seduta non fosse reale, consigliando di tenere in pugno la situazione, in quanto in balia di forze inconsce: questo consiglio nasce probabilmente dalle preoccupazioni che Freud aveva riguardo a quel fenomeno non ancora ben definito e chiamato controtransfert. Il timore principale era che i suoi colleghi si innamorassero delle pazienti è anziché evitare le avances, cedessero alla seduzione come accadrebbe nella vita reale, situazione più volte osservata da Fraud tra i suoi discepoli.

Gabbard (1996), ha insistito sulla questione della differenza tra amore transferale e reale, analizzando gli autori successivi a Freud e ha evidenziato come l’amore nella situazione analitica ha molte più somiglianze che differenze rispetto all’amore in situazioni non analitiche: usa le stesse metafore, indossa le stesse maschere e provoca la stessa varietà di risposte negli altri. Secondo Gabbard la differenza fondamentale sta nell’atteggiamento dell’analista, volto alla riflessione, alla contemplazione e all’analisi, piuttosto che all’azione (pp. 38-39).

Perchè si alternano amore e aggressività in seduta?

Kernberg (1991) ha osservato che un uomo e una donna che scoprono la loro attrazione e il loro desiderio reciproco esprimono non soltanto la loro capacità di unire inconsciamente erotismo e tenerezza, sessualità e ideale dell’Io, ma anche di reclutare l’aggressività al servizio dell’amore (p. 46-47). Anche in seduta, col transfert, si va spesso incontro a questa situazione.

In linea generale viene riconosciuta valida la distinzione per cui la forma “benigna” di odio di transfert, come la sua controparte erotica, si manifesta in modo caratteristico nei pazienti con organizzazione nevrotica, mentre la variante “maligna”, come il transfert erotizzato, è più frequente nei pazienti con organizzazione psicotica o borderline (Kernberg, 1984). Questa distinzione non ha valore assoluto ma è clinicamente utile per concettualizzare la forma prevalente di erotismo (o di odio) nel transfert in relazione al livello di organizzazione dell’Io riscontrato nel paziente.

Ferro (1996) ad esempio considera la sessualità e l’aggressività nel processo analitico come possibili linguaggi o comunicazioni.

Ma cosa fare, in seduta, in caso eccessiva erotizzazione o aggressività? Secondo Gabbard (1996) le azioni terapeutiche indispensabili per creare lo spazio analitico in situazioni di intensa erotizzazione o aggressività sono il contenimento, l’interpretazione differita e l’integrazione: il contenimento si riferisce alla capacità dell’analista di pensare, metabolizzare e disintossicare i contenuti mentali che il paziente proietta in lui (Bion 1962). Il differimento e la dilazione dell’interpretazione, secondo Gabbard (1996), vanno attivati per arrivare ai problemi transferali primitivi: l’analista deve sospendere la propria attività interpretativa per tutta dal durata della dinamica distruttiva e, solo dopo tale dinamica, le funzioni profonde svolte dall’erotizzazione e dall’odio, mentalmente annotate durante il processo di contenimento, possono essere interpretate. Si arriva così alla fase di integrazione: ricollegare le isole di amore con i nuclei dell’odio restituisce al paziente il senso della propria soggettività. Può ora pensare simbolicamente a ciò che accade nella relazione analista-paziente ed essere osservatore di pensieri e sentimenti in quanto creazioni intrapsichiche piuttosto che come percezioni fattuali incontrovertibili (Ogden 1989).

 

 

Biblografia:

  • Bion W.R. (1962), Apprendere dall’esperienza. Armando, Roma 2009.
  • Clarkin, JF, Yeomans, FE, e Kernberg, OF (2006). Psicoterapia per personalità borderline. Concentrandosi sulle relazioni oggettuali. Washington, DC: American Psychiatric Publishing
  • Etchegoyen R.H. (1986), I fondamenti della tecnica psicoanalitica. Astrolabio, Roma 1990.
  • Ferro A. (1996), Nella stanza di analisi. Raffaello Cortina, Milano 1996.
  • Gabbard G.O. (1996), Amore e odio nel setting analitico. Astrolabio, Roma 2003.
  • Kernberg, O. F. (1984), Disturbi gravi della personalità, Bollati Boringhieri, Torino, 1987.
  • Kernberg O.F. (1991), Aggression and love in the relationship of the couple. Journal of the American Psychoanalytic Association, 39, pp. 45-70.
  • Silvestroni N. (2009). Transfert e controtransfert modelli in evoluzione. Alpes, Roma.
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