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Quando il paziente si innamora dell’analista: osservazioni sull’ amore di transfert

L’ amore di transfert è resistenza o veicolo di guarigione? A partire da Freud, diversi psicoanalisti hanno tentato di dare una risposta a questa domanda

Di Cosimo Santi

Pubblicato il 13 Apr. 2017

Aggiornato il 05 Giu. 2017 11:21

La generica definizione di amore di transfert rimanda a una lunga serie di questioni che da sempre hanno riguardato la tradizione psicoanalitica.

 

Etchegoyen (1986) al riguardo afferma che:

In ogni analisi devono esistere momenti d’amore, di innamoramento, poiché la cura riproduce le relazioni d’oggetto della triade edipica, ed è pertanto inevitabile (e salutare) che ciò avvenga (p. 184).

Anche se questo è ben presente e in un certo modo atteso dall’analista, perché appunto la cognizione che l’evento accada è fortissima, tuttavia c’è una particolare sfumatura che desta nel terapeuta problematiche complesse.

L’ amore di transfert che maggiormente preoccupa ogni analista è quello che, per la sua improvvisa apparizione, per la sua tenacia, per la sua intenzione distruttiva e per l’intolleranza alla frustrazione che lo accompagna, sembra capace di portare l’analisi a un punto di rottura.

 

L’ amore di transfert tra veicolo di guarigione e pericolo per la terapia

Precocemente nella pratica analitica Freud si trovò alle prese con le potenti forze dell’ amore che si attivano tra paziente e analista. In una celebre lettera del 1906 indirizzata a Jung, Freud colloca inequivocabilmente l’amore al centro della riflessione sull’azione terapeutica:

Si tratta propriamente di una guarigione mediante l’amore (Citazione in McQuire 1974, p. 3).

Il fondatore della psicoanalisi non intendeva, ovviamente, che fosse l’ amore dell’analista a guarire la paziente, mentre appariva chiaro che per lui il veicolo della guarigione stava nell’ amore di transfert. Nella stessa lettera confidava all’illustre interlocutore:

A Lei non sarà sfuggito che le nostre guarigioni avvengono mediante la fissazione di una libido che domina nell’inconscio (traslazione), che s’incontra con la maggior probabilità nell’isteria. È questa che fornisce la forza motrice per afferrare e tradurre l’inconscio; quando essa si rifiuta, il paziente non si sottomette a tale fatica o non dà ascolto se noi gli presentiamo la traduzione che abbiamo trovato (Citazione in McQuire 1974 p. 14-15).

Tuttavia Freud scorgeva nell’ amore di transfert anche un lato oscuro in grado di opporre al trattamento un ostacolo formidabile. Già anni prima aveva sottolineato come la paziente potesse essere presa “dal timore di abituarsi troppo alla figura del medico, di perdere la propria indipendenza nei suoi confronti, e persino di poterne dipendere sessualmente” (Freud 1892-1895, p. 437) collegando questo particolare ostacolo alla “natura della sollecitudine terapeutica” (ibidem).

Per sollecitudine terapeutica Freud intendeva l’ascolto attento e interessato da parte dell’analista verso i contenuti mentali della paziente e questo avrebbe potuto sollecitare in lei una sorta di innamoramento.

Alcuni anni dopo, quando apparvero gli scritti sulla tecnica, Freud sembrava aver modificato la propria posizione sull’attrazione erotica come veicolo di cura: soltanto il transfert cosciente, il transfert positivo ineccepibile, è alleato del trattamento. Il transfert erotico veniva relegato, insieme al transfert negativo, tra i due tipi di transfert inconsci che rappresentano una resistenza al trattamento (Freud 1912).

L’incertezza di Freud sul tema dava adito a molte domande pertinenti: l’ amore di transfert era una resistenza o un veicolo di guarigione? Era un sentimento reale o irreale? E, soprattutto, era simile o diverso rispetto all’amore che si prova al di fuori del contesto analitico?

Nel saggio “Osservazioni sull’amore di traslazione” (1914) Freud tenta di dare una risposta a queste domande, ma rimane ambiguo e descrive sostanzialmente una situazione paradossale in cui l’analista dovrebbe utilizzare l’amore che l’analizzando nutre per lui per far cessare definitivamente quegli stessi desideri transferali.

 

Differenze tra amore di transfert e amore fuori dall’analisi

Secondo molti autori quali Coen (1994), Friedman (1991), Gabbard (1993) e Schafer (1993), tale ambiguità viene resa da Freud particolarmente evidente nella differenziazione tra amore di transfert e amore fuori dall’analisi:

È bensì vero che questo innamoramento costituisce una riedizione di antichi processi e riproduce reazioni infantili. Ma questo è il carattere tipico di qualsiasi innamoramento. […] Forse l’amore di traslazione offre un grado di libertà minore che non l’amore quale si verifica nella vita e che chiamiamo normale, e lascia scorgere di più la sua dipendenza dai modelli infantili, rivelandosi meno duttile e malleabile. Ma questo è tutto, e non è l’essenziale (Freud 1914b, p. 371).

Quindi secondo Freud anche se non c’è dubbio che residui di vecchie relazioni oggettuali vengano portati nel transfert non possiamo basarci su tali indizi per distinguerlo da ogni altro tipo di amore. L’astinenza dell’analista e lo stesso setting potrebbero renderlo un po’ più infantile, ma si tratta, probabilmente, di una differenza irrilevante.

Pur avendo scoperto solo differenze insignificanti tra l’ amore di transfert e quello reale, Freud avverte tuttavia l’analista di procedere come se l’amore non fosse reale:

Si tenga in pugno la traslazione amorosa, ma la si tratti come qualcosa di irreale, come una situazione che deve verificarsi durante la cura e va fatta risalire alle sue cause inconsce (1914, p. 369).

Questo consiglio nasce probabilmente dalle preoccupazioni che Freud aveva riguardo a quel fenomeno non ancora ben definito e chiamato controtransfert. Il timore principale era che i suoi colleghi si innamorassero delle pazienti anziché astenersi e che cedessero alla seduzione come accadrebbe al di fuori della situazione analitica. Freud era consapevole dell’intensa attrazione che l’analista può provare per la paziente e imparò ben presto la bidirezionalità della seduzione quando vide i suoi discepoli soccombere, uno dopo l’altro, al canto delle sirene dell’ amore di transfert.

Gabbard (1996), revisionando attentamente gli scritti sulla differenza tra amore reale e amore transferale negli autori  successivi a Freud ha evidenziato che:

l’amore nella situazione analitica ha molte più somiglianze che differenze rispetto all’amore in situazioni non analitiche: usa le stesse metafore, indossa le stesse maschere e provoca la stessa varietà di risposte negli altri […]. La differenza fondamentale sta nell’atteggiamento dell’analista, volto alla riflessione, alla contemplazione e all’analisi, piuttosto che all’azione (pp. 38-39).

Le supposizioni teoriche che nel suo fondamentale lavoro Gabbard mette al vaglio, riguardano molti autori alcuni dei quali però meritano di essere citati dettagliatamente per la maggior peculiarità  del loro dettato.

Schafer (1977) ritiene che l’ amore di transfert abbai una duplice natura. Da un lato, si tratta di una nuova edizione di una precedente relazione oggettuale regressiva, dall’altro è una nuova relazione oggettuale reale e adattata alla situazione di trattamento, ossia: “uno stato transizionale di carattere provvisorio in vista di un esito razionale, genuino quanto l’amore normale” (p. 340). Il problema principale che si presenta all’analista è come integrare i due aspetti dell’ amore di transfert in un approccio interpretativo efficace.

Modell (1991) mette in evidenza una differenza fondamentale tra l’amore in analisi e l’amore extra-analitico. I due membri della diade analitica sanno che alla fine si separeranno, a prescindere da quanto siano tra loro compatibili e dalla reciprocità dei loro sentimenti. Questa dimensione del rapporto analitico rispecchia un paradosso fondamentale: le risposte affettive di analista e paziente sono reali ma avvengono nel contesto di una relazione irreale, considerando i termini dei comuni rapporti sociali.

Hoffer (1993) sottolinea quanto sia fuorviante, per il paziente come per l’analista, considerare irreale l’amore nel rapporto analitico. L’amore di per sé è praticamente identico a quello che si prova nel trattamento e gli aspetti distintivi vanno cercati altrove:

La differenza non va cercata nella realtà, ma nella sua specifica unilateralità. Da parte dell’analista, la relazione d’amore è unilaterale a causa del suo scopo, in altri termini la raison d’être del rapporto è che esiste a vantaggio del paziente. Inoltre, il setting analitico stesso, il suo contesto e la sua struttura sono naturalmente definiti e subordinati a quello scopo (p. 349).

Anche Kernberg (1994) avvisa che la mancanza di reciprocità deve essere posta alla base dei criteri  di differenziazione tra l’ amore di transfert e quello extra-analitico. Inoltre, l’ amore di transfert permette al paziente di esplorare a fondo le determinanti inconsce della situazione edipica, possibilità che non è data in altre forme d’amore.

Per concludere questa breve panoramica sulle attuali posizioni definitorie di transfert erotico intendo nuovamente citare Gabbard (1996)  e segnatamente sulla possibilità di commettere un errore metodologico nel quale possono incorrere gli analisti:

Possiamo affermare che l’amore è reale nel senso che implica una specifica relazione in atto, e al tempo stesso è irreale nel senso che contiene elementi di relazioni oggettuali passate, che sono state interiorizzate e poi riattivate nella diade analitica […]. Oggi gli analisti spesso provano lo stesso disagio di Freud di fronte a intensi sentimenti tansferali d’amore e, un’attenzione eccessiva alle distinzioni tra l’ amore nel transfert e al di fuori di esso, può essere una difesa ossessiva contro il disagio che si prova all’insorgere di sentimenti d’amore nel trattamento (p.36).

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Cosimo Santi
Cosimo Santi

Socio fondatore SIPeP-SF Società Italiana di Psicoanalisi e Psicoterapia Sándor Ferenczi

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Coen S.J. (1994), Barriers to love between patient and analyst. Journal of The American Psychoanalytical Association, 42, pp. 1107-1135.
  • Etchegoyen R.H. (1986), I fondamenti della tecnica psicoanalitica. Astrolabio, Roma 1990.
  • Freud S. (1892-95), Studi sull’isteria. OSF, vol.1.
  • Freud S. (1912a), Dinamica della traslazione. OSF, vol.6.
  • Freud S. (1914), Osservazioni sull’amore di traslazione. OSF, vol.7.
  • Friedman L. (1991), A reading of Freud’s papers on technique. Psychoanalytic Quarterly, 60, 564-595.
  • Gabbard G.O. (1993), Introduction to classic article “Osservations on transference love. Journal of Psychotherapy Practice and Research, 2, 171-172.
  • Gabbard G.O. (1996), Amore e odio nel setting analitico. Astrolabio, Roma 2003.
  • Hoffer A. (1993), Is love in the analytic relationship real?. Psychoanalytic Inquiry, 13, pp. 343-356.
  • Kernberg O.F. (1994), Love in the analytic setting. Journal of the American Psychoanalytic Association, 42, 1137-1157.
  • McGuire W. (1974), (a cura di) Lettere tra Freud e Jung. Bollati Boringhieri, Torino 1974.
  • Modell A.H. (1991), The therapeutic relationship as a paradoxical experience. Psychoanalytic Dialogues, 1, pp. 13-28.
  • Schafer R. (1977), The interpretation of transference and the conditions for loving. Journal of the American Psychoanalytic Association, 25, pp.335-362.
  • Schafer R. (1993), Five readings of Freud’s Observation on transference love. In: On Freud’s  Observation on transference love, a cura di: Person E.S., Hagelin A. e Fonagy P. Yale University Press
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