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La scoperta del transfert: Freud e la rivoluzione psicoanalitica

Secondo Freud il transfert consiste in uno spostamento dell'affetto da sè all'analista e questo è stato uno dei pilastri della psicoanalisi.

Di Cosimo Santi

Pubblicato il 12 Apr. 2017

Aggiornato il 05 Giu. 2017 11:24

All’inizio per Freud il transfert si caratterizza come un caso particolare di spostamento dell’affetto da una rappresentazione all’altra e diviene preferibile quella dell’analista per l’intrinseca disponibilità. Affiora inoltre l’idea, non ancora concettualizzata, del transfert come elemento che favorisce la resistenza: confessare un desiderio rimosso diviene decisamente difficile se fatto alla persona direttamente interessata.

 

Freud e la nascita del concetto di transfert

È ben noto come già prima di Freud certi fenomeni che mettevano in rapporto terapeuta e paziente, che oggi possiamo rubricare con i termini di transfert e controtransfert, fossero ritenuti di un’importanza rilevante: basti pensare che già nella pratica dell’ipnotismo nel settecento e nell’ottocento si sapeva che la relazione tra l’ipnotizzatore e l’ipnotizzato era una forma di rapporto con caratteristiche regressive e di dipendenza tali da ricreare aspetti genitore-figlio. Ma il contributo di Freud nella creazione a livello teorico del concetto di transfert e a livello clinico dell’idea di analizzarlo rimane a fondamento di ogni possibile sviluppo (Silvestroni 2009).

Possiamo ancora dire che la teoria del transfert è il pilastro su cui poggia il trattamento psicoanalitico e viene considerata uno dei maggiori apporti di Freud alla scienza (Etchegoyen 1986).
Ma come arrivò Freud a intuire questo processo?

Bisogna richiamare il trattamento catartico di Anna O. da parte di Breuer sul quale Freud agì come supervisore e poi, nel 1883, interpretò in tutta la sua complessità. Il trattamento della celebre paziente Anna O. durò dal 1880 al 1882 e terminò con un intenso amore di transfert e di controtransfert. I protagonisti di questa ben nota vicenda la considerarono un episodio umano come tanti altri e sul momento neppure Freud stabilì una connessione tra l’innamoramento e la terapia. Ma negli anni successivi Freud convinse Breuer a pubblicare le loro scoperte sull’isteria e osservò che la reticenza del collega era dovuta all’episodio sentimentale con Anna O: la convinzione arrivò solo quando Freud gli raccontò che anche a lui era successo qualcosa di simile e che perciò riteneva il fenomeno pertinente, inerente all’isteria.

Nei casi clinici degli “Studi sull’isteria” (1892-95) Freud fa numerosi commenti sulle singolari sfumature affettive che caratterizzano la relazione tra paziente e psicoterapeuta arrivando a definire con precisione il transfert (Übertragung) come una singolare relazione umana che si instaura tra medico e paziente attraverso un falso nesso in cui il paziente stesso assegna al terapeuta rappresentazioni spiacevoli che emergono a vari livelli durante il lavoro comune.

Il ragionamento di Freud parte dalle considerazioni sulla validità del metodo delle libere associazioni e su come, in alcuni momenti, esso si blocchi. Queste circostanze che lui definisce resistenze sono attribuibili a una spiacevole ed erronea rappresentazione del medico da parte del paziente. Ne dà un esempio chiaro che riportiamo testualmente: “Un certo sintomo isterico in una delle mie pazienti era stato il desiderio, concepito molti anni prima e subito ricacciato nell’ inconscio, che l’uomo col quale stava conversando si fosse fatto coraggio e afferrandola l’avesse baciata. Una volta, alla fine di una seduta, sorge nella paziente un desiderio analogo nei riguardi della mia persona; essa ne è terrorizzata, passa una notte insonne e la volta dopo, pur non rifiutando il trattamento, si dimostra del tutto inutilizzabile per il lavoro” (1892-95, p. 437). E poi aggiunge :”Da che ho appreso questo, posso presumere che in ogni caso in cui la mia persona si trovi coinvolta in modo simile si verifichino nuovamente un transfert e un falso nesso” (p. 438).

Freud osserva che il desiderio che tanto aveva spaventato la paziente non si presenta sotto forma di ricordo ma viene riferito direttamente a lui. Già qui i falsi nessi del transfert costituiscono un fenomeno regolare e costante della terapia, vengono inseriti nella dialettica del presente e del passato, nel contesto delle ripetizioni e della resistenza ma non comportano un nuovo tipo di impegno.

All’inizio quindi per Freud il transfert si caratterizza come un caso particolare di spostamento dell’affetto da una rappresentazione all’altra e diviene preferibile quella dell’analista per l’intrinseca disponibilità.

Affiora inoltre l’idea, non ancora concettualizzata, del transfert come elemento che favorisce la resistenza: confessare un desiderio rimosso diviene decisamente difficile se fatto alla persona direttamente interessata.
Questo materiale e queste intuizioni iniziali nel breve si coagulano concettualizzandosi con pienezza.

Nel poscritto dell’analisi del “Caso Dora” (1901) Freud espone la teoria del transfert in forma completa, declinandone i due versanti: come ostacolo e come agente della cura. L’idea principale è che, nel corso del trattamento analitico, la nevrosi cessi di produrre i suoi sintomi e se ne formino altri che coinvolgono direttamente la figura dell’analista: “Si può affermare che, in tutti i casi, la formazione di nuovi sintomi cessa durante la cura psicoanalitica. Ma la capacità produttiva della nevrosi non è per questo affatto spenta; si esercita creando un particolare tipo di formazioni mentali, per lo più inconsce, che possono denominarsi transfert” (1901, p. 396).

Così vengono rivissute una serie di esperienze psicologiche come se appartenessero non al passato ma al presente e fossero in relazione con lo psicoanalista: alcune di esse sono delle ristampe pressoché identiche a quelle pregresse, altre sono rifacimenti che subiscono l’influenza di qualche fatto reale. Ma il processo terapeutico, anche se gravemente ostacolato da tali distorsioni, può procedere normalmente poiché non c’è differenza se l’impulso da dominare è diretto alla persona dell’analista o a un’altra qualsiasi, infatti la psicoanalisi non genera il transfert ma lo scopre. Questa idea, che Freud non cambierà, declina il transfert come la malattia in sé che può essere curata attraverso il metodo interpretativo: “Il transfert, destinato a divenire il più grave ostacolo per la psicoanalisi, diviene il suo migliore alleato se si riesce ogni volta a intuirlo e a tradurne il senso al malato” (1901, p. 398).

Nell’articolo “Dinamica della traslazione” (1912), contenuto nei lavori sulla tecnica, Freud riprende la teoria del transfert, mette in evidenza il carattere essenzialmente erotico del fenomeno e si propone di risolvere due problemi: l’origine e la funzione del transfert nel trattamento psicoanalitico.

La radice del transfert va ricercata in certi modelli di comportamento o stereotipi che caratterizzano la vita amorosa di ognuno e sono la risultante di disposizioni innate e di esperienze vissute nei primi anni di vita. Freud pensa che solo una parte della libido promossa dalle esperienze del passato raggiunga il pieno sviluppo psichico e si metta al servizio della coscienza mentre l’altra componente viene rimossa e subisce l’attrazione dei complessi inconsci. È proprio questa parte di libido, sottratta alla realtà, che provoca il fenomeno del transfert.

Cioè, se il bisogno d’amore di un individuo non arriva a completo soddisfacimento nella vita reale, per Freud, nella pressante e continua ricerca, questo individuo applicherà la propria libido a qualsiasi oggetto che possa prestarsi a consentire la scarica in piena conformità con la logica del processo primario vigente nell’inconscio.

Riguardo alla funzione del transfert, Freud non ha dubbi nell’ attribuirgli il compito di resistenza: poiché lo scopo del trattamento psicoanalitico è seguire il processo regressivo della libido per renderla nuovamente accessibile alla coscienza e porla al servizio della realtà, l’analista diventa il nemico delle forze regressive e della rimozione: così il processo patologico si volge contro il fattore di cambiamento che vuole invertirne lo sviluppo.

Il transfert comincia a operare nel momento in cui si arresta il processo di richiamo alla memoria, così il paziente comincia a trasferire invece che ricordare e perciò sceglie da tutto il complesso l’elemento che può meglio inserirsi nella situazione presente: “Quando ci si avvicina ad un complesso patogeno, la parte del complesso idonea alla traslazione viene sempre spinta avanti per prima nella coscienza, e difesa con il più grande accanimento” (1912a, p. 527).

La successiva evoluzione nella teoria del transfert si ritrova nella nuova serie di scritti dedicati alla tecnica, specificamente nel saggio “Ricordare, ripetere e rielaborare” (1914). Qui Freud osserva che nella prima parte dell’analisi si produce una calma nel paziente accompagnata da una diminuzione e perfino una scomparsa dei sintomi, ma ciò non equivale alla guarigione. Si sviluppa piuttosto una nevrosi di transfert, cioè la trasposizione del fenomeno patologico a livello del trattamento stesso: quel che prima era nevrosi nella vita quotidiana dell’individuo si trasforma in nevrosi che ha come punto di partenza l’analisi e l’analista. Questo processo, che si manifesta spontaneamente all’inizio della cura, Freud lo ascrive a un meccanismo già menzionato nel 1901 e soprattutto nel 1912, la ripetizione. A questo punto viene delineata l’idea di ripetizione come implicita in quella di transfert in quanto qualcosa torna dal passato e opera nel presente. La ripetizione quindi viene contrapposta al ricordo, stabilendo una differenza concettuale chiara e ben definita: la dinamica del transfert è intesa come resistenza al ricordo, in altre parole il ricordo rimosso si ripete nel transfert.

 

La ridefinizione del concetto di transfert

Nel 1920 abbiamo una svolta radicale nella concettualizzazione del transfert e della ripetizione e questo avviene con il saggio “Al di là del principio di piacere”.

La ripetizione finora considerata un elemento descrittivo del tutto subordinato al principio di piacere diviene elemento esplicativo genetico, mentre il transfert non è più considerato come motivato dalla resistenza ma dalla coazione a ripetere a sua volta a servizio della pulsione di morte.
Trova consolidamento l’idea di ripetizione come principio esplicativo del transfert e si afferma inoltre che l’Io, agendo in nome del principio di piacere, tende a rimuovere tale transfert (che diviene quindi il rimosso e non la resistenza) dal momento che la funzione dell’Io è di opporsi alla ripetizione, vista come fonte di distruzione e di minaccia.

La ripetizione, in quanto principio esplicativo, testimonia l’esistenza di un impulso “demoniaco” che tende a ripetere la situazione del passato e così ridefinisce il transfert come bisogno di ripetere. Ma l’individuo, dice Freud, si oppone alla ripetizione attraverso una resistenza al transfert mobilitata dal principio di piacere e quindi dalla libido.
Vi è quindi un’inversione di rotta rispetto ai lavori precedenti in cui era la libido a spiegare il transfert come ripetizione dei desideri erotici infantili e non la resistenza al transfert.
Questo momento speculativo rimane comunque caratterizzato da una certa astrattezza come del resto il concetto di pulsione di morte.

Da questa analisi diacronica del concetto freudiano di transfert possiamo dire in conclusione che in lui il transfert fu percepito come un fenomeno di scarica aderente al principio del piacere e consistente nello spostamento della pulsione agente in quel preciso momento da immagini infantili e inconsce alla persona dell’analista.
Cioè il transfert è solo un modo di ripetizione del passato, segnatamente del conflitto edipico infantile, e la situazione del momento non vi apporta niente di nuovo poiché ai fini della scarica libidica un oggetto vale l’altro.

Nel processo analitico il transfert non è di ostacolo ma attiva l’impegno del paziente nel suo lavoro col medico e diventa strumento di comprensione e appropriazione dell’interpretazione dell’analista stesso.

Si tratta cioè da parte dell’analista di “permettere al paziente di arrivare a comprendere la differenza tra vecchi e nuovi oggetti, di eliminare le distorsioni di cui consta il fenomeno transferale, di comprendere l’irrealtà e l’inappropriatezza degli affetti sperimentati nei confronti del neutrale analista” (Silvestroni 2009).

 

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Cosimo Santi
Cosimo Santi

Socio fondatore SIPeP-SF Società Italiana di Psicoanalisi e Psicoterapia Sándor Ferenczi

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Etchegoyen R.H. (1986). I fondamenti della tecnica psicoanalitica. Astrolabio, Roma 1990.
  • Freud S. (1892-95). Studi sull’isteria. Opere, vol.1. Boringhieri, Torino.
  • Freud S. (1901). Frammento di un’analisi d’isteria. (Caso Clinico di Dora). Opere, vol.4. Boringhieri, Torino.
  • Freud S. (1912). Dinamica della traslazione. Opere, vol.6. Boringhieri, Torino.
  • Freud S. (1914). Ricordare, ripetere e rielaborare. Opere, vol.7. Boringhieri, Torino.
  • Freud S. (1920). Al di là del principio di piacere. Opere, vol.9. Boringhieri, Torino.
  • Silvestroni N. (2009). Transfert e controtransfert modelli in evoluzione. Alpes, Roma.
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