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Otto Kernberg e la sua teoria psicoanalitica – Introduzione alla Psicologia

Kernberg è uno psicoanalista che ha ideato l' approccio della Psicologia dell’Io e delle Relazioni oggettuali integrando precedenti modelli psicanalitici.

Di Francesca Fiore

Pubblicato il 30 Nov. 2017

Aggiornato il 09 Mar. 2018 12:54

Otto Kernberg ha definito il suo approccio teorico come Psicologia dell’Io e delle Relazioni oggettuali, in cui confluiscono i tre modelli psicoanalitici di riferimento. Kernberg, partendo dai limiti riscontrati nella teoria pulsionale di Freud, ovvero l’incapacità di dare delle spiegazioni adeguate alla complessità della motivazione umana, riferendosi alla teoria di Margaret Mahler, focalizzata sul processo di separazione-individuazione, e a quella di Edith Jacobson, con la definizione di mondo rappresentazionale ovvero immagini o esperienze passate da cui si ricavano mappe cognitive del mondo esterno, formulò una nuova teoria sui disturbi di personalità.

Realizzato in collaborazione con la Sigmund Freud University, Università di Psicologia a Milano

 

La vita di Otto Kernberg: da Vienna a New York passando dal Cile

Otto Kernberg è nato a Vienna nel 1928 ed è uno psichiatra e psicoanalista. Kernberg è originario dell’Austria, ma ha cittadinanza statunitense.
Nel 1939 la sua famiglia, di origine ebraica, si trasferì in Cile per sfuggire al regime nazista presente in Germania in quegli anni. Kernberg studiò dapprima Biologia e poi Medicina laureandosi nel 1953.

Successivamente, si specializzò in psichiatria e poi in Psicoanalisi presso la Società Cilena di Psicoanalisi. Nel 1959 si trasferì negli Stati Uniti, dove ha diretto il progetto di ricerca in psicoterapia della Menninger Foundation. È stato didatta e supervisore presso il Center for Psychoanalytic training and Research della Columbia University.

Dal 1997 al 2001 è stato presidente dell’International Psychoanalytical Association (IPA), ha diretto l’Istituto dei disordini della personalità presso il New York Presbyterian Hospital e ha insegnato e insegna ancora psichiatria al Weill Cornell Medical College della Cornell University.

Otto Kernberg è uno dei più importanti psicoanalisti contemporanei; ha integrato in un’unica teoria tre modelli psicoanalitici distinti: la teoria pulsionale di Freud, la teoria di Melanie Klein e di William R. D. Fairbairn e la psicologia dell’Io di Margaret Mahler e di Edith Jacobson.

La Teoria psicoanalitica di Otto Kernberg

Kernberg ha definito il suo approccio teorico come Psicologia dell’Io e delle Relazioni oggettuali, in cui confluiscono i tre modelli psicoanalitici di riferimento. Kernberg, partendo dai limiti riscontrati nella teoria pulsionale di Freud, ovvero l’incapacità di dare delle spiegazioni adeguate alla complessità della motivazione umana, riferendosi alla teoria di Margaret Mahler, focalizzata sul processo di separazione-individuazione, e a quella di Edith Jacobson, con la definizione di mondo rappresentazionale ovvero immagini o esperienze passate da cui si ricavano mappe cognitive del mondo esterno, formulò una nuova teoria sui disturbi di personalità. Tale modello secondo Kernberg costituisce il fondamento della psicoterapia focalizzata sul transfert (Transference-Focused Psychotherapy, TFP, Clarkin, Kernberg, & Yeomans, 2006), e rappresenta la base della teoria psicoanalitica contemporanea che parte dalle relazioni oggettuali (Kernberg, 1984), e utilizza le recenti ricerche in area evolutiva e neurobiologica (Clarkin & Posner, 2005) per relazionarsi al paziente.

Il lavoro di Kernberg si fonda sulla convinzione che la psicopatologia della personalità sia determinata dalle strutture psichiche derivanti da esperienze affettive con oggetti significativi primari. Le strutture mentali sono configurazioni relativamente stabili di processi psichici, derivanti da differenti relazioni oggettuali interiorizzate. L’organizzazione strutturale stabilizza l’apparato psichico, determinando una mediazione tra fattori eziologici e le dirette manifestazioni della malattia e del comportamento. I fattori che predispongono alla malattia interagiscono con le strutture psichiche e ne determinano i sintomi osservabili (Kernberg, 1984).

La psicopatologia, dunque, deriverebbe da una serie di strutture sottostanti la psiche che determinano e sostanziano i sintomi stessi provocando disagio.

Kernberg ha coniato il termine “diagnosi strutturale” per definire uno strumento di valutazione del funzionamento mentale basato sull’analisi di tre istanze: Io, Es e Super-Io, unitamente alla descrizione delle strutture mentali che si manifestano in seguito agli esiti delle relazioni oggettuali interiorizzate. La diagnosi strutturale è costituita sostanzialmente dal colloquio focalizzato all’individuazione dei sintomi, dei conflitti o delle difficoltà presentate dal paziente a partire dalla’interazione duale con il terapeuta.

L’obiettivo del clinico, per Kernberg, è evidenziare i principali conflitti individuabili attraverso il racconto del soggetto per far emergere l’organizzazione strutturale predominante che caratterizza il funzionamento psichico del paziente.

Organizzazioni di personalità secondo la teoria di Kernberg

Con organizzazioni di personalità non si intendono dei veri e propri quadri sintomatologici, ma differenze psico-strutturali che caratterizzano una modalità di funzionamento intrapsichico stabile del soggetto. Esse sono determinate da specifici parametri:

1. L’integrazione dell’identità, ovvero la continuità temporale e affettiva che il paziente ha di se stesso e degli altri. Se si hanno delle relazioni sane con delle persone significative si manifesta una stabilità mentale e rapporti profondi, caratterizzati da calore ed empatia. La dispersione dell’identità, al contrario, consiste in un concetto di Sé mal integrato in relazione agli altri significativi. Si manifesta, di conseguenza, con un comportamento contraddittorio, che non può essere integrato, o attraverso percezioni superficiali, piatte e impoverite degli altri. Un criterio estremamente importante per la valutazione dell’identità sono le manifestazioni non specifiche di debolezza dell’Io, ovvero lo scarso controllo dell’angoscia e degli impulsi e la mancanza di canali sublimatori maturi.

2. L’organizzazione difensiva, ovvero i meccanismi di difesa, sono operazioni mentali più o meno consapevoli volti a risolvere un conflitto emotivo intra o extra psichico. Questi modi di organizzarsi della mente sono più o meno stabili e determinano il modo del soggetto di trattare situazioni che lo coinvolgono emotivamente. I meccanismi di difesa immaturi detti anche primitivi si caratterizzano per una scarsa capacità di riflettere e accettare i propri conflitti psichici, tipici di modalità infantili di funzionamento mentale. Essi derivano dalla scissione delle rappresentazioni di sé e dell’altro in conflitto tra loro che non sono integrate dalla mente dell’individuo, ma parzialmente negate alla consapevolezza. Le difese mature, invece, sono le strategie psichiche più creative e funzionali per trattare i conflitti emotivi ed affettivi, denotano una capacità del soggetto di tollerare i propri sentimenti contradditori e ambivalenti e di trovare soluzioni di compromesso. Le difese mature consentono una visione della realtà adeguata e non ne comportano una massiccia distorsione. Le principali difese mature sono la rimozione, lo spostamento, la formazione reattiva, l’intellettualizzazione, l’isolamento, la razionalizzazione e l’annullamento retroattivo.

3. L’esame di realtà si definisce come la capacità di differenziare il Sé dal non Sé, in relazione alle norme sociali condivise. Dal punto di vista clinico, un adeguato esame di realtà è costituito da: assenza di sintomi psicotici, assenza di affetti, contenuti di pensiero e atteggiamenti inappropriati o bizzarri, capacità di provare empatia nei confronti di chi conduce il colloquio, interagendo in maniera collaborativa e adeguata. In caso ci fosse una compromissione dell’esame di realtà il soggetto perde la capacità di percepire adeguatamente il mondo esterno e ne altera il rapporto sulla base di una sua visione soggettiva. La manifestazione di diversi sintomi psichici sono la chiara evidenza della presenza della perdita dell’esame di realtà.
Di seguito, saranno presentate le tre organizzazioni di personalità in relazione ai rispettivi criteri sopra menzionati.

L’organizzazione psicotica di personalità

Secondo Kernberg l’organizzazione psicotica di personalità è caratterizzata dalla scarsa integrazione delle immagini di sé e dell’altro, da un uso massiccio di meccanismi di difesa centrati sulla scissione e dalla perdita dell’esame di realtà. Le difese immature utilizzate dall’organizzazione psicotica hanno come scopo quello di mantenere separate le rappresentazioni buone da quelle persecutorie poiché queste ultime potrebbero annientare e distruggere le immagini interne idealizzate. Le difese messe in atto consentono di proteggere la persona da una parte buona dei propri oggetti interni. La struttura psicotica è caratterizzata principalmente dalla presenza di deliri e di allucinazioni e la perdita dell’esame di realtà è la manifestazione della loro indifferenziazione interna, tra rappresentazioni di sé e rappresentazioni dell’altro, in presenza di affetti ed emozioni particolarmente intensi. L’organizzazione strutturale psicotica è tipica dei pazienti che presentano una schizofrenia o altra forma psicotica.  L’angoscia interna, in questo caso, è talmente pervasiva da inondare l’Io, le difese, allora, servono a proteggere il paziente dalla disintegrazione totale e dalla fusione tra il Sé e l’oggetto.

L’organizzazione borderline di personalità

Il soggetto è caratterizzato da un’identità diffusa, rappresentata dal fatto che gli aspetti contraddittori del Sé e degli altri significativi sono tenuti separati; inoltre l’immagine e la percezione di Sé appaiono instabili e soggetti a frequenti fluttuazioni, e si presenta un esame di realtà compromesso in alcune situazioni emotivamente intense, stressanti o conflittuali. Il funzionamento dell’Io è intermittente, discontinuo e caratterizzato da una notevole debolezza che si evince dall’incapacità di controllare l’angoscia e gli impulsi. I meccanismi di difesa sono prevalentemente arcaici e sono: scissione, proiezione, idealizzazione e svalutazione, negazione, acting-out, identificazione proiettiva. Secondo Kernberg, il meccanismo di difesa, maggiormente agito dalle persone con questa organizzazione di personalità, è l’identificazione proiettiva, una difesa complessa caratterizzata da tre momenti e basata sul fatto che aspetti propri sono disconosciuti e attribuiti a qualcun altro, ma in maniera differente rispetto alla semplice proiezione.

Nella relazione terapeutica le tre fasi si succedono in questo modo:
1. Il paziente proietta sul terapeuta una rappresentazione del Sé o dell’oggetto.
2. Il terapeuta si identifica, inconsciamente, con quanto proiettato, e si comporta in maniera conformemente alla rappresentazione proiettata.
3. Il terapeuta elaborato il materiale proiettato, lo interpreta e, in seguito, lo restituisce al paziente che lo reintroietta. Alla base del processo di identificazione proiettiva è presente il desiderio inconscio di sbarazzarsi di una parte di sé e di metterla dentro a qualcun altro, proiettando fuori di sé parti definite “cattive”, che teme possano distruggere le altre parti “buone” del sé. Kernberg sostiene che la presenza di conflitti d’origine pulsionale, causati da una relazione oggettuale caotica tra il caregiver e il bambino, porterebbero alla messa in atto del meccanismo di scissione.

Kernberg, inoltre, sottolinea che il principale problema difensivo di questa organizzazione è l’assenza di integrazione tra le immagini primitive scisse del Sé e dell’oggetto, ovvero una separazione delle relazioni oggettuali interiorizzate in buone e cattive. Il meccanismo di scissione utilizzato dai pazienti con disturbo borderline, permette di tener separati stati contraddittori dell’Io, legati alle originarie relazioni d’oggetto. L’immagine di Sé e dell’oggetto nel paziente borderline, sono sufficientemente differenziate, contrariamente a quanto avviene nelle psicosi, il che consente di mantenere l’integrità dei confini dell’Io in quasi tutte le aree esistenziali. Tali confini diventano, però, più sfumati o assenti, nel momento in cui il soggetto mette in atto l’identificazione proiettiva e la fusione con oggetti idealizzati. Le immagini dell’oggetto dicotomiche e l’incapacità dei pazienti borderline di integrarle, non permettono all’individuo di portare funzionalmente a termine il processo di strutturazione del Super-Io.

L’organizzazione nevrotica di personalità

L’organizzazione nevrotica della personalità è caratterizzata da un’identità non diffusa, dall’uso di meccanismi di difesa maturi centrati sulla rimozione e presentano un saldo rapporto con la realtà. Sono individui capaci di relazioni profonde, che hanno una certa forza dell’Io che gli permette di tollerare l’angoscia e di sublimare i propri impulsi. Sono persone spesso efficaci e creative sul lavoro e hanno la capacità di integrare amore e sessualità. La loro vita è a volte disturbata da sensi di colpa inconsci che possono essere connessi all’intimità sessuale. Questo tipo di struttura spesso si ritrova in manifestazioni cliniche quali: le personalità isteriche, depressivo-masochistiche, ossessive, evitanti e fobiche. A volte, si incontrano casi che presentano inibizioni o fobie specifiche e problemi relazionali di varia gravità che si evincono attraverso i cosiddetti sintomi negativi, ovvero ritiro affettivo, apatia, abulia, autismo.

Il colloquio strutturale

Kernberg ha illustrato puntualmente le fasi di conduzione del colloquio diagnostico strutturale, la cui utilità risiede principalmente nella possibilità di ottenere una precisa diagnosi in relazione alle organizzazioni di personalità fornendo, nel contempo, indicazioni importanti ai fini della prognosi e della terapia stessa. Inoltre, il colloquio diagnostico strutturale è indice del grado di motivazione del paziente, della sua capacità di introspezione e collaborazione al trattamento psicoterapico.

Fasi della terapia

1. Indagine iniziale, consiste nel riassumere in breve i motivi per cui il paziente intende intraprendere il trattamento, le sue aspettative al riguardo e la natura dei suoi sintomi, problemi o difficoltà predominanti.

2. I sintomi chiave, il terapeuta si concentra sui sintomi significativi che emergono durante il colloquio, esplorandoli quando appaiono, e può operare interventi di chiarificazione, messa a confronto e interpretazioni. Lo scopo è far emergere le modalità relazionali del paziente, così come si manifestano in seduta, e nel metterle progressivamente in evidenza con continue interpretazioni del transfert, cioè mostrando il meccanismo intrapsichico che sottende il comportamento e le emozioni del soggetto.

3. Indagine dei tratti patologici del carattere, il terapeuta indaga la vita e le relazioni significative del paziente.

4. Fase conclusiva, finita l’indagine è possibile giungere a una diagnosi strutturale dell’organizzazione di personalità che, successivamente, deve essere restituita al paziente.

Quindi, il colloquio diagnostico strutturale proposto da Kernberg per la comprensione dell’organizzazione della personalità consente di arricchire la classica diagnosi differenziale psichiatrica evidenziando, ai fini diagnostici e di trattamento successivo, l’importanza di considerare il paziente in relazione alla qualità delle relazioni oggettuali interiorizzate e alla modalità con cui descrive se stesso e le persone a lui significative.

La terapia focalizzata sul transfert

La psicoterapia focalizzata sul transfert (TFP) è stata sviluppata da Kernberg e dai sui collaboratori per il trattamento di pazienti con gravi disturbi di personalità. Essa ha una cadenza bisettimanale ed è stata principalmente usata con i pazienti affetti da disturbo Borderline di personalità.
La terapia inizia con la formulazione del contratto terapeutico, risultato dei colloqui introduttivi strutturali in cui il paziente risulta inquadrato secondo un’organizzazione di personalità. Le percezioni distorte di sé, degli altri e degli affetti sono al centro del trattamento nel momento in cui emergono nella relazione con il terapeuta, ovvero si manifesta il transfert.

Lo scopo è integrare le parti scisse di rappresentazioni di sé e di oggetti e l’interpretazione coerente di queste percezioni distorte è considerata il meccanismo del cambiamento.

Il trattamento si focalizza sul transfert, perché si ritiene che i pazienti manifestino le loro percezioni diadiche non solo nella vita di tutti i giorni, ma anche nelle interazioni che hanno con il terapeuta. La TFP si concentra sull’uso delle comunicazioni paziente-terapeuta per aiutare il paziente ad integrare queste diverse rappresentazioni di sé, sviluppando metodi migliori di autocontrollo.

Realizzato in collaborazione con la Sigmund Freud University, Università di Psicologia a Milano

Sigmund Freud University - Milano - LOGORUBRICA: INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Clarkin, JF, Levy, KN, Lenzenweger, MF e Kenberg, OF (2007). Valutazione di tre trattamenti per disturbo borderline di personalità: uno studio a onda multipla. The American Journal of Psychiatry, 164, 922-928.
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  • Clarkin, JF, Yeomans, FE, e Kernberg, OF (2006). Psicoterapia per personalità borderline. Concentrandosi sulle relazioni oggettuali. Washington, DC: American Psychiatric Publishing.
  • Kernberg, O. F. (1984), Disturbi gravi della personalità, Bollati Boringhieri, Torino, 1987.
  • Kernberg, O. F. (1992), Aggressività, disturbi della personalità e perversioni, Cortina, Milano, 1993.
  • Kernberg, O. F. (1995), Relazioni d’amore. Normalità e patologia, Cortina, Milano, 1996.
  • Kernberg, O. F. (2005), Narcisismo, aggressività e autodistruttività nella relazione psicoterapeutica, Cortina, Milano, 2006.
 
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