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Narcolessia

Quali sono le implicazioni psicologiche, emotive e sociali della narcolessia e i trattamenti ad oggi disponibili per intervenire sul disturbo?

Sezione a cura di Giorgia Simoncini Malucelli

Aggiornato il 24 gen. 2024

Cos’è la narcolessia?

Attacchi di sonno irresistibili, rapide transizioni dalla veglia al sogno, visioni e allucinazioni, improvviso cedimento del tono muscolare scatenato da forti emozioni. Queste le principali caratteristiche della narcolessia, dal greco nàrcos (torpore) e lexia (sorprendere), la prima malattia del sonno ad essere stata descritta come tale alla fine dell’800 dal celebre medico francese Jean-Baptiste-Èdouard Galineau (Plazzi, 2019) e che già Dante sei secoli prima sembrava narrare nel suo lungo viaggio “pien di sonno” (Plazzi, 2013, Galassi et al., 2016).

La narcolessia che sopraggiunge in età pediatrica ha spesso un’influenza molto significativa sullo sviluppo emotivo, sul funzionamento sociale e sulla qualità di vita di chi ne soffre (Rocca et al., 2016; Szakacs et al., 2019; Simoncini Malucelli et al., 2023). 

La narcolessia di tipo 1

La narcolessia di tipo 1 (NT1) fa parte di quei disturbi del sonno definiti ipersonnie primarie del sistema nervoso centrale (ICDS-3, 2014). 

La definizione che meglio identifica la narcolessia è ancora oggi quella del neurologo Nathaniel Kleitman che nel libro “Sleep and Wakefulness”, primo grande volume interamente dedicato alla medicina del sonno, la descrive come “una malattia caratterizzata dalla mancanza di chiari confini tra la veglia e il sonno” (Kleitman, 1963).

Tra i sintomi fortemente invalidanti che la caratterizzano vi è un’eccessiva sonnolenza diurna (con brevi periodi di sonno ristoratore in cui rapidamente compare la fase di sonno REM) e intrusioni del sonno REM durante la veglia e durante le fasi di transizione sonno-veglia (“REM dissociato”) ovvero paralisi del sonno, allucinazioni ipnagogiche ed episodi di cataplessia (improvviso cedimento muscolare del volto o di tutto il corpo pur rimanendo coscienti) (Kornum et al., 2017).

Questa rara e ancora altamente sottodiagnosticata malattia neurologica colpisce circa 4 persone su 10.000 e l’esordio può avvenire sin dall’infanzia (Longstreth Jr. et al., 2007, Thorpy & Krieger, 2014).

Sebbene sia stato dimostrato il ruolo di fattori genetici, infiammatori ed ambientali, l’eziologia della narcolessia di tipo 1 non è ancora nota. Tuttavia, oggi sappiamo che la NT1 è legata a un deficit ipotalamico di ipocretina. Il meccanismo tramite il quale avviene la distruzione dei neuroni orexinergici non è ancora del tutto chiaro. L’associazione con particolari aplotipi dell’allele HLA (HLA-D-QB1*06:02) e la comparsa di alcuni casi in stretta associazione temporale con particolari infezioni (es. Streptococco o virus H1N1) o con vaccinazioni (Pandemrix), hanno fatto ipotizzare che si tratti di un processo autoimmune (Singh et al., 2013; Mahlios et al., 2013; Partinen et al., 2014). Al centro della ricerca attuale è la possibile mutazione dei linfociti T, come causa della reazione autoimmune che  provoca la  distruzione delle cellule secernenti orexina (Moresco et al., 2018; Latorre et al., 2018; Lippert et al., 2019; Pedersen et al., 2019).

La grande sovrapposizione tra narcolessia e problemi psicologici, nonché il possibile coinvolgimento del sistema ipocretinergico nei disturbi psichiatrici, genera molti quesiti. Primo fra tutti quello che cerca di comprendere se il multiforme quadro psicologico dei narcolettici possa essere considerato una disfunzione intrinseca, reattiva alla diagnosi, o una vera e propria comorbilità psichiatrica (Pizza et al., 2014; Chen et al., 2015). 

Implicazioni psicologiche, emotive e sociali della narcolessia in età pediatrica

Gli studi presenti in letteratura, che hanno utilizzato test standardizzati per indagare le diverse aree del funzionamento psicosociale dei giovani narcolettici, evidenziano una discreta compromissione nella sfera emotiva, comportamentale e sociale.

Fra questi, un interessante studio pubblicato su Sleep” nel 2016 da Rocca e colleghi ha indagato aspetti emotivo-comportamentali e qualità della vita in un gruppo di giovani narcolettici evidenziando la presenza di un maggior rischio psicopatologico per questi pazienti. È stato osservato che i bambini con narcolessia di tipo 1 possono mostrare irrequietezza, iperattività, irritabilità, disregolazione emotiva, aggressività, distraibilità e impulsività sia durante il giorno che prima di andare a letto (Rocca et al. 2016). Questi comportamenti possono riflettere la risposta esterna del bambino a una sensazione interna di sonnolenza e/o un tentativo di resistere impegnandosi in comportamenti di auto-stimolazione, che potrebbero condurre a una presentazione clinica che si sovrappone al disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) (Modestino & Winchester, 2013; Rocca et al., 2015; Lecendreux et al., 2015; Carls et al., 2020; Hansen et al., 2020; Kim et al., 2020;). L’eccessiva sonnolenza, i disturbi della memoria, i problemi di concentrazione e i comportamenti automatici, specialmente durante attività monotone, sono anche associati e/o possono portare a difficoltà di apprendimento in età scolare (Witmans & Kirk 2002; Nevsimalova, 2009; Morse & Sanjeev, 2018). Spesso si documenta una deflessione del tono dell’umore o una franca depressione, che potrebbe essere causata dalle ripetute difficoltà nel raggiungimento dei livelli di prestazione previsti o desiderati (Guilleminault et al., 2007; Hovi et al., 2022). Uno sfondo distimico, contraddistinto da ritiro e lamentele somatiche, sembrerebbe tipico della narcolessia ad esordio infantile (Rocca et al. 2016). 

Anche un recente studio di Simoncini Malucelli e colleghi pubblicato su Journal of Sleep Research” nel 2023, ha indagato gli aspetti emotivi e comportamentali in bambini e adolescenti affetti da narcolessia di tipo 1 definendone il profilo psicologico

I risultati dello studio confermano che i giovani narcolettici mostrano tratti ansioso-depressivi, difficoltà nel regolare le emozioni, tendenza all’evitamento e alle lamentele somatiche, in un quadro caratterizzato da problematiche scolastiche e sociali. Si riscontrano anche atteggiamenti oppositivo-provocatori, aggressività, iperattività e impulsività, mentre sul versante cognitivo emerge un’alta prevalenza di difficoltà attentive (Simoncini Malucelli et al., 2023).

Da questo studio è emersa anche una maggiore propensione all’ansia nelle pazienti di sesso femminile e sintomi depressivi più evidenti nei pazienti non trattati farmacologicamente (Simoncini Malucelli et al., 2023). Le conseguenze psico-sociali della narcolessia appaiono dunque severe, e includono insuccessi scolastici, disturbi affettivo-comportamentali e una ridotta qualità di vita (Fortuyn et al., 2011; Posar et al., 2014; Rocca et al., 2016, Shelton & Malow, 2017, Szakacs et al., 2019, Simoncini Malucelli et al., 2023). 

Dalla diagnosi alla cura della narcolessia

Per effettuare diagnosi di narcolessia di tipo 1 non vi sono protocolli clinici standardizzati per l’età evolutiva né criteri diversificati rispetto all’età adulta. La diagnosi segue pertanto i medesimi criteri e si basa in primo luogo su una visita neurologica dettagliata, con approfondita raccolta anamnestica e sintomatologica incentrata sulle problematiche ipnologiche (Nevsimalova et al., 2014). In secondo luogo, occorre eseguire una polisonnografia e il test delle latenze multiple dell’addormentamento (MSLT) (Goldbart et al., 2014). In terzo luogo, per una completa procedura diagnostica, in accordo con i criteri stabiliti dall’ultima Classificazione Internazionale dei Disturbi del Sonno (ICDS-3, 2014), è utile effettuare una puntura lombare per determinare il livello liquorale (CSF) di ipocretina-1 e ricercare il marcatore HLA-DQB1*0602 (Mignot et al., 2001).

Una volta effettuata la diagnosi di narcolessia tipo 1 è tuttavia frequente una scarsa accettazione da parte di pazienti e familiari, dal momento che, a causa del significativo gap temporale fra l’esordio dei sintomi e il riconoscimento della patologia, il paziente ha già organizzato la propria vita familiare e sociale, abbandonando spesso obiettivi e desideri personali (Bruck, 2001).

La sintomatologia della NT1, in particolare quando l’esordio avviene in età adolescenziale, può minare fortemente l’autostima di questi ragazzi con conseguenti modificazioni psico-comportamentali. Prima fra tutte la cataplessia che oltre a provocare un forte imbarazzo può portare l’adolescente ad un isolamento sociale, con lo scopo di non esporsi a situazioni emotive particolarmente intense, evitando così di scatenare gli episodi. Frequentemente i ragazzi narcolettici cercano di celare i propri sintomi, come le esperienze allucinatorie, che possono generare dubbi sulla loro integrità psichica. Talvolta negano o si sforzano di combattere la sonnolenza e ciò contribuisce ad aumentare l’irritabilità e la rapida fluttuazione del tono dell’umore (Broughton & Broughton, 1994). 

Dal momento che la narcolessia è una patologia cronica e che non esiste una cura definitiva, il trattamento ad oggi disponibile è di tipo sintomatico e raggiunge la sua massima efficacia quando si combinano indicazioni comportamentali e terapia farmacologica. Alcune ricerche mostrano come la terapia farmacologica, così come l’attivazione di altre misure che aiutano il paziente a perseguire i propri obiettivi e lo supportano nelle relazioni sociali, permette un miglioramento della qualità di vita nei pazienti narcolettici (Daniels et al., 2001; Vignatelli et al., 2004). Altri studi mostrano come il solo trattamento farmacologico non sia sufficiente a migliorare le performance dei pazienti narcolettici, sottolineando la necessità di un approccio di tipo combinato (Brunetti et al., 2023; Simoncini Malucelli et al., 2023).

I pazienti che presentano una sintomatologia lieve (episodi occasionali di paralisi del sonno o di allucinazioni ipnagogiche/ipnopompiche, rari episodi di cataplessia di tipo parziale, lieve sonnolenza diurna) possono non richiedere una terapia farmacologica specifica. Tuttavia, la maggior parte dei pazienti (il 94%) presenta i classici sintomi invalidanti e cronici della narcolessia e necessita di una terapia con farmaci attivanti e anticataplettici (Nishino, 2007). I trattamenti non farmacologici sono regolarmente utilizzati per gestire l’eccessiva sonnolenza diurna, sia in aggiunta alla terapia farmacologica che come trattamento alternativo (Franceschini et al., 2021). Anche se ancora pochi studi dimostrano l’effetto positivo dei napping sulla sonnolenza diurna nei pazienti con narcolessia di tipo 1 (Postigione et al., 2021), l’importanza delle terapie cognitivo-comportamentali (CBT) per il trattamento della narcolessia è pienamente riconosciuto dal punto di vista clinico. Proprio come la terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia cronica (CBT-I), è possibile aiutare chi soffre di narcolessia a identificare e migliorare le proprie credenze disfunzionali sul sonno e sul suo disturbo, a migliorare la comprensione della malattia, la consapevolezza di sé e l’aderenza al trattamento, ad assumere i farmaci al momento opportuno, a mantenere una buona igiene del sonno (es. esercizio fisico, orari di sonno regolari, evitamento di sostanze sedative e di deprivazione di sonno) e a programmare sonnellini diurni per affrontare i propri bisogni psicosociali. Tale modificazione delle abitudini di vita, può ridurre i sintomi e rendere più efficace la risposta alla terapia farmacologica (Thorpy, 2007; Billiard et al., 2006).

La CBT è utilizzata anche per il trattamento della cataplessia, in particolare attraverso la desensibilizzazione sistematica, che aiuta i pazienti a trovare strategie di coping per gestire le proprie emozioni. Questo approccio terapeutico combina tecniche di rilassamento e di esposizione graduale, in modo tale che progressivamente si riduca l’impatto del trigger emotivo scatenante (Franceschini et al., 2021).

Narcolessia e qualità di vita

La narcolessia di tipo 1 pediatrica è associata a un funzionamento ridotto in più domini psicologici che richiedono un approccio e un monitoraggio multidisciplinari. Dato l’impatto del disturbo sulla qualità di vita è possibile ipotizzare un maggior rischio psicopatologico nei soggetti con NT1. È pertanto necessario prevedere protocolli di indagine e di intervento che focalizzino l’attenzione sulle possibili componenti psichiatriche e che prevedano azioni a carattere psico-educativo e cognitivo-comportamentale rivolte ai minori in modo diretto, in associazione al trattamento farmacologico loro dedicato, ma anche alle loro figure di riferimento nei diversi ambiti. In tal modo sarà possibile creare un contesto entro il quale ci sia una maggiore regolazione della sintomatologia e dei suoi esiti. Contromisure tempestive e mirate possono dunque migliorare la qualità della vita di questi pazienti, ridurre il carico di malattia e prevenire conseguenze psichiatriche.

Sono necessari ulteriori studi per definire il profilo emotivo e cognitivo della NT1 e i suoi fattori causali nei bambini, chiarendo se la NT1 può costituire un fattore di rischio psichiatrico o una semplice comorbilità. 

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