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Infiammazione nei disturbi mentali. Un ponte tra corpo, mente e ambiente

Innescata da un patogeno o da una lesione tissutale, l’infiammazione è rilevante per la psicopatologia poiché può nascere anche dopo stressor psicosociali

Di Alberto Misitano, Rosita Borlimi

Pubblicato il 18 Lug. 2022

Aggiornato il 22 Lug. 2022 12:06

Sono sempre più numerose le prove che disconfermano il dualismo cartesiano mente-corpo. Tra queste, particolarmente promettenti sembrano quelle derivate dagli studi sul ruolo del sistema immunitario nei disturbi mentali. Per la psicopatologia, infatti, si sta rivelando sempre più importante un processo in particolare: l’infiammazione.

 

Introduzione

Con Cartesio ha avuto concreta concettualizzazione una visione di corpo e mente come nettamente separati tra loro. Tuttavia, sono sempre più numerose le prove che disconfermano tale dualismo ed evidenziano come in realtà mente e corpo costituiscano due componenti fortemente interdipendenti di un unico sistema, il quale a sua volta si trova in costante relazione con l’ambiente circostante. Tra queste, particolarmente promettenti sembrano quelle derivate dagli studi sul ruolo del sistema immunitario nei disturbi mentali (Bullmore, 2018/2019).

Semplificando molto, si può definire il sistema immunitario come l’insieme di molecole, cellule e tessuti che hanno la funzione di distinguere il “sé” dal “non-sé”, permettendo quindi la difesa (ovvero, l’immunità) dell’organismo dalle aggressioni esterne. Tale difesa è chiamata “innata” nel momento in cui si parla dei processi difensivi aspecifici disponibili fin dalla nascita, e “adattativa” in riferimento ai meccanismi che difendono l’organismo attraverso la produzione di cellule specifiche per il patogeno in questione (Abbas et al., 2016; McComb et al., 2019). Per la psicopatologia, si sta rivelando sempre più importante un processo in particolare: l’infiammazione.

L’infiammazione è un processo fondamentale della reazione immunitaria innata, con la principale funzione di isolare i patogeni entrati nell’organismo, convogliare localmente i mezzi necessari per combattere l’infezione, e riparare i tessuti una volta che tale infezione si è conclusa. Questo processo è suddivisibile in quattro parti: (1) componenti che rilevano una minaccia (gli “induttori”, come i pathogen- [PAMPs] o i damage-associated molecular patterns [DAMPs]); (2) sensori che rilevano il segnale prodotto dagli induttori (come i recettori Toll-like [TLRs]); (3) sostanze che mediano il segnale e permettono la comunicazione tra le varie componenti del sistema immunitario, come le citochine o la proteina c-reattiva (CRP); (4) tessuti-bersaglio, tipicamente cuore, fegato e/o cervello (Bauer e Teixeira, 2019).

Sebbene tipicamente innescata dall’intrusione di un patogeno all’interno dell’organismo e/o da una lesione tissutale, l’infiammazione è rilevante per la psicopatologia poiché può anche nascere dopo stressor psicosociali, i quali, visti gli stretti legami tra sistema immunitario, sistema nervoso centrale e asse ipotalamo-ipofisi-surrene, attivano componenti come i DAMPs e, a cascata, tutto il processo infiammatorio (Bauer e Teixeira, 2019). Ciò, in assenza di uno specifico patogeno, può indurre la cosiddetta “infiammazione sterile”, di carattere cronico e sistemico, e connessa nel lungo periodo ad alterazioni nella neurogenesi e nella plasticità sinaptica a livello del cervello, le quali a loro volta comportano assottigliamento corticale, alterazioni funzionali, deficit cognitivi, e problemi mentali (Bauer e Teixeira, 2019; Furman et al., 2019; Lee et al., 2022; McComb et al., 2019).

L’infiammazione nei disturbi mentali

Alla luce degli studi appena citati, è comprensibile che l’infiammazione costituisca un’importante area di studio per la psicobiologia. In particolare, la letteratura in merito si è concentrata su citochine e CRP.

Come detto, le citochine rappresentano un insieme di segnali per la comunicazione tra cellule immunocompetenti e sono divisibili in due “famiglie”: pro-infiammatorie (che aumentano l’infiammazione), come le interleuchine [IL-]1β e IL-6, il fattore di necrosi tumorale alpha (TNF-α), e l’interferone gamma (IFN-γ); e anti-infiammatorie (che riducono i livelli infiammatori), come la IL-10 e il fattore di crescita trasformante beta (TGF-β). Inoltre, la CRP è usata come indice infiammatorio in quanto è sintetizzata nel fegato in risposta a un aumento delle citochine pro-infiammatorie, come IL-6 e TNF-α (Abbas et al., 2016; McComb et al., 2019; Miola et al., 2021; Serafini et al., 2020).

Alterazioni nei livelli di citochine e di CRP sono stati riscontrati in vari disturbi mentali, quali: schizofrenia (Dawidowski et al., 2021), disturbo bipolare (DB; Solmi et al., 2021), depressione (Enache et al., 2019), ansia generalizzata e panico (Costello et al., 2019; Liu et al., 2021), disturbo da stress post-traumatico (DSPT; Peruzzolo et al., 2022; Yang e Jiang, 2020), disturbi dissociativi e da sintomi somatici (Paredes-Echeverri et al., 2022; Roydeva e Reinders, 2021), anoressia nervosa (Dalton et al., 2018), Alzheimer, Parkinson e Huntington (Krance et al., 2021; Mukherjee, 2021; Su et al., 2019; Zhang e Gao, 2022). Ad esempio, la meta-analisi di Yang e Jiang (2020) ha mostrato uno stato pro-infiammatorio sistemico nei pazienti con DSPT, indicato da livelli significativamente più alti di TNF-α, IFN-γ e CRP, anche rispetto a controlli sani esposti a traumi. In aggiunta, Solmi e colleghi (2021) hanno riscontrato livelli significativamente maggiori di IL-6, CRP e TNF-α nei pazienti con disturbo bipolare rispetto ai controlli; oltretutto, mentre i livelli di CRP e TNF-α rimanevano alti solo negli episodi dell’umore (sia depressivi sia maniacali), i livelli di IL-6 rimanevano stabilmente elevati anche nei periodi eutimici, il che potrebbe rendere IL-6 un candidato come marcatore di tratto per il disturbo bipolare.

Per altri disturbi, come quelli del neurosviluppo o dello spettro ossessivo-compulsivo, i risultati sono contrastanti o contraddittori. Ad esempio, mentre sembrano esserci dati che supportano una relazione fra autismo e infiammazione (Han et al., 2022; Horiuchi et al., 2021), la letteratura non supporta la relazione, o è troppo scarsa per poterlo fare, per quanto concerne il disturbo ossessivo-compulsivo (Cosco et al., 2019), il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (Saccaro et al., 2021), o la sindrome di Tourette (Lamothe et al., 2021).

Inoltre, diversi studi hanno indicato alterazioni infiammatorie connesse ad aspetti transdiagnostici, come l’esposizione a un trauma (Fernández-Sevillano et al., 2021; Lippard e Nemeroff, 2020) o il rischio suicidario (pur controllando per la depressione; Fernández-Sevillano et al., 2021; Miola et al., 2021; Serafini et al., 2020; Vasupanrajit et al., 2021, 2022).

Conclusioni

Dati recenti supportano l’ipotesi dell’esistenza di una relazione tra infiammazione e disturbi mentali. Benché per alcune diagnosi (ad esempio autismo o DSPT; Han et al., 2022; Lee et al., 2022) l’infiammazione sembra persino centrale nell’eziopatogenesi, i dati attuali sono principalmente correlazionali, e ciò non permette di stabilire un nesso causale. Futuri studi, soprattutto longitudinali, potranno gettare luce sulla questione, forse anche grazie a dati (ad esempio, una maggior incidenza di ansia, depressione e rischio suicidario) provenienti dagli studi su pazienti con patologie di origine autoimmune o virale, Sars-CoV-2 compreso (Boeschoten et al., 2017; Conejero et al., 2021; Farooqi et al., 2022; Kappelmann et al., 2021; Li et al., 2018; Moustafa et al., 2020; Smyrke et al., 2022; Welcome e Mastorakis, 2021).

 

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