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Neuroplasticità

Una maggiore comprensione della neuroplasticità può contribuire ad accrescere le conoscenze su come potenziare abilità cognitive e somato-sensoriali o compensare abilità deficitarie a seguito di danno o deterioramento.

Aggiornato il 20 set. 2023

Il termine neuroplasticità, o plasticità cerebrale, indica la capacità del sistema nervoso di modificare i propri circuiti, sia dal punto di vista strutturale che da quello funzionale, sulla base dell’esperienza al fine di apprendere informazioni sull’ambiente, oppure per riparare o compensare danni cerebrali (Crespi & Cirillo, 2022).

Si potrebbe quindi parlare di “mappe” soggette a modificazioni sulla base dell’esperienza esterna (segnali afferenti visivi, uditivi, somatosensoriali, ecc.) o di cambiamenti dell’ambiente interno (lesioni cerebrali, patologie focali e patologie diffuse).

La neuroplasticità costituisce un interessante meccanismo del funzionamento cerebrale e una sua maggiore comprensione può contribuire ad accrescere le conoscenze sul sistema nervoso e sulle possibilità di intervento per potenziare abilità cognitive e somato-sensoriali o per compensare abilità deficitarie a seguito di danno o deterioramento.

Come funziona la neuriplasticità del cervello

La capacità neuroplastica del cervello permette al sistema nervoso di riorganizzare la sua struttura, le sue connessioni e il suo funzionamento.

Come funziona questo processo?

Una coppia o un gruppo di neuroni possono rafforzare le loro interconnessioni nel momento in cui sono attivi ripetutamente nello stesso momento, ovvero in maniera sincrona. Questo principio è anche noto come legge di Hebb, che può essere riassunta dall’espressione “what fires together, wires together” (Crespi & Cirillo, 2022): la trasmissione sinaptica tra neuroni è facilitata ogni volta che un circuito nervoso è frequentemente attivato e neuroni pre e post sinaptici sono attivati simultaneamente.

Neuroplasticità e apprendimento

In passato si riteneva che la plasticità fosse limitata a periodi specifici dello sviluppo e che oltre tali periodi le capacità acquisite non potessero più essere modificate. Effettivamente la plasticità cerebrale varia durante il corso della vita ed è massima in specifiche finestre temporali, note come periodi critici. In questi periodi è necessario che l’individuo venga esposto all’esperienza sensoriale per poter stabilire rappresentazioni corticali ottimali: infatti, dopo la chiusura di tali periodi critici, una serie di elementi funzionali e strutturali impedisce significativi cambiamenti plastici nel cervello. Il passaggio da uno stato plastico a uno più fisso è vantaggioso in quanto consente il consolidamento e il mantenimento di più complesse funzioni percettive, motorie e cognitive, ma, se l’esperienza sensoriale è anormale o assente, possono esserci significativi effetti negativi, come la mancata acquisizione di abilità sensoriali e cognitive (Cisneros-Franco et al., 2020).

Neuroplasticità ridotta

La riduzione di questa flessibilità a livello cerebrale è dovuta al processo di apoptosi, cioè la morte cellulare programmata, nella quale le cellule che non sono rilevanti per una certa abilità cognitiva localizzata in una precisa area cerebrale vengono eliminate. Il momento in cui ciò avviene è determinato da un orologio biologico che stabilisce quando una certa area tende a maturare. Come detto sopra, l’assenza o la modificazione delle stimolazioni può causare la mancata acquisizione di una funzione.

Un esempio esplicativo di questo meccanismo è quello di Hubel e Wiesel (1977), che svolsero esperimenti su alcuni animali: hanno testato gli effetti della cucitura della palpebra di gatti e scimmie neonate e, quindi, la mancata esposizione della retina a stimolazioni esterne. Se ciò perdurava oltre il terzo mese (periodo critico), si verificava una cecità irreversibile dell’animale, con un deficit irreversibile della maturazione della corteccia occipitale; se invece le palpebre venivano scucite entro uno o due mesi, l’animale era in grado di acquisire le abilità visive.

Neuroplasticità in età adulta

Nonostante il cervello sia più plastico durante lo sviluppo, è stato dimostrato che anche la corteccia cerebrale dell’adulto ha una certa potenzialità di riorganizzazione plastica.

Negli esseri umani è possibile osservare come danni cerebrali causino la morte cellulare e la compromissione dei circuiti funzionali. Le aree che circondano il tessuto e che erano precedentemente connesse a quelle danneggiate, sono soggette a processi rigenerativi che possono portare a un certo grado di recupero funzionale. Si parla quindi di plasticità funzionale: i circuiti esistenti vengono riadattati in modo da compensare almeno in parte il deficit conseguente alla lesione. Si definisce invece plasticità neuroanatomica il processo per cui i neuroni sopravvissuti nell’area danneggiata tendono a creare nuove connessioni con il tessuto nervoso circostante.

La plasticità può essere riscontrata anche negli individui adulti senza lesioni cerebrali, ad esempio nell’apprendimento di nuove abilità per effetto di esercizio ripetuto e continuato, che coinvolgono una parte specifica del corpo, determinando un ampliamento della rappresentazione di quel distretto corporeo nella corteccia somatosensoriale e motoria. Un esempio molto esplicativo di questo meccanismo è quello dello studio svolto da Woollett e Maguire (2011) sui tassisti londinesi: l’ippocampo posteriore, implicato nelle conoscenze visuo-spaziali deputate alla navigazione, è risultato di volume maggiore nei tassisti e l’ampiezza di tale struttura cerebrale è risultata crescere con l’aumento progressivo dell’esperienza come tassista.

Infine, con l’avanzare dell’età, il cervello subisce modificazioni in diverse aree cerebrali, con conseguente deterioramento delle corrispondenti funzioni cognitive. Per intervenire su questo processo possono essere praticati alcuni training specifici, che possono riguardare diverse funzioni. Essendo la memoria una delle facoltà che maggiormente si deteriora, è stato dato molto spazio ai training di memoria, che mirano ad aumentare la plasticità facendo utilizzare alla persona varie strategie (es. l’associazione, la categorizzazione, i metodi immaginativi ecc.) per migliorare i processi di codifica e recupero. Questi training si basano sull’assunto per cui la cognizione, così come il cervello, sono plastici anche in età avanzata seppure in maniera minore rispetto all’età infantile; il cervello anziano, infatti, tende a riorganizzarsi in modo da far fronte al deterioramento cerebrale dovuto all’avanzare dell’età (Camiscia, 2022).

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