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Separazione come disgregazione, conflitto e figli

Ciò che si rileva in merito alle separazioni e divorzi è la portata sempre maggiore della loro problematicità e della loro complessità.

Di Silvia De Napoli

Pubblicato il 08 Lug. 2020

Nell’epoca contemporanea le separazioni e i divorzi sono considerate esperienze fisiologiche della vita, viene normalizzato dalla frequenza con la quale lo si riscontra nella popolazione, seppur resta un evento critico che le famiglie attraversano.

 

Secondo i dati ISTAT, nel 2014 le separazioni sono state 89.303 e i divorzi 52.335, a fronte della celebrazione di 189.765 matrimoni. In media, leggiamo nelle statistiche, le separazioni avvengono dopo 16 anni di matrimonio, ma si è osservato che i matrimoni più recenti durano sempre meno.

Ciò che si rileva in merito alle separazioni e ai divorzi è la portata sempre maggiore della loro problematicità e della loro complessità.

Infatti, se da una parte possiamo ritenere un evento sempre più “normale” all’interno della nostra società l’evento disgregativo della famiglia, da un punto di vista intimo, soggettivo, resta un evento traumatico. Nel processo che conduce una coppia a dividersi è insito il conflitto, che rappresenta un elemento sano all’interno di una relazione, nel momento in cui aiuta le persone ad esprimere le proprie esigenze e a mediarle con l’altro. In sempre più casi il conflitto diviene territorio di divisione e non di mediazione.

Qualche accenno sintetico alla cornice legislativa all’interno del quale contestualizzare le nostre riflessioni pare doverosa.

La Costituzione della Repubblica Italiana dedica alla famiglia ben 3 articoli, i quali sanciscono il principio di parità tra i coniugi, le responsabilità genitoriali nei confronti dei figli, anche nati fuori il matrimonio e la tutela del minore da parte dello stato qualora i genitori non riescano a provvedervi:

  • L’art. 29 stabilisce che: La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.
  • L’art. 30 stabilisce che: È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.
  • L’art. 31, infine, stabilisce che: La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

I coniugi che decidono di sciogliere il vincolo matrimoniale devono rivolgersi all’istituto giuridico della separazione e del divorzio.

La separazione ha carattere transitorio, in quanto i suoi effetti possono essere fatti cessare in qualsiasi momento; perciò è possibile per i coniugi riconciliarsi, senza per questo attuare qualche formalità. Il sistema giuridico italiano prevede due forme di separazione tra i coniugi: la separazione consensuale e quella giudiziale. Alla separazione giudiziale si ricorre quando i coniugi non riescono a trovare un accordo sui termini della separazione. In questi casi, visti i tempi delle cause civili, il Giudice può adottare dei provvedimenti a tutela del coniuge debole e dei figli. Tale tipologia di separazione può essere trasformata in consensuale in qualsiasi momento del procedimento, mentre non può accadere il contrario.

Nella separazione consensuale i coniugi decidono di separarsi in accordo tra di loro e in accordo rispetto ad elementi quali l’assegnazione della casa familiare, l’affidamento e il mantenimento dei figli e le modalità di frequentazione con gli stessi, l’eventuale somma periodica da corrispondere al coniuge più debole e/o ai figli. In quest’ultimo caso il giudice si limita ad effettuare un controllo di conformità tra quanto stabilito di comune accordo dai coniugi e la normativa, con particolare attenzione alle ricadute sui figli.

È sempre possibile, però, per ciascuno dei genitori, richiedere la modifica dei provvedimenti riguardanti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e le disposizioni relative alla misura e alle modalità del contributo.

Il divorzio rispetto alla separazione è un provvedimento definitivo di scioglimento del legame coniugale, dove cessano tutti i legami legali con il coniuge, se non quelli specificati nel decreto divorzile relativo ai figli, al patrimonio, eventuale assegno divorzile e l’assegnazione dell’abitazione familiare. Anche in questo caso si può effettuare un percorso consensuale, oppure, in caso di disaccordo, di rivolgersi al giudice del Tribunale Ordinario per un divorzio giudiziale, può essere presentato anche da un solo coniuge.

In materia di affidamento solo con la lg n.54 8.02.2006 Disposizioni in materia di separazioni dei genitori e affidamento viene attuato il principio di bigenitorialità, sancito nell’art. 9 della Convenzione di New York:

  1. Gli Stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell’interesse preminente del fanciullo. Una decisione in questo senso può essere necessaria in taluni casi particolari, ad esempio quando i genitori maltrattino o trascurino il fanciullo oppure se vivano separati e una decisione debba essere presa riguardo al luogo di residenza del fanciullo.
  2. In tutti i casi previsti al paragrafo 1 del presente Art., tutte le Parti interessate devono avere la possibilità di partecipare alle deliberazioni e di far conoscere le loro opinioni.
  3. Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo. […].

Con il principio di bigenitorialità si affidano i figli ad entrambi i genitori, ciò è mosso dall’esigenza di tutelare l’interesse del minore e il suo diritto a mantenere rapporti equilibrati con entrambi i genitori, i quali devono collaborare attivamente nella gestione dei figli e nelle decisioni che li riguardano. Il legislatore, attaraverso tale norme ha voluto assicurare che la separazione dei genitori non si trasformi nell’allontanamento dei figli da uno di essi, né dalle relative famiglie d’origine; pertanto la relazione genitore-figlio deve essere tutelata e mantenuta al di là della cessazione della convivenza dei genitori. Solo in casi eccezionali, per la tutela del minore, il giudice può decidere di disporre l’affidamento esclusivo del figlio ad uno dei due, a norma dell’art. 155-bis, in cui è specificato che il Giudice è tenuto a motivare tale disposizione.

Viene da sé che l’applicazione di tale norma necessita di un monitoraggio territoriale per l’interesse del minore, infatti non di rado il Giudice incarica i servizi sociali al monitoraggio delle disposizioni piuttosto che sancisce un momentaneo affidamento del minore al servizio stesso al fine di gestire i conflitti genitoriali e/o situazioni pregiudizievoli.

Ad interesse del minore, il Giudice può rivolgersi ad un CTU piuttosto che ai servizi territoriali che lavorano a sostegno delle famiglie e nella tutela dei minori, quali il Consultorio Familiare, il Servizio per l’Età Evolutiva e i Servizi Sociali del Comune,  in tutte quelle situazioni che richiedono un approfondimento, una valutazione e/o un lavoro di sostegno a favore di nuclei familiari caratterizzati da complessità e conflittualità. Quindi sia in fase valutativa delle risorse sociali, familiari e genitoriali, che in fase post giudiziale, per un sostegno alla genitorialità piuttosto che per interventi terapeutici, possono essere coinvolti al fine di assicurare il miglior intervento possibile per l’interesse del minore.

La Famiglia da contenitore a contenuto

La società così come la conoscevamo, così come è stata pensata dalla Costituzione Italiana, una famiglia patriarcale con precisi ruoli e doveri oggi ha subito una profonda e radicale trasformazione, in cui i ruoli e i doveri tendono a non essere rigidi e a coesistere maggiori parificazioni di doveri tra i coniugi: non si può più parlare di famiglia al singolare ma bensì al plurale. Esistono diverse forme di famiglia: dalle convivenze, alle famiglie ricomposte, monogenitoriali, alle coppie senza figli, alle famiglie con genitori dello stesso sesso e così via.

Da un lato la famiglia perde quell’imprescindibile valore del per sempre, che imponeva parametri standard ai quali ogni membro doveva adeguarsi, in cui i sentimenti non avevano spazio se non all’interno del contenitore “famiglia”. Approda ai giorni nostri a famiglia acquisendo un valore per lo più emotivo, in cui ogni singolo membro apporta il proprio contributo, famiglia è tale se considerata tale dal singolo membro di essa. Di contro la famiglia ha luogo ed esiste fino a che soddisfa il desiderio e i bisogni dell’individuo, il quale singolarmente può decidere di mettervi fine.

I legami familiari vengono vissuti come deboli, cosa che non facilita gli individui nella scelta di un investimento su questi, più sono deboli meno investiamo, riprendendo Bauman

la cultura consumistica tipica dell’odierno mondo occidentale ha contagiato anche i legami affettivi e sentimentali.

Vivendo la contraddizione legata al desiderio di vivere un amore autentico e la paura di un legame esclusivo, stabile e perciò da Bauman definito “Amore liquido”, si consuma come qualsiasi altro prodotto, divenendo fragile e incerto.

I motivi che possono portare una coppia alla separazione e al divorzio possono essere molteplici, spesso uno dei due si rende conto che l’altro ha disatteso le sue aspettative e si vuole riparare attraverso lo scioglimento degli accordi presi.

Il processo di separazione, sia per il coniuge che sceglie tale percorso, che per il coniuge che ne subisce la scelta, è un percorso di sofferenza e rimodulazione della propria identità che fino a quel momento era chiara e definita. La separazione da un coniuge è un momento di grande stress emotivo, lo si può definire un vero e proprio evento traumatico, l’adulto può cogliere questo momento di criticità per crescere nuovamente e ri-generarsi oppure come molto spesso vediamo accadere, nella pratica clinica e giuridica, restare sul dolore attivando una condizione di non risoluzione, in quanto si adoperano tutte le energie in una lotta continua senza possibilità di evoluzione. In questi casi i coniugi non riescono a raggiungere il divorzio psichico, ma si impegnano nella guerra in cui uno dei due deve sconfiggere l’altro punendolo, questo tipo di legame lo definiamo disperante. Il legame disperante non può essere un legame vivo in quanto percepito come distruttivo ma non può neppure essere reciso in quanto vissuto in maniera eccessivamente angosciante.

L’obiettivo di distruggere l’altro prende ogni campo della vita: economico, sociale, familiare e soprattutto filiale.

I figli di queste coppie perdono il loro ruolo di centralità, e iniziano ad assolvere a ruoli che di volta in volto “servono” al genitore, a volte sono ostaggi e strumenti di ricatto o di rivalsa economica, attraverso il mantenimento degli stessi. Le esigenze evolutive dei figli iniziano ad essere sempre più invisibili, questo è tra i fattori di rischio evolutivo, secondo fattore di rischio è rappresentato dall’impossibilità del minore, all’interno di un clima ostile e conflittuale, di esprimere le proprie emozioni ai genitori. Messi al centro del conflitto tra gli adulti di riferimento vengono posti in condizione di scegliere un genitore piuttosto che l’altro, catapultandosi nel caos emotivo tra sensi di colpa, senso di perdita, abbandono e rabbia.

Ci troviamo dinanzi a sempre più figli costretti a scegliere un genitore e a subire l’opera denigratoria non solo del genitore reale, ma anche dell’immagine intera che si ha del genitore, minando quindi l’immagine di sé, l’autostima e la propria base sicura. Il coniuge che ostacola la frequentazione tra l’ex coniuge e il figlio, o il genitore che allenta la frequentazione a causa del conflitto, non solo fa vendetta di sé, ma imprime una ferita interna al figlio che difficilmente sarà risanata da adulto.

In questi scenari di grande conflittualità all’interno dei processi di separazione coniugale non di rado si trovano manifestazioni di rivalsa di ogni genere, ma resta privilegiata la rivalsa sui figli minori, spesso si parla del fenomeno di Alienazione Parentale, riconosciuto a livello giuridico meno da un punto di vista psicologico, infatti anche il DSM non ne dà un riconoscimento a pieno titolo se non nell’ultima versione: il DSM-5 parla di disturbo d’ansia da separazione, tra i problemi legati all’educazione genitoriale, se ne parla come patologia relazionale, quindi non di tipo endogeno ma “iurigena”, legata al coinvolgimento del minore nel procedimento giudiziario.

L’alienazione parentale coinvolge la triade madre-figlio-padre, è più frequente trovare la figura paterna come genitore alienato nella pratica forense.

Prendiamo come riferimento i 12 criteri dell’alienazione parentale di Gardner, ognuno di essi ha un grado lieve, moderato e severo:

  1. Campagna di denigrazione;
  2. Razionalizzazioni deboli, superficiali e assurde per giustificare il biasimo;
  3. Mancanza di ambivalenza;
  4. Fenomeno del pensatore indipendente;
  5. Appoggio automatico al genitore ”amato” e alienante nel conflitto genitoriale;
  6. Assenza di senso di colpa per la crudeltà e/o l’insensibilità verso il genitore alienato;
  7. Presenza di scenari presi a prestito;
  8. Estensione dell’ostilità alla famiglia del genitore odiato;
  9. Difficoltà di transizione al momento delle visite;
  10. Comportamento durante le visite presso il genitore alienato;
  11. Legame con il genitore alienante;
  12. Legame con il genitore alienato (prima che intervenisse il processo di alienazione).

Si tratta di un fenomeno poco studiato per la sua natura privatistica e per la caratteristica soggettiva, in quanto non vi è solo la denigrazione di un genitore sull’altro ma il contributo soggettivo del figlio. Infatti, il minore ascoltato in sede giudiziaria motiverà precisamente il rifiuto di frequentare l’altro genitore, saranno motivazioni solo in apparenza valide, in quanto non auto prodotte ma prese “in prestito” dal genitore alienante. Tale fenomeno crea uno scenario familiare disfunzionale causato dall’instaurazione di un rapporto fusionale tra genitore alienante e figlio, in cui entrambi condizionano l’altro e nessuno sviluppa indipendenza e maturità. Infatti, potremmo affermare che l’efficacia del condizionamento psicologico sui bambini da parte del genitore alienante è inversamente proporzionale alla qualità del rapporto alienato-figli.

Secondo Cavedon (Gulotta, Cavedon e Liberatore, 2008) il genitore alienato presenta questo profilo personologico:

  • essere il responsabile della fine del matrimonio o comunque della relazione;
  • avere un atteggiamento passivo e ambivalente con l’ex partner, oppure aggressivo in questioni relative all’affido, cosi` da poter essere ritenuto la causa di tutti i problemi.

Seguendo le indicazioni di Cavedon e Liberatore (2014), l’alienazione si sviluppa grazie al conflitto di lealtà che il minore mostra nei confronti del genitore alienante, il quale impone al figlio la condivisione del proprio vissuto emotivo nei confronti dell’altro. Il figlio non fa altro che offrire lealtà incondizionata al genitore manipolatore convinto che questi possa prendersi cura di lui e amarlo: più dimostra lealtà nei confronti del genitore alienante, rimuovendo i propri sentimenti nei confronti dell’altro genitore, più aumenta nel bambino la percezione di protezione e tutela.

Il fenomeno dell’alienazione parentale può essere riscontrato, ad oggi, in via esclusivo in sede di CTU, durante l’iter giudiziario relativo all’affidamento dei minori, le indicazioni di intervento vengono quindi normate da una sentenza del tribunale. Nei casi più gravi di alienazione parentale è solito il collocamento del minore in una struttura residenziale protetta dove lo stesso ha l’opportunità di effettuare un proprio percorso evolutivo e psicologico al di fuori di influenze genitoriali, collateralmente permettendo ad entrambi i genitori la possibilità di recuperare le proprie competenze genitoriali da poter sostenere il cambiamento del minore. Questi interventi nell’ottica di un progetto in cui il minore e il suo benessere torna al centro della vita degli adulti.

Ad oggi è ancora poco riconoscibile l’Alienazione Parentale, non consentendo in tempi rapidi un intervento da parte delle autorità Giudiziarie preposte a fare gli intressi del mnore qualora non ne siano in grado i genitori.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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