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La capacità genitoriale nei processi separativi: dal valutare al descrivere

Individuata una possibile definizione di capacità genitoriale si potrebbe procedere ad osservarla attraverso una narrazione condivisa da parte dei genitori

Di Francesca Guglielmetti

Pubblicato il 08 Set. 2021

È ancora consuetudine, nei procedimenti relativi all’affidamento dei figli successivamente alla separazione dei genitori, disporre una consulenza tecnica d’ufficio per una valutazione della capacità genitoriale. A che scopo?

 

Il tetto si è bruciato
ora
posso vedere la luna (Mizuta Masahide)

La psicologia, in maniera diretta o indiretta, si è sempre occupata di figli e genitori.

Occupare è un verbo interessante poiché contempla sia l’essere attivi, la necessità di fare, che la passività propria del mettersi al servizio. Anche l’essere genitore è un po’ questo: essere attivamente al servizio del benessere del figlio.

Quando lo psicologo entra in tribunale in qualità di consulente del giudice nelle controversie relative all’affidamento dei figli è però sollecitato non ad occuparsi ma a valutare.

La separazione tra i genitori contiene in sé sia un elemento di sofferenza che una possibilità evolutiva.

Dal trauma della separazione si dipanano due strade. La prima, lastricata di immutabile dolore, indirizza verso il tetto fumante. La seconda, caratterizzata dall’instabilità propria dei processi evolutivi, offre la possibilità di ammirare la bellezza della luna. La prima strada, fatta di dolorose certezze, si presta alle valutazioni; la seconda, con le sue instabili potenzialità, sollecita ad occuparsi del benessere di genitori e figli lasciando sullo sfondo la necessità di valutare.

Dall’individuazione del genitore affidatario al diritto alla bigenitorialità

La necessità di procedere alla valutazione dei genitori ha fatto il suo ingresso nel nostro ordinamento con la legge 19 maggio 1975, n. 151, Riforma del diritto di famiglia, con cui si sanciva che nel caso di separazione tra i coniugi il superiore interesse dei figli venisse garantito dall’individuare un genitore affidatario, a cui veniva concesso l’esercizio esclusivo della potestà, ed un genitore non affidatario su cui gravava il diritto/dovere di vigilare sull’operato dell’affidatario:

Il coniuge cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della potestà su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i coniugi. Il coniuge cui i figli non siano affidati ha il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse (art. 155 del C.C. modificato dalla legge 151/1975).

Pertanto era compito del giudice sondare le caratteristiche e le capacità di entrambi i genitori e scegliere quello più idoneo a svolgere la funzione di affidatario. Ciò rendeva necessario effettuare sempre e comunque un bilancio di competenze.

Con la legge 8 febbraio 2006, n. 54, Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli il distinguo tra affidatario e non affidatario esce di scena:

Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale (art. 155 del cod.civ. modificato dalla legge 54/2006).

Successivamente con il Decreto Legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219 si chiarisce inoltre che la responsabilità genitoriale, su disposizione del giudice e limitatamente alle questioni di ordinaria amministrazione, può essere esercitata da entrambi i genitori anche separatamente:

Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente (art.55 D.Lgs 154/2013).

Né la legge 54/2006 né le successive modifiche menzionano e nemmeno lasciano intendere che le modalità di affidamento dei figli debbano basarsi sull’individuazione del genitore migliore.

Dopo trent’anni la Legge rinunciava a valutare i genitori e decideva, invece, di occuparsi esclusivamente del benessere dei figli.

Aver individuato come fondamentale il diritto del figlio a mantenere il rapporto con i propri genitori anche successivamente alla rottura del vincolo affettivo tra di loro non avrebbe dovuto far abbandonare l’idea di misurare delle competenze?

La priorità del Legislatore (e dunque del giudice chiamato a mettere in pratica la norma) è quella di garantire il diritto del figlio alla propria imperfetta e scissa famiglia o, ancora una volta, esprimere un giudizio sui genitori?

Sintetizzando: Se la tutela del figlio non passa più attraverso l’individuazione del genitore migliore per quale motivo continuare a valutarli?

Il diritto del figlio tra consolidate prassi ed opportune tutele

Tuttavia è ancora consuetudine nei procedimenti relativi all’affidamento dei figli successivamente alla separazione dei genitori per i quali viene disposta una consulenza tecnica d’ufficio chiedere di procedere ad una valutazione della capacità genitoriale. A che scopo? Mi si potrebbe rispondere che questo accade perché ci si trova dinanzi ad una situazione problematica che necessita di grande attenzione. Potrei ribattere che la cosa avrebbe senso nei procedimenti c.d. ablativi e modificativi della responsabilità genitoriale (art. 330 e 333 cod.civ.) ossia nei casi in cui si deve accertare la presenza di una violazione dei doveri dei genitori nei confronti dei figli o di abuso dei poteri, ove da simili comportamenti possano derivare gravi pregiudizi in capo ai minori.

Potrei ribattere? Pensandoci bene forse no. Iura novit curia (Il giudice conosce le leggi) sussurra il professore di latino del liceo invitandomi al silenzio.

Va bene. Prendete tutto quello che ho scritto fin qui come un mero esercizio di logica astratta, privo di quella competenza giuridica necessaria per poterlo argomentare pienamente.

È tempo di rientrare nel perimetro di una psicologia declinata con la modalità obbediente ed esecutiva che dovrebbe caratterizzare il professionista chiamato dal giudice in qualità di consulente al fine di sostenerlo nel proprio discernimento.

Con tale abito mentale mi rivolgo alle buone prassi nelle quali si specifica che dall’analisi della genitorialità potrebbe derivare sia un affidamento esclusivo (cosa questa che non modifica il diritto del figlio ad avere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori) sia, in casi estremi ritengo, l’esclusione di entrambi i genitori dall’esercizio della genitorialità

(Protocollo di Milano: Linee guida per la consulenza tecnica in materia di affidamento dei figli a seguito di separazione dei genitori: contributi psico-forensi. “Nella valutazione delle capacità genitoriali, per regolare la frequentazione del minore con entrambi i genitori o eventualmente per escludere dall’affidamento uno o entrambi i genitori, l’esperto dovrà tener conto dei criteri minimi relativi alle capacità genitoriali, che riguardano essenzialmente la funzione di cura e protezione, la funzione riflessiva, la funzione empatica/affettiva, la funzione organizzativa”). Tale scenario richiederebbe però l’attivazione di procedimenti giuridici di tutela nei confronti del figlio di diversa natura rispetto a quelli che regolamentano, invece, l’affidamento successivamente alla rottura del vincolo affettivo tra i genitori.

Scusate ma, nonostante il professore di latino, il pensiero non mi abbandona.

Ma atteniamoci ai fatti: non si può prescindere dalla valutazione della genitorialità.

Tutto chiaro o quasi dal momento che manca una definizione univocamente riconosciuta di quella genitorialità che l’esperto è chiamato a valutare. Non vi affannate a cercare, lo faccio da anni, non la troverete. Nella ricerca vi imbatterete, sicuramente, in ampie ed utilissime descrizioni riguardo a quali siano gli intenti a cui deve mirare la genitorialità ma mai una definizione univoca di cosa sia la genitorialità che, per ammissione degli stessi autori che se ne sono occupati, è qualcosa di instabile e mutevole e dunque difficile da cristallizzare.

A questo punto decisamente dovrei smetterla di cavillare e lasciar perdere tutte queste riflessioni. Purtroppo non riesco e, anzi, a peggiorare la situazione, ricompare il professore di latino che provvede a completare la frase precedente iura novit curia, facta sunt probanda (Il giudice conosce le leggi, i fatti vanno provati) poi, giusto per rafforzare il disorientamento, si fa avanti il professore di filosofia che cita Euclide (Ciò che è affermato senza prova, può essere negato senza prova) e, per finire, il docente di teorie e tecniche dei test dei tempi dell’università che conclude facendo notare come non esista nessun test in grado di ponderare (ossia di fornire prove!) la capacità genitoriale dal momento che il termine test individua delle procedure oggettive che permettono di misurare un costrutto psicologico (che al momento rispetto alla genitorialità manca) attraverso un campione di comportamento.

Pertanto la valutazione della genitorialità richiesta dal giudice dovrebbe essere effettuata in assenza di una definizione univoca e, di conseguenza, senza poter fare affidamento su uno strumento standardizzato.

Non potendo fornire prove oggettive cerco fiduciosa conforto nella consuetudine operativa di effettuare delle valutazioni sulla personalità dei genitori, queste sì possibili attraverso test che posseggono tutte le caratteristiche psicometriche necessarie.

Tali valutazioni, anche quando non espressamente richieste, costituiscono una prassi all’interno delle consulenze nei procedimenti relativi all’affidamento dei figli.

Per rispettare le prassi, però, dovrei almeno individuare i necessari riferimenti scientifici a sostegno di un percorso tortuoso che utilizza la valutazione della personalità del padre e della madre come elemento oggettivo e dunque oggettivante nella valutazione della capacità genitoriale.

Purtroppo mi imbatto in una dolorosa scoperta dal momento che la consuetudine ad utilizzare la valutazione della personalità dei genitori a corredo dell’analisi della capacità genitoriale comincia a scricchiolare sotto i colpi di analisi di stampo giuridico/psicologiche.

La genitorialità al servizio dei figli

A questo punto il programma di scrittura mi ricorda che ho utilizzato più di 2000 parole senza praticamente concentrarmi mai sul minore.

No, perdonate, minore nel senso di persona fisica che non ha ancora compiuto il diciottesimo anno di età, in questo caso proprio non va bene dal momento che così prenderei in considerazione solo l’elemento cronologico e non la natura delle relazioni familiari in cui il nostro minore è immerso e che devono essere osservate e tutelate. Figlio decisamente va meglio.

È il momento di scegliere un’altra prospettiva concentrandosi solo sul figlio e cercando di individuare una strategia operativa utile a sostenere il giudice nel faticoso lavoro che è chiamato a svolgere ossia quello di garantirne il diritto alla bigenitorialità.

In primo luogo è opportuno cercare di arrivare ad una definizione di genitorialità che, pur non avendo la pretesa di essere esaustiva, possa essere consona e fruibile all’interno del contesto giuridico.

Provo: per genitorialità si intende la relazione tra due esseri umani che si sono impegnati solidalmente nei confronti di un altro essere umano, riconosciuto da entrambi, o per nascita, o per adozione o per vincolo affettivo, come figlio.

Il fine a breve termine della genitorialità è quello di garantire al figlio la soddisfazione dei propri bisogni evolutivi attraverso l’esercizio di quelle funzioni-base già ampiamente descritte in letteratura, il fine a lungo termine della genitorialità è il raggiungimento da parte del figlio di un’autonomia ed una maturità tali da rendere possibile lo svincolo dai genitori o, in alternativa, il maggior livello possibile di autonomia rispetto ad essi.

La genitorialità così intesa è un indissolubile vincolo relazionale che impone ai genitori a seconda delle circostanze, dei bisogni e dei contesti, di cooperare o di rappresentarsi reciprocamente agli occhi del figlio o, addirittura, di sopperire l’uno alle mancanze dell’altro.

La genitorialità fin qui delineata potrebbe essere definita solidale rifacendosi al concetto giuridico di antica tradizione dell’obbligazione in solido.

Ubi duo rei facti sunt, potest vet ab uno eorum solidum peti (se vi sono due obbligati solidali può essere chiesto il tutto ad uno solo di loro – Pandette di Giustianiano 533 d. C.-)

La genitorialità solidale tutela sempre, interamente, il figlio anche quando uno dei due genitori (uno dei due obbligati se utilizziamo una terminologia giuridica) è manchevole o del tutto impossibilitato a fornire il proprio contributo.

Nel riconoscere il bambino come figlio i genitori si obbligano per sempre, solidalmente, nei suoi confronti. Tale vincolo, a differenza di quello affettivo e/o coniugale, non può essere sciolto.

Individuata non la definizione ma una definizione di genitorialità e preso atto del fatto che non abbiamo a disposizione strumenti in grado di valutarla si potrebbe procedere ad osservarla stimolando i genitori, attraverso una narrazione condivisa, ad esplicitare come si sono occupati del figlio prima e dopo la rottura del vincolo.

Accade spesso, nelle coppie non più unite, di osservare una condivisione rispetto agli obiettivi del parenting ma una divergenza rispetto alle modalità pratiche con cui raggiungerli. Tali diversi modi di essere genitori rappresentano uno stile individuale che di sovente, soprattutto se osservato all’interno di un’attività peritale, diviene elemento di reciproca doglianza.

La presenza di un diverso stile può avere ricadute negative sul figlio non perché egli si debba interfacciare diversamente con i due genitori (elemento questo fisiologico se non addirittura auspicabile) ma perché questi due stili gli vengono presentati continuamente come antiteticamente contrapposti e reciprocamente escludentisi.

Uno dei rischi maggiori per il figlio successivamente alla separazione dei genitori pertanto non è lo sviluppo di conclamate patologie ma, piuttosto, la tendenza a sviluppare una fragilità, un disagevole senso di inconsistenza, di precarietà. Se i genitori non sono più solidali il figlio non sarà più solido.

Per il figlio, in qualità di beneficiario ed a differenza dei genitori, sarà non solo utile ma addirittura indispensabile utilizzare strumenti psicologici il più possibile oggettivi (tests standardizzati, proiettivi grafici, interviste). Lo scopo di questa osservazione scrupolosamente documentata sarà quella di descrivere il bambino e di offrire al giudice tutti gli elementi idonei sia a conoscere il grande assente (non è infrequente che il giudice non incontri mai il figlio pur dovendolo tutelare) sia ad acquisire gli elementi necessari a stabilire se vi è corrispondenza tra i bisogni del figlio e la genitorialità così come viene esercitata dai genitori.

La consulenza, abbandonata per sempre la necessità di valutare singolarmente i genitori, dovrebbe poi, per essere realmente tutelante per il figlio, individuare le reali risorse e potenzialità della famiglia.

A tal fine potrebbe essere utile, adattandoli ovviamente, utilizzare dei costrutti già noti alla psicologia dello sviluppo individuando una zona attuale ed una zona potenziale di sviluppo.

La zona attuale rappresenta la genitorialità così come esercitata nel presente, la zona prossimale costituisce il potenziale della coppia ossia il luogo del possibile cambiamento.

Tutti questi elementi permetteranno al magistrato non di applicare astrattamente la Legge a tutela di un diritto che resterebbe anch’esso astrattamente garantito ma, piuttosto, mostrando i concreti bisogni del figlio e le reali risorse genitoriali lo aiuteranno ad individuare non la soluzione migliore ma quella che la famiglia è in grado di sostenere.

Il passare dal valutare al descrivere richiederebbe poi l’individuazione di nuovi tipi di quesiti da proporre al consulente.

Mi concedo pertanto, come ultima libertà, la possibilità di formulare un quesito che consenta di abbandonare il giudizio sui genitori per abbracciare totalmente la tutela del figlio.

Provveda il ctu ad effettuare una descrizione della genitorialità precisando se e come questa si è modificata successivamente alla rottura del vincolo affettivo tra i genitori e precisando se e come, attualmente, i genitori sono in grado di operare solidalmente nei confronti del figlio. Rispetto all’esercizio attuale della genitorialità provveda il ctu a suggerire, qualora ne ravveda la necessità, le possibili ed utili modifiche atte a garantire al meglio il soddisfacimento dei bisogni evolutivi del figlio e, in particolar modo, il suo diritto a mantenere rapporti stabili e continuativi con entrambi i genitori e con gli ascendenti di ciascun ramo genitoriale.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • A. Anastasi, I test psicologici, Franco Angeli, Milano 2002.
  • F. Guglielmetti, Solidi figli Genitori solidali, Aracne editrice, Roma.
  • M. Pingitore, a cura di, Nodi e snodi nell’alienazione parentale. Nuovi strumenti psicoforensi per la tutela dei diritti dei figli, Franco Angeli, Milano 2019.
  • L. Vygotskij, Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche (a cura di L. Mecacci), Laterza, Roma-Bari 2001.
  • G.L. Visentin. Le funzioni della genitorialità.
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