Lo studio, condotto da Matthew Shapiro, Professore di Neuroscienze presso la Scuola di Medicina Icahn, ha indagato la flessibilità ed interferenza della memoria, approfondendo i meccanismi attraverso i quali il cervello interpreta gli eventi ed anticipa i loro possibili risvolti.
I ricordi depositati in memoria influenzano l’apprendimento di nuove informazioni
La nostra corteccia prefrontale influenza la formazione dei ricordi modulando l’attività dell’ippocampo, una struttura cruciale per la memoria. I neuroni della corteccia prefrontale “insegnano” ai neuroni dell’ippocampo ad identificare informazioni nuove lasciandosi guidare da predizioni che si basano su informazioni analoghe depositate in memoria. In poche parole, ciò che si impara nel presente guiderà i futuri apprendimenti, secondo quanto emerso nella ricerca condotta presso la Scuola di Medicina Icahn sita all’Ospedale di Mount Sinai (New York City) e pubblicata sulla rivista Neuron.
Le aree cerebrali coinvolte nei processi di memorizzazione
Lo studio, condotto da Matthew Shapiro, Professore di Neuroscienze presso la Scuola di Medicina Icahn, ha indagato la flessibilità ed interferenza della memoria, approfondendo i meccanismi attraverso i quali il cervello interpreta gli eventi ed anticipa i loro possibili risvolti.
L’ippocampo è una struttura del lobo temporale necessaria per ricordare eventi recenti: ad esempio, il luogo dell’ultimo pasto. La corteccia prefrontale è, invece, la sede dove il cervello utilizza il contesto per scegliere tra più alternative sulla base di regole apprese, come ad esempio sapere che prima di attraversare la strada di norma bisogna guardare prima a sinistra e poi a destra, ma che, al contrario, bisogna guardare prima a destra e poi a sinistra se ci si trova in Gran Bretagna. Senza queste regole, i ricordi interferirebbero gli uni con gli altri e le predizioni basate sulla memoria risulterebbero inaccurate.
In condizioni non patologiche, gli individui confrontano rapidamente i loro ricordi con gli obiettivi presenti nell’ambiente per scegliere, in modo coerente, il susseguirsi delle azioni da mettere in pratica. Questa flessibilità cognitiva richiede un’interazione tra la corteccia prefrontale e l’ippocampo.
Ricerche precedenti hanno indicato che le interazioni tra queste due regioni cerebrali sono danneggiate in molte patologie neuropsichiatriche, quali schizofrenia, depressione e disturbo da deficit dell’attenzione, senza però chiarire i meccanismi che le regolano.
[blockquote style=”1″]Volevamo capire come il nostro cervello impari a pensare prima e quali siano i meccanismi che utilizzano il contesto per richiamare eventi, predire possibili risultati e prendere delle decisioni. Ad esempio, come può il cervello sapere che si risponde ad un telefono che squilla se si è a casa propria, ma non lo si fa a casa di altri?[/blockquote] ha affermato il Dr. Shapiro.
“Noi abbiamo scoperto che le regole segnalate dalla corteccia prefontale mediale insegnano all’ippocampo a distinguere gli obiettivi. Sapevamo già che le cellule dell’ippocampo predicono quale memoria utilizzare attraverso una codifica della situazione, mandando impulsi a varie frequenze. Abbiamo però imparato che rendere inattiva la corteccia prefrontale riduce la codifica della situazione da parte dell’ippocampo. Inoltre, più la corteccia prefrontale altera l’attività ippocampale, più velocemente si passa alla regola successiva.”
Il nuovo meccanismo scoperto da questo studio potrebbe migliorare la comprensione di determinate condizioni psichiatriche concernenti le interazioni tra la corteccia prefrontale e l’ippocampo e contribuire alla creazione di nuovi trattamenti ad hoc. Un’altra ricerca sta investigando se gli stessi meccanismi descritti in questo studio esistono anche tra l’ippocampo e altre strutture prefrontali.