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Emdr e disturbi dell’ alimentazione. Tra passato, presente e futuro (2015) di Marina Balbo – Recensione

Quello della Balbo è un testo con panoramica assortita delle dinamiche emotive dei disturbi dell'alimetazione e della loro rielaborazione attraverso l'EMDR.

Di Carmen Settanta

Pubblicato il 28 Giu. 2016

Aggiornato il 08 Feb. 2024 15:08

Quello della Balbo rappresenta il tentativo, ben riuscito, di teorizzare come EMDR e disturbi dell’alimentazione si uniscano, proprio utilizzando l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare (DCA). 

 

EMDR e disturbi dell’alimentazione: una cura possibile

Il merito di questo testo è quello di essere uno dei primissimi che, in contesto italiano, ha formalizzato come si utilizza il trattamento EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) con i pazienti che soffrono di un disturbo alimentare. Ed è praticamente immediato il passaggio all’azione: nei casi clinici presentati sin da subito è percepibile la sofferenza che questi pazienti vivono, così come i risvolti durante e dopo l’elaborazione messa in atto da una tecnica come l’EMDR.

L’affermarsi di questo approccio in Italia e nel mondo (ad oggi più di 120.000 clinici utilizzano questa terapia) dà una misura dei vasti campi di applicazione e quello della Balbo rappresenta il tentativo, ben riuscito, di teorizzare come EMDR e disturbi dell’alimentazione si uniscano, proprio utilizzando l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare (DCA).

Questa patologia, oggi in continuo sviluppo, colpisce fasce di popolazione sempre più giovane e diventa fondamentale contestualizzare questo disturbo ai giorni nostri, tenendo in considerazione gli stereotipi di magrezza che la società ci presenta, l’importanza sempre maggiore attribuita all’immagine corporea fino al valore che diamo al cibo. Sono parole prese a prestito dall’autrice quelle che affermano che l’essenza della vita sociale ruota attorno a piatti, tazze e bicchieri: dalla colazione in famiglia, al caffè con i colleghi, da un pranzo d’affari a una cena romantica o altre mille occasioni dove a tavola, si costruiscono e si consolidano le relazioni.

Il bisogno esistenziale di nutrirsi per l’uomo è indiscutibilmente diventata un’occasione di relazione e di scambio ma non per tutti vale questa convivialità: il cibo può diventare un nemico, condizionare l’esistenza di chi lo vive sulla propria pelle e di chi, genitori, familiari e non, si trova a fianco di chi soffre di un DCA.

Il paradigma EMDR, che Francine Shapiro ha ideato, parte dall’idea che le manifestazioni sintomatiche, inclusi quindi i disturbi alimentari, dipendono da passate esperienze traumatiche che innescano un modello di comportamenti, cognizioni ed emozioni, che causano una spirale di sofferenza acuta. Fondamentale diventa così andare a recuperare nell’ambito di una relazione di cura, quella terapeutica, quali traumi nella forma di esperienze, emozioni, odori e rumori e cognizioni, il soggetto ha vissuto.

Rispetto ai disturbi alimentari la Balbo ci offre una panoramica di quelli che sono una serie di variabili che hanno contribuito all’eziopatogenesi del disturbo e che concorrono al mantenimento. Distingue dunque 3 tipi di fattori legati alla presenza di un disturbo alimentare: fattori predisponenti (rischi genetici, meccanismi regolatori della fame e della sazietà, cultura e società, variabili individuali, storia di attaccamento), fattori precipitanti (pubertà, cambiamenti di vita e scelte come scuola superiore, università, critiche negative sul proprio aspetto fisico, lutti, dieta rigida, trauma, abuso sessuale) e fattori perpetuanti (egosintonia del disturbo e altre differenti variabili che contribuiscono a far sì che il paziente voglia mantenere una atteggiamento di controllo verso il cibo).

 

EMDR e disturbi dell’alimentazione: correlazione tra esperienze traumatiche e DCA

Prima di entrare nel dettaglio di quelle che sono le varie fasi, esattamente 8, del trattamento EMDR per cui è necessario fare un training specifico che rilascia un attestato che certifica la competenza in tale ambito, la Balbo parte da quelle evidenze scientifiche che hanno presentato la possibile correlazione tra le storie caratterizzate da esperienze traumatiche, legate in particolare a maltrattamenti fisici e violenza sessuale, e lo svilupparsi dei disturbi dell’alimentazione (Putnam, 2001; Van Gerko et al., 2005).

Sembra che quella serie di comportamenti disfunzionali messi in atto dai pazienti giochino un ruolo di protezione dai ricordi traumatici intrusivi e fungano da modulatori dell’ansia e di altre emozioni invalidanti. Rabbia, vergogna, impotenza, creerebbero un pericoloso circolo vizioso (Molinari, 1999).

Altri autori (Schwartz e Gay, 1986) hanno descritto le funzioni adattative dei sintomi da DCA come ristoro, nutrimento, intorpidimento, distrazione, bisogno di aiuto, ribellione, liberazione dalla rabbia, contenimento della frammentazione sensoriale, dissociazione da pensieri intrusivi. La Balbo cita gli studi di McManus (1996) e Meyer (2000) rispetto alla relazione tra dissociazione e disturbi dell’alimentazione: quello che avviene nell’abbuffata identificherebbe uno stato di fuga dalla coscienza, uno stato dissociativo appunto.

Recenti studi (van der Kolk et al., 2005; Chu, 2010; Lanius et al., 2010; Liotti e Farina, 2011) confermano invece che  la perdita di integrazione che porta ad uno stato dissociativo non investe esclusivamente lo stato di coscienza e la coscienza di sé ma si estende al controllo degli impulsi e delle emozioni, allo schema e all’immagine corporea, alla capacità di riflettere sugli stati mentali propri e altrui, alla coerenza nelle visioni di sé e nelle narrazioni autobiografiche e all’appiattimento emotivo post-traumatico.

Nella prima fase, quella di anamnesi e raccolta della storia del paziente, il terapeuta fa una raccolta di tutte le informazioni necessarie per avere un quadro clinico che sia dei più completi per identificare i target adeguati al trattamento (Fernandez, 2006). In questo senso la Balbo si concentra sui ricordi che hanno contribuito all’organizzazione della vergogna che, come emozione sociale a valenza significativa, riveste e gioca un ruolo significativo sul benessere e sull’equilibrio della persona.

Citando Doran e Lewis (2011) che l’hanno definita come un’emozione che si attiva nel momento in cui gli individui giudicano se stessi come imperfetti, brutti o inferiori, la vergogna favorirebbe una bassa autostima e un senso di inferiorità e impotenza.

Altri autori (Hayaki et al., 2002) si sono focalizzati invece su come le emozioni negative, inclusa la vergogna, giochino un ruolo fondamentale nello scatenare la sintomatologia e collegano la vergogna ai sintomi caratteristici della bulimia dove le abbuffate rappresenterebbero delle strategie di coping per fronteggiare gli stati d’animo negativi. La vergogna dunque fungerebbe sia da trigger (causa scatenante) che da predittore dell’abbuffata.

La ricerca della perfezione e del controllo che sta alla base della sintomatologia dei disturbi del comportamento alimentare potrebbe avere origine proprio dalle prime esperienze di vergogna. I comportamenti disfunzionali correlati ai disturbi dell’alimentazione avrebbero pertanto un ruolo nell’interruzione di questi ricordi traumatici intrusivi e nella modulazione di emozioni negative di vergogna, rabbia e impotenza.

Il tema della vergogna avrebbe un risvolto cruciale: affacciarsi su questa emozione rappresenterebbe la possibilità di scovare uno dei trigger che hanno scatenato il circolo vizioso di condotte alimentari disfunzionali e dolorose. Quello della Balbo è un testo concreto che dà una panoramica assortita e variegata delle dinamiche emotive che si celano nei disturbi dell’alimetazione e quali risvolti ne conseguono, quali rielaborazioni attraverso il trattamento con EMDR.

L’autrice offre il suo contributo personale, frutto di esperienza e competenza nel campo dei disturbi dell’alimetazione, che è anche misura delle difficoltà e del dolore che questi pazienti vivono ma contemporaneamente possibilità concreta di trattamento che persegue la strada della cura.

Il quadro è ampio dentro l’ampio spettro di un disturbo del comportamento alimentare e, al di là di diagnosi categoriali, l’idea è quella che si possa riuscire a maneggiare la sofferenza di queste pazienti, il dolore viene trattato e rielaborato.

Le tecniche EMDR permettono di attivare quell’innato sistema di elaborazione delle informazioni traumatiche da parte del cervello (Fernandez, 2006) e il taglio concreto che l’autrice ha dato al testo ci dà la possibilità di cogliere quale difficoltà può sperimentare un terapeuta che si occupa di questo tipo di sofferenza. L’EMDR offre delle possibilità, una, quella di trattamento per lo psicoterapeuta e l’altra, quella della cura per i pazienti, perché un disturbo del comportamento alimentare è trauma, è condotta distorta e disfunzionale, è sofferenza che limita e condiziona.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Balbo, M. (2015).  EMDR e disturbi dell'alimentazione. Tra Passato, Presente e Futuro. Giunti Editore.
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