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Basket: la “Mano Calda” non è leggenda! – Psicologia dello Sport

Il giocatore con la mano calda è quello che, avendo messo a segno tre, quattro tiri consecutivi a canestro, accentra le aspettative di tifosi e compagni.

Di Massimo Amabili, Benjamin Gallinaro

Pubblicato il 28 Mar. 2014

Un Articolo di Massimo Amabili e Benjamin Gallinaro. Introduzione di Domenico Marchese, giornalista sportivo e Responsabile Comunicazione della PMS Basketball Torino.

SLIDE Ronald Steele - Immagine: © 2014 PMS Basketball Torino

La Mano Calda

“Mano calda”. “He’s on fire”. Metafore che riconducono gli appassionati di pallacanestro allo stato di grazia che vive occasionalmente un tiratore. Una sensazione che ho avuto la fortuna di vivere in prima persona, nonostante l’infimo livello in cui mi sono cimentato nella mia poco gloriosa carriera agonistica, ma soprattutto di raccontare, grazie al mestiere di cronista sportivo, termine ormai in disuso ma che ha sempre un fascino nobile e antico. Quando la vivi da giocatore la sensazione è realmente di “calore”: parte dai piedi (tutti i cestisti sanno che il tiro nasce in basso per poi concludere la sua catena cinetica con la frustata di polso) e pervade tutto il corpo. Gli avversari che si frappongono con le braccia alte per ostacolare il tiro sono uno stimolo ulteriore, quasi un aiuto per disegnare la parabola di tiro perfetta. In quel momento potresti segnare anche dagli spogliatoi, il calore emanato è percepito dai compagni di squadra, che ti cercano in attacco con continuità, dagli avversari, che si “incollano” fisicamente per evitare ogni tuo movimento. Ma soprattutto è percepito da te stesso: ed è una sensazione bellissima, quello per cui ci si allena ogni giorno, a qualsiasi livello.

Molto emozionante anche raccontare le “strisce” offensive, le “mani calde” di un tiratore: perché la legge dei grandi numeri e la difficoltà di questo splendido sport vengono stravolte. Tiro dopo tiro, la mente aspetta un errore, lo “sdeng” del ferro, una stoppata del difensore. Pensi che “non può segnare ancora”, ma gli occhi assistono quasi ad un miracolo e la reazione è, nella maggior parte dei casi, una risata quasi isterica.

In questa stagione di alti e bassi vissuta dalla PMS Torino ho avuto la fortuna di vivere positivamente un “man on fire”, ma anche di subirne uno. Ed in entrambi i casi si è trattato di atleti statunitensi. Il primo è stato Ronald Steele, che contro Verona ha concluso quella che in gergo si chiama “partita perfetta”: 40’ senza sbagliare una sola conclusione, da lontano o da vicino, da 3 punti o dalla lunetta. Un compito che diventa più difficile tiro dopo tiro, per le attese del pubblico e l’attenzione della difesa nel cercare di annullare l’avversario.

Nel secondo caso la guardia americana Brett Blizzard ha rappresentato al meglio lo stato di grazia di chi ha la “mano calda”: trentadue minuti sonnecchiando, svolgendo il suo “compitino” nonostante la sua carriera da grande tiratore. Per poi accendersi nell’ultima parte di gara, spingendo Veroli alla vittoria contro Torino: 14 punti degli ultimi 17 dei ciociari sono stati realizzati da questo fromboliere, che ha anche segnato l’ultimo tiro da 3 punti per il 73-72 finale, sulla sirena e con un marcatore di 20 centimetri più alto che lo ostacolava. Paradossale che la “mano calda” fosse quella di Blizzard. Che ha gelato le speranze di vittoria con il calore della sua mano…

 

 

PMS Basketball Torino - Ronald Steele al tiro da 3 punti. - Immagine: © 2014 PMS Basketball Torino
Ronald Steele – Immagine: © 2014 PMS Basketball Torino

Gli appassionati di sport in generale e di basket in particolare, sanno che il giocatore con la “mano calda” è quello che, avendo messo a segno tre, quattro tiri consecutivi a canestro, accentra le aspettative di tifosi e compagni e i timori degli avversari, che anche il suo prossimo tiro avrà molte chances di successo.

Per quasi trent’anni, da Gilovich, Vallone, Tversky (1985) a Bar-Eli et al. (2013), la letteratura accademica ha considerato questo aspetto un fenomeno fallace, basato sull’euristica della rappresentatività (Kahneman e Tversky, 1971). L’assunto su cui si poggia tale punto di vista è che la scelta della tipologia di tiro da parte del giocatore è indipendente dalla percezione della propria “mano calda” o meno.

Il primo studio che ha cercato di rispondere a questa domanda è stata condotto da Thomas Gilovich, Robert Vallone , e Amos Tversky nel 1985 . In questo lavoro, gli autori hanno analizzato una serie di tiri di giocatori del Philadelphia 76ers , alla ricerca di una correlazione positiva tra tiri successivi , senza trovarne .

Essi hanno inoltre analizzato una serie di tiri liberi da parte delle squadre di basket maschili e femminili dei Boston Celtics e dei Cornell, senza trovare evidenza di correlazione seriale . Studi successivi , tra cui Adams , 1992; Koehler e Conley , 2003; Bar- Eli , Avugos e Raab , 2006 e Rao 2009 hanno confermato questa conclusione.

Oggi , per la popolazione accademica, la mano calda è quasi universalmente considerato un “fenomeno illusorio”. Eppure , tra i giocatori e gli appassionati di basket, la mano calda è un mito che si rifiuta di morire . I giocatori professionisti stessi hanno riferito la sensazione del “quasi non poter mancare il tiro“, dopo averne messi a segno diversi di fila ( Kahneman e Tversky , 1971) . Le azioni dei giocatori confermano questa descrizione, anche se la difficoltà del tiro tendeva ad aumentare dopo averne messi a segno una serie.( Rao , 2009 ) .

PMS Basketball Torino Ogni giocatore ha un repertorio di tiri che variano in base alla difficoltà della situazione di gioco (per esempio la distanza dal canestro o il pressing della difesa), e ogni tiro viene selezionato casualmente dal repertorio individuale” (Gilovich, Vallone e Tversky, 1985)

Una recente ricerca condotta da Andrew Bocskocsky, John Ezekowitz, and Carolyn Stein della Harvard University di Cambridge , ha utilizzato un nuovo set di dati , forniti dal monitoraggio delle telecamere SportVU della STATS, Inc. Questo set di dati è costituito da oltre 83.000 tentativi di tiro della stagione 2012-2013 NBA . Sintetizzando questo insieme di dati , è stato possibile studiare e conoscere quasi tutte le caratteristiche rilevanti del gesto tecnico del tiro nell momento in cui veniva effettuato.

Questo ha consentito di indagare le seguenti due questioni : in primo luogo, i giocatori (sia attaccanti che difensori) credono nella mano calda , come dimostrano le loro scelte di gioco ? E in secondo luogo , se controlliamo la variabile difficoltà del tiro , emergerà l’ effetto Hot Hand?

Gli studiosi hanno mostrato che i giocatori che percepiscono di avere la mano calda in base ai precedenti risultati, s’incaricano di sparare tiri da distanze significativamente più lontane, e di fronte alla difesa più stretta , sono più propensi a prendersi ulteriori tiri per la loro squadra , a incaricarsi dei tiri più difficili. Questi risultati invalidano l’assunto di indipendenza (o casualità) nella selezione del colpo.

Per stimare questa distorsione , gli autori hanno creato un modello globale di difficoltà del tiro che dipende dalle condizioni stesse del tiro nel momento in cui viene effettuato . Queste condizioni includono variabili rilevanti per la situazione di gioco, la posizione del tiro, e le posizioni dei difensori. Successivamente, hanno stabilito una misura del “calore”, che riflette la misura in cui un giocatore ha sovraperformato i suoi ultimi tiri, tenendo presente quanto fossero difficili.

Avendo sia una misura della difficoltà del tiro, sia una misura del calore della mano, i ricercatori hanno trovato un modo per testare la hot hand, monitorando la difficoltà del tiro. I risultati di questo test suggeriscono che una volta tenuta sotto controllo la variabile dipendente selezione del tiro , ci può essere un piccolo ma significativo effetto Hot Hand .

Dati empirici preliminari

STATS Inc. ha introdotto il sistema di tracciamento ottico di SportVU nella NBA nel 2010. Il sistema utilizza sei telecamere, tre su ogni lato del campo, che forniscono precise immagini tridimensionali dei giocatori, degli arbitri, e della palla ogni 25esimo di secondo. Il dataset dei ricercatori è costituito da ogni partita giocata alle 15 nelle SportVU arene attrezzate nella stagione regolare 2012-2013.

E’ stato creato un registro di tiro che sintetizza i dati di tracciamento ottico di SportVU e i dati play-by-play dalla NBA per creare una solida caratterizzazione di ogni tiro. Per ognuno di essi sono state prese informazioni sul giocatore che ha effettuato il tiro, il tipo di tiro effettuato, il tempo e il punteggio al momento del tiro. Dai dati di monitoraggio ottici, si otteneva anche la posizione esatta della palla e di tutti i dieci giocatori, sia attaccanti che difensori, sul campo.

Previsione della difficoltà del tiro

 

Utilizzando tali dati, gli studiosi hanno stimato un modello che predice la difficoltà di ogni tiro per il giocatore che lo esegue, basato su quattro grandi categorie di determinanti la difficoltà del tiro: controllo della situazione di gioco, controllo del tiro, controllo della difesa e Effetti fissi del giocatore.

Per Controllo di gioco, hanno inteso il tempo di gioco restante e la differenza di punteggio tra le squadre per spiegare le differenze di pressione che gravano sul giocatore che effettua un tiro, l’affaticamento del giocatore e lo sforzo fisico per tutti i tiri effettuati. Per Controllo del tiro, hanno inteso la distanza precisa dal cestello di ogni tiro e la sua categorizzazione play- by-play (cioè, terzo tempo, schiacciata, ecc.) , per stimare la difficoltà del tiro .

Il costrutto di Controllo della Difesa è stato ideato per misurare l’intensità difensiva . Utilizzando i dati SportVU , sono stati in grado di determinare e utilizzare sia la distanza assoluta tra le riprese del giocatore tiratore e il difensore più vicino, sia l’angolo di quel difensore rispetto alla linea retta che va dal tiratore al canestro. Hanno anche tenuto conto della differenza di altezza tra il difensore più vicino e il tiratore, per misurare quanto incideva questa differenza. Infine il costrutto Effetti fissi del giocatore è stato impiegato per controllare le differenze tra i giocatori. Se Kevin Durant e Tyson Chandler effettuano due tiri identici, i due gesti tecnici probabilmente hanno diverse somiglianze di esecuzione. Tale costrutto ha permesso di cogliere eventuali differenze.

Conclusioni

Dopo trent’anni di conferme empiriche che identificano la “Hot Hand” come un esempio di fallacia della mente umana, lo studio di Bocskosky, Ezekowitz e Stein riesce a confutare l’assunto su cui regge tale convinzione, ovvero che la scelta del tipo di tiro sia indipendente dalla percezione di “mano calda”.

Grazie ai dati ricavati dall’optical tracking di SportVU si nota, infatti, che i giocatori che sono riusciti a compiere una performance particolarmente brillante, mettendo a segno più tiri consecutivi rispetto ai loro standard, tendono a provare ad andare nuovamente a segno, con coefficienti di tiro più difficili. Come osservato, anche controllando la variabile dipendente rappresentata dalla selezione del tiro, emerge un piccolo ma significativo effetto Hot Hand.

Questi risultati possono riaprire il dibattito, che sembrava ormai a senso unico, sulla reale consistenza di quello che sembrava ormai solo un mito del mondo del basket, ovvero l’effetto Hot Hand. Conoscere i meccanismi con i quali i giocatori reagiscono alla percezione di questo fenomeno, può fornire un elementi preziosi per mettere a punto differenti e più efficaci strategie sia a livello di squadra che di singolo giocatore.

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Massimo Amabili
Massimo Amabili

Psicologo e Psicoterapeuta specializzato in Psicoterapia Cognitiva e Cognitivo-Comportamentale.

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Benjamin Gallinaro
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