Stalking: che cos’è?
Il termine stalking (dall’inglese “to stalk”, che significa appostare, seguire, tampinare) rappresenta una [blockquote style=”1″]forma di aggressione messa in atto da un persecutore che irrompe in maniera ripetitiva, indesiderata e distruttiva nella vita privata di un altro individuo, causando a quest’ultimo gravi conseguenze fisiche o psicologiche[/blockquote] (Maran, 2010).
Con il termine stalking ci riferiamo, quindi, ad una serie di atteggiamenti tenuti da un individuo che affligge un’altra persona, perseguitandola e generandole stati di ansia e paura, che possono arrivare a compromettere la sua quotidianità.
Anche detta “sindrome del molestatore assillante”, questo fenomeno è caratterizzato da tre aspetti fondamentali, ovvero la presenza di un “persecutore” (o molestatore), una vittima e una relazione tra i due, caratterizzata dall’esercizio del controllo da parte dello stalker, che determina uno stato emotivo di intensa ansia e paura nella vittima.
Riportiamo a titolo di esempio alcuni dei possibili comportamenti messi in atto dallo stalker:
Comunicare continuamente mediante telefono, sms, lettere, mail a qualsiasi orario;
Lasciare messaggi sui social network, oppure sull’automobile, porta di casa, luogo di lavoro;
Pedinare la vittima;
Investigare su come la vittima trascorre la giornata;
Inviare messaggi indesiderati;
Diffamare o oltraggiare direttamente la vittima;
Danneggiare le proprietà della vittima;
Compiere aggressioni fisiche o sessuali nei confronti della vittima;
Minacciare direttamente la vittima e le persone ad essa vicine.
Tutti questi comportamenti condividono la medesima caratteristica: sono persecutori e insistenti e la vittima che li subisce ne risulta impaurita e angosciata. Talvolta queste emozioni negative impediscono che il reato sia denunciato alle autorità competenti. Diverse ricerche hanno messo in luce che sono molti i soggetti che non rivelano le persecuzioni subìte, a causa del timore delle ripercussioni che la denuncia stessa potrebbe poi comportare (James e all, 2003).
Origine del termine
Sebbene i comportamenti tipici dello stalker non siano una peculiarità esclusiva del nostro secolo, solo di recente il fenomeno è stato inquadrato con un nome e una precisa collocazione in ambito psicologico e psichiatrico.
Negli anni ’60 gli studiosi iniziarono ad utilizzare il termine star-stalking per riferirsi al continuo assedio di ammiratori, psichicamente disturbati, ai danni di persone famose. Ne sono stati un esempio i Beatles in Inghilterra, l’attrice Rebecca Schaeffer a Los Angeles nel 1989. Nel caso di quest’ultima, la persecuzione da parte di un fan con disturbi psichici si concluse con l’assassinio dell’attrice.
Dopo molti casi eclatanti, lo stalking assunse una valenza sociale di primaria importanza (Curci, 2003). Anche il mondo del cinema progressivamente cominciò ad introdurlo nelle trame dei film; alcuni esempi sono: Attrazione fatale (Adryan Lyne, 1987), Duel (Steven Spielberg, 1971), The bodyguard (Mick Jackson, 1992), One hour photo (Mark Romanek, 2002), A letto con il nemico (Joseph Ruben, 1991).
In Italia il reato di stalking è stato introdotto con il D.L. n. 11 del 23 febbraio 2009, dedicato alle misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori. Il 23 aprile 2009 il decreto legge è stato poi convertito nella legge n° 38, prevedendo l’art. 612-bis del codice penale (Bartolini, 2009).
Lo stalker
Lo stalker in generale manifesta un’evidente problematica nell’area affettivo-emotiva, relazionale e comunicativa che non sempre corrisponde ad un preciso quadro psicopatologico.
Sebbene non esista ancora una classificazione ampiamente accettata delle caratteristiche dello stalker, è possibile rintracciarne alcune in letteratura suggerite da esperti di diversi ambiti.
I primi a proporre una classificazione degli stalker sono stati Zona, Sharma e Lane (1993). Essi hanno basato la loro rassegna su 74 fascicoli dell’Unità di gestione delle minacce del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, che successivamente fu arricchita di altri 126 casi.
Nel 1995, Harmon, Rosner, Owens suddivisero in categorie gli stalker in base alla natura del legame di attaccamento con le loro vittime o alla tipologia di relazione con essa instaurata. Vennero considerati 48 casi seguiti presso la Criminal and Supreme Court of New York.
Gli autori descrissero due stili di attaccamento degli stalker nei confronti delle vittime:
– Attaccamento affettivo-amoroso
– Attaccamento persecutorio-irato
Un’ulteriore classificazione propone cinque tipologie di stalker, che si contraddistinguono per il variare del loro Sistema degli Scopi, quindi dei loro bisogni e desideri verso l’altro.
Il “risentito” rappresenta, di solito, un ex-partner che desidera vendicarsi per la rottura della relazione sentimentale causata, a suo avviso, da motivi ingiusti. Agisce ledendo direttamente la persona, la sua immagine o le sue proprietà (casa, macchina, ecc). E’ il tipo di stalker che pubblica sul web foto o immagini private, aspetta fuori casa o segue la vittima, danneggia la sua macchina, ecc. Ogni comportamento è giustificato dal molestatore sulla base del danno che crede di aver subito, e che in un certo senso lo legittima a rispondere.
Il “bisognoso d’affetto” è invece quello stalker che è spinto dal bisogno di creare una relazione affettiva con la vittima. Ogni segnale di vicinanza o di confidenzialità espressa dalla vittima viene riletta come chiara espressione del desiderio di contatto e vicinanza emotiva, che giustifica quindi i comportamenti di avvicinamento.
Il “corteggiatore impacciato”, invece, risulta imbranato in termini relazionali e per questo inadeguato all’entrare in relazione con la vittima, che si sente oppressa, “invasa” e aggredita.
Il “predatore” è quello che solitamente è mosso dal desiderio di avere un contatto di tipo sessuale con la vittima, direttamente proporzionale alle reazioni di paura di quest’ultima.
Negli anni sono state proposte molte altre classificazioni, ma la più importante risulta quella ideata da Mullen e Purcell (2000). Essi hanno considerato un campione di 145 valutazioni cliniche di casi di stalking, con un approccio multi assiale.
Il primo asse riguarda la motivazione dello stalker e il contesto in cui agisce. È infatti importante riuscire a cogliere la funzione del comportamento dello stalker, sia in termini di bisogni e desideri che cerca di soddisfare, sia in termini di comprensione delle gratificazioni come elemento di rinforzo, che possono far perpetuare il comportamento persecutorio. È fondamentale inoltre, comprendere il contesto nel quale tale condotta si manifesta, per poter meglio comprendere gli obiettivi e le strategie dello stalker.
ll secondo asse riguarda la natura del rapporto preesistente con le vittime di stalking. Esso comprende l’analisi dei rapporti con partner precedenti, i suoi contatti professionali, i rapporti con gli amici e i conoscenti.
Il terzo asse include la diagnosi psichiatrica, all’interno della quale si distinguono due ambiti:
– Il gruppo psicotico, che comprende patologie quali la schizofrenia, i disturbi deliranti, le psicosi affettive e le psicosi organiche;
– Le patologie non psicotiche, tra cui i disturbi di personalità, i disturbi d’ansia e i disturbi dell’umore.
Analizzando e integrando tutti e tre gli assi è possibile tentare di prevedere:
La durata dello stalking;
La natura dei comportamenti di stalking;
Il rischio di minacce e di violenze;
La risposta e la strategia di gestione.
In un articolo pubblicato sul Journal of Criminal Justice (Patton, Nobles, Fox, 2010), emerge una relazione tra stalking e teoria dell’attaccamento. Nello specifico, è stata riscontrata una relazione tra alcuni comportamenti dello stalker e disturbi di personalità cluster B (Sansone RA, Sansone LA, 2010; Evans TM, Reid Meloy J., 2011). E’ quindi possibile indagare come i pattern di attaccamento del bambino con la madre proposti da Bowlby (1969, 1973) si associno alle caratteristiche di personalità dello stalker. Ad esempio, nello studio svolto da Patton, Nobles e Fox (2010) si cercò di determinare quale attaccamento disfunzionale potesse essere associato a questi comportamenti. Dai risultati emerse che l’attaccamento insicuro-ambivalente-ansioso era significativamente associato a comportamenti di stalking. Gli individui che presentano pattern di attaccamento di questo tipo si caratterizzano per ansia nelle relazioni e tendono a mettere in atto comportamenti associati a gelosia e rabbia verso il partner; inoltre mettono in atto comportamenti intrusivi, molesti e persecutori nei confronti dell’ex partner.
La vittima
La vittima perseguitata dallo stalker manifesta sensazioni ed emozioni intense, che vanno da un iniziale stato di allerta e di stress psicologico a intensi e pervasivi vissuti di preoccupazione, di paura per la propria vita, di rabbia e disprezzo per il molestatore, di colpa e vergogna per quello che sta loro accadendo.
La dimensione privata e personale viene violata, il senso di colpa e la vergogna per quello che sta accedendo favoriscono l’isolamento, la chiusura e, di conseguenza, le richieste d’aiuto e soccorso si riducono. In questo modo, la vittima finisce per sviluppare intensi stati d’ansia, disturbi del sonno e veri e propri quadri psicopatologici.
Sono state svolte diverse ricerche per valutare quali siano le conseguenze di comportamenti di stalking sulle vittime. Una delle prime è stata quella di Pathè e Mullen (1997). Nella loro ricerca, condotta su di un campione di 100 vittime di stalking australiane, emerse che queste riportavano gravi ripercussioni a livello psicologico, lavorativo e relazionale. Il 94% riferiva di aver avuto notevoli cambiamenti nello stile di vita e nelle attività quotidiane; il 70% di aver notato una significativa diminuzione delle attività sociali; il 50% diminuiva in termini di ore o addirittura cassava la propria attività lavorativa; il 34% finiva per cambiare lavoro e il 40% residenza. Il livello di ansia aumentava nell’80% dei casi. Inoltre, molte vittime di stalking riportavano disturbi cronici del sonno (75%) e pensieri ricorrenti riguardanti l’evento traumatico (55%). Il 50% riportava sintomi dei disturbi alimentari, stanchezza, debolezza e cefalee. In una piccola parte del campione, infine, si rilevavano problemi di depersonalizzazione (38%), incremento nell’uso di alcool e nicotina (25%) e pensieri concernenti il suicidio (25%).
Anche uno studio svolto in Olanda (Kamphuis et al., 2001, 2003) su 200 vittime di stalking, ha documentato l’insorgenza di sintomi psicologici clinicamente rilevanti e, in particolare, di numerosi casi di disturbo post-traumatico da stress. La gravità dei sintomi è comparabile a quella che si riscontra nei soggetti che hanno vissuto disastri aerei, rapine a mano armata e gravi incidenti automobilistici.
Gargiullo e Damiani (2008) tra le vittime di stalking hanno riscontrato prevalentemente le seguenti patologie:
- Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD, Post-Traumatic Stress Disorder) conseguente a uno o più eventi di forte impatto emotivo, come ad esempio minacce di morte, gravi lesioni, atti persecutori persistenti e angoscianti. Il disturbo si manifesta attraverso sogni e ricordi invasivi ego distonici, sensazioni che l’evento traumatico si ripeta e disagio psicologico, in conseguenza a stimoli esterni o interni, che presentano caratteristiche simili all’evento traumatico. Tali sintomi possono condurre la persona a manifestare diversi comportamenti: evitare qualunque stimolo associato al trauma, con conseguenti amnesie dissociative; ridurre l’interesse per le attività sociali; avere un distacco emotivo dall’ambiente, un’affettività ridotta e una visione negativa del futuro.
- Il Complex Post-Traumatic Stress Disorder (C-PTSD) conseguente all’esposizione prolungata ad un trauma, come ad esempio abusi fisici, emozionali, sessuali e maltrattamenti ripetuti nel tempo. Secondo Van der Kolk e Courtois (2005), si tratterebbe di un disturbo che produce in chi ne soffre perdita di sicurezza, di fiducia, di valore e di autostima. Include, inoltre, evidenti difficoltà a livello emozionale e interpersonale. Tra i sintomi ricordiamo: difficoltà nella regolazione delle emozioni, la costante rievocazione degli episodi traumatici, cambiamenti nella percezione di se stessi e nella percezione del proprio molestatore, alterazione nelle relazioni con gli altri e perdita di fiducia. Tutte queste problematiche sono spesso presenti nella maggior parte delle vittime di stalking (Gargiullo, Damiani, 2008).
- Somatizzazioni, ovvero disturbi fisici che non hanno alcuna base organica che possa dimostrarne l’origine; questi sono in stretto rapporto con l’ansia e il grave disagio emotivo che la vittima prova.
- Avversione sessuale; spesso infatti episodi di stalking, con violenze fisiche o sessuali, portano la vittima a sviluppare un’avversione sessuale. In particolare, il quadro psicopatologico si caratterizza per ansia, disgusto, paura, repulsione e diminuzione della libido (desiderio sessuale). Le vittime di stalking possono mettere in campo diverse strategie disfunzionali di coping, come ad esempio andare a letto presto, trascurare il proprio aspetto fisico, dedicare eccessivo tempo al lavoro o allo sport.
- Vaginismo, per cui si contraggono involontariamente i muscoli perineali che circondano il terzo esterno della vagina, rendendo dolorose e quasi impossibili le relazioni intime.
Dal punto di vista psicologico ed emozionale, i sintomi più comunemente riportati dalle vittime di stalking sono paura, ansia, rabbia, sensi di colpa, vergogna, disturbi del sonno, reazioni depressive con sensazioni di impotenza, disperazione, paura e comparsa di ideazione suicidaria. Sul piano della salute fisica si riscontrano invece disturbi dell’appetito, abuso di alcool, insonnia, nausea e aumento nel consumo di sigarette.
Tuttavia, è bene sottolineare che non sempre le vittime di stalking sviluppano un disturbo psichiatrico. I sintomi possono delinearsi come subclinici o transitori e possono essere compensati dalla resilienza di un soggetto, ovvero la sua capacità di adattarsi a fronte di un evento traumatico.
Donne e stalking
La violenza di genere è purtroppo un fenomeno in espansione a livello mondiale. In Italia, nel 2013, 128 donne sono state uccise: nell’83% dei casi il delitto è avvenuto tra le mura domestiche; ma molte altre sono le donne che sopravvivono subendo violenze di tipo fisico, sessuale e psicologico. Infatti, da una ricerca condotta dall’Unione Europea (Violence Against Women, 2014) emerge come in Italia il 19% delle donne nel corso della vita ha subito violenze fisiche o sessuali, il 38% ha subito abusi psicologici e il 9% stalking (quasi sempre dai loro ex). Inoltre, il 62% dei maltrattamenti sulle donne sono avvenuti in presenza dei figli (Istat 2008).
Stalking: un fenomeno in crescita?
Il fenomeno della sopraffazione del più forte sul più debole si perde nella notte dei tempi, ne sono fedele testimonianza sia i miti del passato che la storia, remota e attuale. Ciò che rende lo stalking un fenomeno percepito come in diffusione esponenziale è la sensibilità al diritto del più debole, storicamente identificato come donna o bambino, che deve essere riconosciuto tale e per questo tutelato. Ma anche altri fattori contribuiscono alla percezione e al sostanziamento del fenomeno. L’accessibilità all’altro attraverso i nuovi media (i.e: Facebook) senza limiti spaziali e temporali contribuisce a creare una falsa intimità e contestualmente la possibilità di un maggiore controllo della potenziale vittima. Inoltre, non è da sottovalutare l’incapacità dell’uomo dei nostri tempi di tollerare la frustrazione dell’abbandono ma, soprattutto, la possibilità che sia l’altro, il debole, ad interrompere la relazione.
Intervento psicoterapeutico con le vittime di stalking
Dal quadro sintomatologico descritto, si evince quanto sia importante che le vittime di stalking possano sentirsi sicure e accolte in un ambiente terapeutico empatico e non giudicante, capace di favorire la comprensione e la fiducia.
È necessario che il trattamento terapeutico avvenga in parallelo alla messa in atto di strategie pratiche anti-molestie e che si sia compiuto ogni sforzo possibile per mantenere o ristabilire il sostegno sociale delle vittime, al fine di ridurre, il più possibile, gli stress secondari che possono ostacolare la guarigione.
Attualmente non sono stati prodotti studi in merito all’efficacia dei trattamenti pensati per le vittime di stalking, ma si è osservato che per il trattamento del Disturbo Post-Traumatico da Stress, molto simile per sintomatologia, gli interventi psicoterapici che hanno ottenuto i migliori risultati sono quelli di stampo cognitivo-comportamentale (Curci et al., 2003).
Il Modena Group on Stalking è un gruppo multidisciplinare europeo, che è stato costituito nel 2003 da un gruppo di studiosi europei, tra cui psichiatri, criminologi, medici legali e giuristi, che per primo si è occupato di questo fenomeno, attraverso un’intensa attività di ricerca condotta in una prospettiva internazionale e multidisciplinare. Il centro di coordinamento ha sede presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, ma gli studiosi provengono da diversi paesi tra cui Italia, Belgio, Inghilterra, Olanda, Slovenia e Spagna (Modena Group on Stalking, 2005).
Secondo l’approccio cognitivo comportamentale, nella prima fase della cura è importante iniziare con una psico-educazione sullo stalking, sulle probabili reazioni dello stalker e sulle prevedibili reazioni psicologiche delle vittime di stalking. Successivamente, in base alle risposte della vittima, ci si orienta in modo differente per affrontare il problema. Si cerca, quindi, di incoraggiare la vittima a richiedere un sostegno sociale e legale, a interrompere qualsiasi contatto con lo stalker e ad adottare misure preventive di protezione, come ad esempio traslocare o cambiare lavoro. In alcuni casi, si consiglia di prendere lezioni di auto-difesa, per ridurre i propri sentimenti di impotenza ed aumentare la fiducia in se stessi.
Ci si concentra, inoltre, sull’elaborazione emotiva degli episodi di stalking. Le vittime, infatti, hanno subito una modifica delle loro precedenti convinzioni di base, riguardo la ragionevolezza e la sicurezza dell’ambiente in cui vivono e hanno visto messo a dura prova il loro equilibrio. Sono connotate da un estremo senso di vulnerabilità e di ansia di subire un’aggressione da un momento all’altro.
La terapia cognitiva, in questo caso, mira a ristrutturare le convinzioni patologiche che minacciano il funzionamento delle vittime di stalking, dando loro la possibilità di formarsi una visione più realistica e accettabile del proprio senso di sicurezza. Quando lo stalking è ancora in corso, i timori della vittima hanno una base reale, quindi gli strumenti cognitivi, vanno comunque forniti senza perdere di vista il problema reale della sicurezza. Può risultare utile integrare anche interventi comportamentali, come compiti di esposizione graduale e di desensibilizzazione, che possono aiutare a riprendere gradualmente le attività precedentemente abbandonate e a superare l’ansia.
La farmacoterapia può costituire un intervento aggiuntivo a quello psicologico, soprattutto nei casi in cui le vittime di stalking sviluppano sintomi psichiatrici disabilitanti. Poiché, solitamente, le vittime non hanno precedenti esperienze di disturbi psichiatrici, è estremamente importante che le dosi iniziali siano basse, per evitare effetti indesiderati che potrebbero aggravare la sofferenza. Sarebbe consigliato evitare l’uso di benzodiazepine e di altre sostanze che possano indurre dipendenza, dato il frequente protrarsi delle molestie e del relativo trattamento.
Inoltre è da considerare che l’abuso di sostanze è un rischio frequente nelle vittime di traumi e spesso questi farmaci possono peggiorare il cattivo funzionamento sociale e cognitivo delle vittime.
Importantissimo è anche considerare l’elevato tasso di idee suicidarie presenti nelle vittime di stalking, e quindi fare particolare attenzione alle proprietà disinibenti dei farmaci prescritti, per evitare le prescrizioni potenzialmente letali, se assunte a scopo autolesivo. I farmaci che sembrano più utili, invece, sono gli antidepressivi di nuova generazione, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), che sembrano efficaci anche nel trattamento del Disturbo Post-Traumatico da Stress (Friedman, 2000). Anche farmaci come il nefazodone, con proprietà di blocco serotoninergico e istaminergico, e gli antidepressivi noradrenergici e serotoninergici specifici (NaSSA) appaiono utili nel trattamento delle vittime di stalking (Curci et al., 2003).
Le vittime possono trovare beneficio, inoltre, dai gruppi di auto-aiuto, tramite i quali i partecipanti possono ridurre i sentimenti di isolamento e ricercare invece un senso di reciproca comprensione e conferma. Nel percorso è importante anche includere il partner, se presente, e i familiari più significativi. Essi, spesso, possono essere fonte di informazioni collaterali, che permettono di sviluppare strategie migliori per affrontare il problema. Essi possono anche sostenere la vittima nelle sue esigenze di sicurezza (Curci, 2003).
Claudio Nuzzo e Carola Benelli
BIBLIOGRAFIA:
- https://www.stateofmind.it/2015/09/stalking-persecuzione-motivi/
- https://www.stateofmind.it/2013/02/stalking/
- https://www.stateofmind.it/2016/03/vittime-di-stalking-intervento-psicologia/
- https://www.stateofmind.it/2014/11/interventi-violenza-sulle-donne/
- https://www.stateofmind.it/2016/01/stalking-intervista-leonardo-abazia/