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Osservatorio dei Disturbi Emotivi e Mentali – Maggio 2025

L’Osservatorio dei Disturbi Emotivi e Mentali è un aggiornamento periodico sulla situazione della sofferenza psicologica in Italia e nel mondo

Di Giovanni Maria Ruggiero, Sara Palmieri, Giovanni Mansueto

Pubblicato il 19 Mag. 2025

L’Osservatorio dei Disturbi Emotivi e Mentali

L’Osservatorio dei Disturbi Emotivi e Mentali è un aggiornamento periodico sulla situazione della sofferenza psicologica in Italia e nel mondo. Quali sono i disturbi più diffusi e più gravi e più in crescita, quali segmenti della popolazione sono più colpiti, quali sono le ragioni della loro diffusione e come arginarli con quali cure farmacologiche, psicoterapeutiche e assistenziali.

L’Osservatorio sarà pubblicato su State of Mind dal marzo 2025, uscirà mensilmente e sarà composto consultando i motori di ricerca più rigorosi e avanzati che raccolgono le informazioni pubblicate su riviste scientifiche e su bollettini sanitari affidabili. Il responsabile della composizione dell’Osservatorio è Giovanni Maria Ruggiero con la collaborazione di Sara Palmieri e Giovanni Mansueto.

 

Osservatorio dei Disturbi Emotivi e Mentali – Maggio 2025

Sempre più persone in tutto il mondo sperimentano affaticamento mentale: una stanchezza persistente, spesso invisibile, che va oltre il sonno e colpisce concentrazione, umore e benessere. Questo terzo numero dell’Osservatorio esplora le cause, i gruppi a rischio e le soluzioni psicologiche più efficaci per affrontare quella che molti definiscono la nuova epidemia silenziosa del nostro tempo.

Ci sentiamo sempre più stanchi? La nuova epidemia di affaticamento mentale

Non è solo una nostra impressione. Negli ultimi anni, una sensazione diffusa di stanchezza mentale sembra accomunare milioni di persone in tutto il mondo. Non si tratta solo di stanchezza fisica o di mancanza di sonno: è una forma di affaticamento più sottile, persistente, spesso accompagnata da difficoltà di concentrazione, irritabilità e una sensazione di essere “saturi” anche dopo piccoli impegni. La chiamano “mental fatigue” e sta diventando uno dei malesseri più segnalati del nostro tempo. Ma quanto è diffuso davvero questo fenomeno? E dove colpisce di più? Gli studi epidemiologici più recenti confermano che il fenomeno non è solo soggettivo: la stanchezza mentale sta aumentando a livello globale, con numeri che preoccupano clinici e ricercatori.

L’affaticamento mentale sta crescendo ovunque

Un’ampia revisione internazionale (Yoon et al., 2023) ha stimato che il 24,2% della popolazione mondiale soffre di sintomi di fatica mentale clinicamente significativi. Il dato varia per età, genere e condizione sociale, ma la tendenza è chiara: si sta diffondendo ovunque nei paesi industrializzati. Tuttavia, l’abbondanza degli studi cinesi sembra suggerire che in Cina il fenomeno sia particolarmente accentuato. Tuttavia, il fenomeno è osservabile anche nei paesi occidentali. Ad esempio in Svizzera, un paese ritenuto attento al benessere personale, un’indagine su adulti di mezza età ha trovato che il 21% della popolazione presenta affaticamento persistente (Galland-Decker et al., 2019). Esso inoltre sembra più comune tra le donne, le persone con patologie croniche e coloro che presentavano sintomi depressivi. Secondo Knoop et al. (2021), la fatica cronica non è solo fastidiosa: è un predittore di esiti gravi, come disabilità, declino cognitivo e persino mortalità, soprattutto nella popolazione anziana. 

Popolazioni a rischio: il personale sanitario e gli anziani

Non si registrano grandi differenze tra i vari paesi o almeno tra quelli più industrializzati che possono permettersi questo tipo di indagini. Ci sono due gruppi che sembrano essere particolarmente a rischio: il personale sanitario impegnato in situazioni di emergenza e le persone anziane. In particolare, gli operatori sanitari risultano i più affaticati. In Cina, ad esempio, oltre il 75% del personale sanitario che lavora in contesti di emergenza riporta un forte sovraccarico mentale e un rischio elevato di burnout (Xiong et al., 2024). Questo significa che tre operatori su quattro sono in difficoltà, una proporzione ben più alta rispetto al 24% rilevato nella popolazione generale.

Un dato così alto solleva interrogativi, soprattutto considerando che in altri paesi le percentuali sono più contenute. In Italia, ad esempio, durante l’emergenza COVID-19, oltre il 30% degli operatori sanitari e dei volontari ha mostrato segnali di disagio psicologico (Tarchi et al., 2023): un numero sicuramente superiore alla media generale del 24%, ma al tempo stesso lontano dai livelli cinesi. Rimane quindi da capire cosa renda così pesante il carico di stress per gli operatori sanitari in Cina.

Colpisce anche che tra gli anziani non si manifesti una diminuzione del fenomeno: una recente meta-analisi (Hu et al., 2025) ha confermato che circa un quarto degli over 65 presenta livelli clinicamente preoccupanti di stanchezza mentale. Un dato sorprendente se si considera che questa fascia d’età, teoricamente meno impegnata in attività lavorative, dovrebbe essere più protetta dal sovraccarico: eppure, la fatica mentale colpisce duramente anche chi è in pensione.

Cosa ci dice la psicologia? Quando la mente grida “basta”

Dietro la fatica mentale non c’è solo il corpo che cede. C’è anche la mente che lancia segnali d’allarme. E la psicologia ha molto da dire:

  • Fatica da sovraccarico psicosociale: secondo il modello biopsicosociale (Galland-Decker et al., 2019), l’affaticamento emerge dall’intreccio tra vulnerabilità fisiche, stati emotivi come ansia e depressione, e un contesto di vita stressante. È la somma che pesa, non un singolo evento.
  • Percezione della propria inefficacia: negli anziani, il senso di fatica si lega spesso all’idea di “non essere più in grado” (Hu et al., 2025). È il corpo che rallenta, ma è la mente che giudica.
  • Burnout silenzioso: nel mondo sanitario (Xiong et al., 2024), il ritmo serrato, la mancanza di riconoscimento e il poco recupero creano un’escalation invisibile verso il collasso mentale.
  • Il pensiero che si autoalimenta: in chi soffre di long COVID o vive situazioni traumatiche (Tarchi et al., 2023; van der Feltz-Cornelis et al., 2024), si osserva un circolo vizioso: pensieri ipercontrollanti, insonnia, evitamento e convinzioni rigide (“non guarirò mai”) che mantengono la stanchezza.
  • Una spia ignorata: la fatica è spesso il modo in cui il nostro sistema mente-corpo ci dice che serve una pausa. Ma se ignoriamo il messaggio, si cronicizza (Knoop et al., 2021).

Interventi e trattamenti: cosa funziona davvero contro la fatica mentale?

La buona notizia è che la psicologia non si limita a osservare. Propone soluzioni, alcune semplici, altre più strutturate, ma tutte con un obiettivo: restituire respiro alla mente.

  • Creare ambienti più umani: uno dei fattori protettivi più forti è il clima organizzativo. Dove c’è ascolto, empatia e leadership responsabile, il burnout cala drasticamente (Xiong et al., 2024). Formazione, pause vere e debriefing psicologici non sono un lusso, ma una necessità.
  • Screening e prevenzione precoce: strumenti psicometrici validati possono aiutare a intercettare il disagio prima che diventi patologia (Tarchi et al., 2023). Valutare regolarmente il carico mentale nei contesti ad alta intensità dovrebbe diventare la norma.
  • Allenare la mente a riconoscere i limiti: psicoeducazione e training sull’autogestione dell’energia sono efficaci nel ridurre la percezione di fatica (Galland-Decker et al., 2019). Spesso, è la pressione interna che ci stanca più delle attività stesse.
  • Muoversi con intelligenza: attività fisica leggera e adattata, come suggerito da Hu et al. (2025), migliora umore, qualità del sonno e soglia della fatica. Anche il corpo ha bisogno di ritmo, ma non sempre quello che imponiamo noi.
  • Psicoterapia: legittimare la fatica, non negarla: per chi sperimenta brain fog e fatica, servono approcci integrati: psicoterapia cognitivo-comportamentale, tecniche di rilassamento, gestione del ritmo (pacing) e, dove necessario, supporto farmacologico (van der Feltz-Cornelis et al., 2024). Insomma, accettare di essere stanchi non significa arrendersi, ma prendersi sul serio. Non è debolezza, è consapevolezza. E da lì può iniziare un nuovo equilibrio.
Riferimenti Bibliografici
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