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Piangiamo perché siamo tristi o siamo tristi perché piangiamo? Teorie fisiologiche delle emozioni a confronto

Nel tempo sono stati tanti gli studiosi che hanno cercato di dare spiegazioni sul funzionamento delle emozioni e dei processi sottesi ad esse

Di Giulia Campanale

Pubblicato il 06 Mag. 2024

Aggiornato il 15 Mag. 2024 10:22

Il ruolo adattivo delle emozioni

Gioia, rabbia, felicità, tristezza e ansia sono solo alcune delle tante emozioni che sperimentiamo ogni giorno in risposta a specifiche sollecitazioni ambientali. Nonostante la consapevolezza che ognuno di noi ha circa la loro esistenza, risulta difficile dare una definizione universale ed esaustiva sulla loro natura, i loro processi e l’eziologia.

Una prima prospettiva che ha dominato a lungo la letteratura concepiva le emozioni come eventi disfunzionali che irrompono nell’esperienza quotidiana interferendo e interrompendo ogni altra attività allo scopo di orientare l’attenzione sull’evento emotigeno, come una sorta di segnale interno ad alta priorità che ha la capacità di interrompere qualsiasi flusso d’azione per mobilitare l’organismo a dare una risposta adeguata.

La ricerca contemporanea, d’altro canto, ha invece sottolineato il ruolo positivo delle emozioni per l’adattamento dell’organismo all’ambiente, gettando così le basi per un approccio funzionale allo studio del processo emotivo. Secondo questa prospettiva, le emozioni sono concepite come mediatori nella relazione tra l’organismo e l’ambiente (fisico e sociale) per il mantenimento del benessere dell’organismo stesso. Si tratta dunque di risposte adattive momentanee e complesse che determinano uno stato di attivazione complessivo e che permettono all’organismo di far fronte alle situazioni/eventi e di agire in risposta agli stimoli (reali o immaginari) che si presentano.

In particolare, nel definire il ruolo adattivo delle emozioni sono state identificate alcune funzioni fondamentali:

  • Valutazione dell’ambiente (stimoli esterni e interni);
  • Regolazione dello stato di attivazione dell’organismo;
  • Miglioramento dell’interazione con gli altri (le emozioni permettono di esternare il proprio stato d’animo, consentendo agli altri di intuire le nostre intenzioni e prevedere i comportamenti);
  • Preparazione all’azione e tendenza ad agire;
  • Modellazione del comportamento futuro (aiutano a scegliere le reazioni più appropriate da attuare nuovamente in futuro).

Le principali teorie fisiologiche delle emozioni

Nel tempo sono stati tanti gli studiosi che hanno cercato di approfondire e dare spiegazioni rispetto al funzionamento delle emozioni e dei processi sottesi ad esse: dalla teoria evoluzionistica di Darwin secondo cui le manifestazioni emotive sono residui di risposte un tempo funzionali al processo evolutivo, alle teorie cognitive che attribuiscono un ruolo decisivo al pensiero e ad altre attività mentali, fino alle teorie neurologiche e a quelle fisiologiche.

Fanno parte di quest’ultima categoria due delle più importanti teorie sulle emozioni che vengono spesso messe a confronto e che hanno riscosso notevole credito presso la comunità scientifica del tempo: si tratta della teoria periferica di James-Lange e della teoria centrale di Cannon-Bard.

“Non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo”. Sono queste le parole di William James, noto psicologo che, insieme al fisiologo Carl Lange, ha elaborato la famosa teoria periferica delle emozioni, secondo la quale noi sperimentiamo un’emozione in risposta a dei cambiamenti fisiologici, e non il contrario. 

Secondo i due studiosi, l’esperienza emotiva è una conseguenza dell’attivazione del Sistema Nervoso Periferico autonomo (SNP), il quale comporta modificazioni fisiologiche viscero-somatiche (respiratorie, cardiache, circolatorie ecc.) indotte dallo stimolo elicitante.

Secondo questa teoria l’emozione, quindi, non viene immediatamente indotta dalla percezione di un evento, ma coincide con la dimensione corporea, poiché per ciascuna emozione esiste una reazione fisiologica interna (il cosiddetto arousal) che la accompagna, secondo una sequenza di questo tipo: stimolo –> modifiche viscerali – > esperienza emotiva.

Nonostante l’originalità del contributo di James e Lange sulla conoscenza dei processi emotivi, uno dei principali limiti della loro teoria è quello di aver considerato l’esperienza emozionale unicamente come il risultato della percezione di modificazioni vegetative collegate al Sistema Nervoso Autonomo, senza prendere in considerazione quei casi in cui il soggetto sperimenta uno stato emotivo pur senza avvertire alcun cambiamento fisiologico o in cui, pur percependo uno stato di attivazione fisiologica, dichiara di non provare alcuna emozione.

Inoltre, si possono verificare i medesimi cambiamenti fisiologici per più stati emotivi, e alcuni di essi si attivano anche in situazioni prive di colorazione emotiva (es. la tachicardia dopo una corsa).

Le critiche avanzate alla teoria periferica portarono i due fisiologi Walter Cannon e Philip Bard a formulare una teoria sulle emozioni alternativa, la teoria centrale di Cannon-Bard per l’appunto, secondo la quale l’esperienza emotiva dipende dall’attività di alcune strutture del Sistema Nervoso Centrale, più precisamente dalla neocorteccia e dal talamo. In questo caso quindi, la risposta viscerale assume un ruolo secondario e non primario nella produzione della sensazione emotiva.

In particolare, secondo i due studiosi, l’attivazione fisiologica e l’esperienza emotiva sono causati dallo stesso stimolo nervoso prodotto nel talamo: in pratica quando i segnali relativi alle afferenze sensoriali ricevute dalla corteccia raggiungono il talamo, si hanno le emozioni, poiché esso invia un segnale che attiva il sistema nervoso autonomo producendo un’attivazione fisiologica e, contemporaneamente, invia anche segnali alla corteccia cerebrale circa la natura dell’emozione provata, generando così la consapevolezza dell’esperienza emotiva.

Di conseguenza, se per James e Lange “siamo tristi perché piangiamo”, per la teoria centrale di Cannon-Bard per essere tristi è necessario che avvenga prima una stimolazione talamica.

L’evolversi delle tecnologie con l’uso dell’elettroencefalogramma per lo studio del cervello umano ha portato ad approfondire questa teoria e a fare nuove scoperte che hanno determinato alcune modifiche alla teoria iniziale. Oggi, ad esempio, sappiamo che sono l’ipotalamo e il sistema limbico (il cosiddetto “cervello emotivo”) a giocare un ruolo essenziale nell’esperienza emotiva, e non il talamo.

Come si spiegano le emozioni?

Ma quindi? Piangiamo perché siamo tristi o stiamo tristi perché piangiamo?

Entrambe le teorie hanno colto aspetti importanti dell’esperienza emotiva e probabilmente non esiste un’unica risposta capace di sciogliere ogni dubbio per far spazio alla totale chiarezza. Le emozioni sono risposte adattive altamente complesse, e in quanto tali resteranno sempre avvolte da un alone di affascinante mistero capace di motivare gli studiosi a continuare ad approfondire le loro ricerche sul tema. Quel che è certo è che le emozioni hanno un notevole impatto su ogni aspetto della nostra vita quotidiana, rivestendo un ruolo di fondamentale importanza nei processi di apprendimento, decisione, giudizio e ragionamento, e permettendo a ognuno di noi di ottenere preziose informazioni su noi stessi al fine di capire le nostre necessità e incamminarci sul sentiero del nostro benessere emotivo e interiore.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Atkinson R.; Hilgard E. (2017). Introduzione alla psicologia. Piccin-Nuova Libraria.
  • Cannon, W. B. (1927). The James-Lange theory of emotions: A critical examination and an alternative theoryThe American journal of psychology39(1/4), 106-124.
  • Feldman R.; Amoretti G.; Ciceri M. (2021). Psicologia generale. McGraw-Hill Education.
  • Mark F. Bear, Barry W. Connors, Michael A. Paradiso (2016). Neuroscienze, esplorando il cervello. Edra.
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