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Alessitimia: la difficoltà a riconoscere e verbalizzare le emozioni

L’alessitimia indica l’incapacità di mentalizzare, percepire, riconoscere e descrivere verbalmente i propri e gli altrui stati emotivi

Di Chiara Mantuano

Pubblicato il 25 Mar. 2024

Cosa significa alessitimia

L’alessitimia viene spesso definita come analfabetismo emotivo. Infatti, il termine indica l’incapacità di mentalizzare, percepire, riconoscere e descrivere verbalmente i propri e gli altrui stati emotivi.

Il costrutto dell’alessitimia, da un punto di vista clinico, non è da considerarsi di per sé una patologia, infatti non è presente all’interno del DSM-5. Si può considerare piuttosto come un fenomeno che si correla con diversi disagi psicofisici.

Il fenomeno fu osservato da Paul MacLean già a partire dal 1949, quando cominciò a notare in molti suoi pazienti psichiatrici l’impossibilità di accedere verbalmente ai propri contenuti emotivi, arrivando a ipotizzare così una possibile anomalia nel sistema limbico.

Tuttavia si arrivò ad una concettualizzazione del costrutto solo nel 1973, quando Sifneos coniò il termine alessitimia.

Alessitimia deriva dal greco a = mancanza, léxis = parola e thymos = emozione, che tradotto letteralmente significa emozione senza parola o mancanza di parole per le emozioni (Caretti, La Barbera, 2005).

Nemiah e Sifneos concepiscono l’alessitimia come un “deficit della componente psicologica degli affetti”. Infatti, i soggetti alessitimici non sono senza emozioni ma, a causa di una scarsa capacità di elaborazione delle emozioni, sono esposti cognitivamente ad avere stati affettivi indifferenziati e scarsamente regolati (Caretti, La Barbera, 2005).

Facendo riferimento alla teoria del codice multiplo della Bucci (1997), secondo cui gli schemi emotivi comprendono elementi subsimbolici (sensazioni viscerali, sensoriali e cinestesiche) e simbolici (immagini e parole), appare chiaro come nei soggetti alessitimici ci sia un’assenza o una disconnessione referenziale tra questi elementi (Caretti, La Barbera, 2005). Questo implica, perciò, una scarsa connessione delle emozioni con le immagini e con le parole, che vengono vissute come sensazioni somatiche, percezioni o impulsi agiti.

È importante precisare che l’alessitimia non è un fenomeno categoriale del tipo ‘tutto o nulla’, come se si trattasse di una capacità generale a saper riconoscere le emozioni, ma è un costrutto dimensionale (o tratto di personalità): alcuni soggetti presentano aree mentali alessitimiche, cioè relative a contenuti, emozioni e situazioni specifiche (Taylor, Bagby, Parker, 1991).

Caratteristiche dell’alessitimia

Le caratteristiche di una persona alessitimica sono:

  • Una scarsa capacità a identificare e verbalizzare le emozioni;
  • Un deficit nei processi inconsci di pensiero (stile di pensiero orientato alla passività, alla dipendenza e all’imitazione);
  • Uno stile comunicativo incolore (queste persone dimostrano una ipoattivazione emotiva anche quando posti davanti a eventi con un forte impatto emotivo, che si manifesta con un linguaggio spesso percepito come monotono e noioso);
  • Un deficit della capacità di simbolizzazione delle emozioni;
  • Modalità disadattive di regolazione affettiva;
  • Stile cognitivo focalizzato all’esterno: le persone preferiscono razionalizzare quanto accade attorno a loro piuttosto che riflettere sul proprio stato emotivo.

Emerge chiaramente la presenza di una difficoltà a mentalizzare i propri stati mentali interni che li porta a regolare le proprie emozioni attraverso atti impulsivi o comportamenti compulsivi, nonché una scarsa capacità di provare emozioni positive come gioia, felicità e amore (Caretti, La Barbera, 2005).

Le cause dell’alessitimia

Le prime ricerche consideravano l’alessitimia come un tratto di personalità stabile o uno stato patologico momentaneo conseguente alla condizione di malattia, ipotesi queste accantonate a favore di una concezione di alessitimia come di una dimensione clinica transnosografica, che si estende lungo un continuum che va dal normale al patologico a seconda del livello di difficoltà nel comprendere e comunicare le esperienze emotive. Quello che si riscontra è la presenza, in molti soggetti, di una serie di compromissioni nell’integrazione dei fattori cognitivi ed emotivi che determinano un vero e proprio deficit nella consapevolezza soggettiva e nell’elaborazione degli affetti (Taylor, Bagby, Parker, 2007).

Le cause dell’alessitimia originano nell’attaccamento come dimostrato da Fonagy (2001), il quale sostiene come la mancata sintonizzazione affettiva, quindi stili di attaccamento disfunzionali dei caregiver, interferiscano con la vita emotiva del bambino e la sua capacità di regolarla. 

In particolare, ricorre al concetto di mentalizzazione per descrivere la natura meramente rappresentazionale degli stati mentali propri e altrui, di costruire rappresentazioni di sentimenti, pensieri, desideri, credenze, di riflettere sulle proprie intenzioni e quelle degli altri. 

Secondo Fonagy:

La capacità di mentalizzare è strettamente correlata alla regolazione degli stati affettivi, competenza che però si sviluppa se il bambino cresce all’interno di una relazione sicura con un caregiver capace di riflettere sui bisogni emotivi del bambino stesso, al fine si contenerli e nominarli.

Lo sviluppo della capacità di rappresentazione mentale del mondo mentale dell’altro è strettamente legato alla regolazione e al controllo degli affetti. La capacità di rappresentarsi l’idea di un affetto è cruciale per il conseguimento del controllo su stati affettivi soverchianti. In assenza di tale capacità, la dimensione affettiva dell’altro può essere riconosciuta solo con una sperimentazione diretta attraverso la risonanza emotiva (Fonagy, 2001). 

La mentalizzazione intesa come il sistema secondario di regolazione affettiva, è un sistema di regolazione affettiva dominato dall’emisfero sinistro, a base corticale, volontario, cosciente, lento, che si sviluppa più tardi del sistema primario (Hill, 2015). 

La teoria della mentalizzazione prende spunto dal lavoro di Mary Main, la quale notò che, nel rispondere alle domande della Adult Attachment Interview, l’aver avuto uno stile di attaccamento sicuro permetteva ai soggetti di “fare un passo indietro e di considerare i propri processi cognitivi come oggetto di pensiero o riflessione” (1991).

Spesso l’alessitimia nasce, quindi, dalla mancanza di connessione emotiva che il bambino sperimenta nell’ambiente familiare, il quale non permette così la capacità di elaborare, regolare e mentalizzare gli stati emotivi propri e altrui. 

Alcune delle situazioni più frequenti possono essere:

  • appartenenza ad un nucleo familiare incapace di esprimere la propria emotività;
  • separazione dai genitori;
  • eventi traumatici;
  • carenze affettive.

Il trattamento dell’alessitimia

Trattandosi di un fenomeno egosintonico, raramente la persona alessitimica riesce ad essere consapevole delle proprie difficoltà e a chiedere aiuto. In genere, i pazienti con alessitimia arrivano in psicoterapia solo nel momento in cui insorgono altre problematiche più invalidanti cui l’alessitimia è legata.

Il trattamento più efficace riscontrato per l’alessitimia risulta essere la psicoterapia, soprattutto il trattamento incentrato sulla mentalizzazione (MBT) e la terapia cognitivo-comportamentale. 

La terapia per l’alessitimia deve comprendere una lavoro sulla psicoeducazione, sullo sviluppo di abilità di intelligenza emotiva, sulla mentalizzazione e sulla capacità di regolazione degli affetti.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Allen, J. G., Fonagy, P. (a cura di) (2008). La mentalizzazione. Psicopatologia e trattamento. Bologna: il Mulino.
  • Bucci, W. (1997). Psicoanalisi e scienza cognitiva. Roma: Fioriti (1999).
  • Caretti, V., La Barbera, D. (2005). Alessitimia. Valutazione e trattamento. Roma: Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore.
  • Damasio, A. R. (1999). Emozione e coscienza. Milano: Adelphi, 2000.
  • Fonagy, P. (2001). Psicoanalisi e teoria dell’attaccamento. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2002.
  • Hill, D. Teoria della regolazione affettiva. Un modello clinico.
  • Main, M. (1991). Conoscenza metacognitiva, monitoraggio metacognitivo e modello di attaccamento unitario vs. modello di attaccamento multiplo: dati e indicazioni per la futura ricerca. In L’attaccamento nel ciclo di vita. Il Pensiero Scientifico, Roma, 1995, pp. 131-166.
  • Solano, L. (2001). Tra mente e corpo. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Taylor, G. J., Bagby, R. M., Parker, J. D. A. (1997). I disturbi della regolazione affettiva. L’alessitimia nelle malattie mediche e psichiatriche. Roma: Giovanni Fioriti Editore s.r.l., 2007.
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