Burnout: definizione e implicazioni
Il termine “burnout” è stato coniato nel 1975 dallo psicologo statunitense Herbert J. Freudenberger, descrivendo lo stato di stress cronico tra i lavoratori nelle cliniche con carichi di lavoro pesanti (APA, n.d.). Questo fenomeno non è solo una questione di stanchezza, ma una vera e propria sindrome, come definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2019).
Il burnout si manifesta principalmente in professionisti di settori orientati al servizio, come assistenti sociali, insegnanti e medici, che affrontano livelli elevati e prolungati di stress. Questa sindrome deriva dallo stress che si sviluppa attraverso la relazione sociale tra un assistente e un destinatario dell’aiuto (Awa et al., 2010) come, ad esempio, nel caso dei terapeuti e consulenti impegnati nel trattamento di traumi, che possono essere particolarmente vulnerabili, essendo esposti al trauma secondario (APA, n.d.).
La sindrome è tridimensionale, caratterizzata da (OMS, 2019):
- Sentimenti di esaurimento energetico e stanchezza.
- Aumento della distanza mentale dal lavoro o sentimenti di negativismo.
- Diminuzione dell’efficacia professionale.
Il burnout è un problema serio con impatti significativi su salute fisica, mentale e carriera. Ricerche recenti (Salvagioni et al., 2017) indicano che il burnout può predire:
- Conseguenze fisiche: come malattie cardiache, disturbi muscoloscheletrici, e problemi gastrointestinali.
- Conseguenze psicologiche: può portare a insonnia, depressione e abuso di farmaci.
- Conseguenze professionali: si associa a insoddisfazione lavorativa, assenteismo e richieste di pensionamento anticipato.
Per affrontare il burnout, è essenziale agire in modo proattivo. Il “Mental Health Atlas 2020” dell’OMS (2021) sottolinea l’importanza delle tecniche di gestione dello stress, come esercizi di respirazione e metodi di risoluzione dei problemi. Inoltre, riconosce il ruolo cruciale dei programmi di prevenzione e promozione della salute mentale legati al lavoro. Questi programmi, coordinati tra settori sanitari, del lavoro e dell’impiego, mirano a contrastare lo stress legato al lavoro e a promuovere la salute mentale sul posto di lavoro.
La ricerca scientifica enfatizza le gravi conseguenze del burnout sul luogo di lavoro, sottolineando l’importanza di interventi preventivi e di un’identificazione precoce. Affrontare il burnout è una sfida collettiva che richiede l’impegno di individui, datori di lavoro e politiche aziendali a sostegno della salute mentale.
Burnout: prevenire è meglio che curare
Secondo una ricerca condotta dall’American Psychological Association (Abramson, 2022) il 79% dei lavoratori ha fatto esperienza di stress lavoro correlato nel mese precedente all’indagine, con conseguenze tra cui il burnout, insoddisfazione lavorativa e un basso impegno lavorativo (OMS, 2019).
Per questo sono sempre più necessari dei programmi di intervento per il burnout, che includono misure rivolte sia alla persona che all’organizzazione, dimostrati efficaci nel ridurre il burnout sul luogo di lavoro, con effetti positivi più duraturi quando combinati (Awa et al., 2010).
Ma perché attendere di arrivare ad una condizione di esaurimento fisico ed emotivo per conferire la giusta importanza, attenzione e trattamento al burnout? Interventi mirati a ridurre lo stress quotidiano dei lavoratori e a migliorare l’ambiente e il clima lavorativo potrebbero fungere da prevenzione alleviando il rischio di incorrere nel burnout.
Gli interventi di gestione e prevenzione dello stress possono avere una diversa natura (Holman et al., 2018).
- Prevenzione primaria: lo scopo di un intervento primario a livello individuale è prevenire che lo stress si verifichi in un dipendente. Un mezzo per raggiungere questo obiettivo è attraverso procedure di selezione e valutazione, scegliendo candidati dotati delle competenze e capacità necessarie per gestire le richieste del lavoro.
- Prevenzione secondaria: gli interventi a livello individuale di tipo secondario mirano a fornire ai dipendenti le competenze e le abilità necessarie per gestire lo stress e promuovere il benessere, oltre ad offrire opportunità ai dipendenti di partecipare ad attività finalizzate alla riduzione dello stress. Questi includono tecniche come il rilassamento, la meditazione, la terapia cognitivo-comportamentale, la mindfulness e programmi di attività fisica, così come altre tecniche tra le quali l’educazione e lo sviluppo delle competenze relazionali.
- Prevenzione terziaria: gli interventi a livello individuale di tipo terziario si concentrano su individui che stanno vivendo livelli elevati o cronici di stress che potrebbero compromettere la loro capacità di lavorare. Ad esempio, i programmi di assistenza ai dipendenti forniscono consulenze a coloro che stanno affrontando livelli elevati di stress o problemi di salute mentale, indipendentemente dal fatto che tali problematiche siano legate al lavoro o meno.
Burnout: non solo lavoratori, ma anche studenti
Non sono solo i lavoratori a essere colpiti dal burnout, ma anche gli studenti: lo stress legato all’ambito accademico può ridurre il rendimento scolastico, diminuire la motivazione e aumentare il rischio di abbandono scolastico, con costi a lungo termine che includono una ridotta occupabilità sostenibile (Pascoe et al., 2020).
Mentre il burnout è tradizionalmente più comunemente associato al contesto lavorativo, è importante riconoscere la sua presenza anche tra gli studenti, il cui percorso accademico può essere un terreno fertile per lo stress e l’esaurimento. Uno studio condotto da Madigan e colleghi (2023) ha evidenziato come il burnout sia diffuso tra gli studenti, influenzando negativamente la loro motivazione, la performance e il benessere.
Il fenomeno del burnout non conosce confini generazionali o contesti specifici, toccando sia lavoratori che studenti. La consapevolezza di questa sfida è il primo passo per affrontarla in modo efficace, sia nel mondo del lavoro che nelle istituzioni educative, promuovendo un ambiente più sano e interventi specifici per lavoratori e studenti.