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La psicologia del musicista e la pandemia da Covid

Una ricerca scientifica sul rapporto dei musicisti con la loro professione e sulla situazione della musica durante la pandemia

Di Cesare Albasi, Martina Baiocchi, Marta Gallà

Pubblicato il 23 Feb. 2023

Aggiornato il 13 Lug. 2023 14:31

Riassunto

I musicisti sono una categoria professionale poco studiata in generale, ma in particolare in Italia. Le ricerche presenti su questi professionisti sono molto scarse, e si concentrano soprattutto sull’ansia da prestazione e sulle problematiche fisiche che possono essere causate dallo svolgere questo tipo di lavoro. Inoltre, il periodo di pandemia da COVID-19 appena vissuto ha fatto sì che le categorie professionali artistiche si siano trovate in grosse difficoltà lavorative, e ciò ha causato pesanti ripercussioni psicologiche.

Lo studio in questione è nato come progetto di tesi di laurea magistrale in Psicologia Clinica di due studentesse dell’Università di Torino. Esso ha lo scopo di indagare ed approfondire le rappresentazioni interne, le caratteristiche comuni e i vissuti connessi all’essere un musicista di professione in Italia, in un contesto sia pre- che post- pandemico. La ricerca è di carattere qualitativo e ha previsto la somministrazione di brevi questionari e interviste semi-strutturate a un campione di 25 musicisti professionisti con almeno dieci anni di attività professionale continuativa e operanti nel contesto delle principali città italiane. Non c’è stata una distinzione tra le categorie professionali musicali da includere, così il campione è composto da cantanti, musicisti turnisti, orchestrali, liberi professionisti, compositori, produttori e insegnanti. Da essa sono derivate quattro categorie principali di analisi che trattano degli ambiti lavorativi che presuppongono l’utilizzo dello strumento (esibizione, studio, composizione, improvvisazione), degli ambiti lavorativi esterni all’uso dello strumento (soft skills del musicista, criticità della professione e del contesto), della didattica in ambito musicale e, infine, dell’identità professionale.

I principali risultati emersi mostrano una grossa fragilità nella definizione identitaria dei musicisti per il mancato riconoscimento sociale e istituzionale di questa categoria professionale. Sono stati trovati tratti di personalità in comune di flessibilità/adattabilità e di forte proiezione verso futuro. Inoltre, la pandemia è stata vissuta in maniera molto eterogenea a seconda dei fattori di protezione e di rischio interni ed esterni posseduti, come il supporto sociale, il sostegno economico e la motivazione intrinseca o estrinseca verso il proprio lavoro. I risultati della ricerca forniscono, quindi, degli spunti per una maggiore comprensione di che cosa voglia dire essere un musicista professionista in un contesto lavorativo e psicosociale instabile come quello attuale italiano. Inoltre, essi aprono a potenziali ricerche future per approfondire ulteriormente l’argomento ed operare un cambiamento concreto sul territorio.

Introduzione

L’essere umano vive costantemente immerso nella musica e la pandemia da COVID-19 ci ha messo di fronte al ruolo fondamentale che la musica ha nell’accompagnarci tutti i giorni e nel creare legami sociali. Pensiamo ai concerti dai balconi o a quelli organizzati in diretta tv o streaming.

In questo drammatico contesto, è apparsa ancora una volta, e in tutta la sua evidenza e gravità, la trascuratezza politica nei confronti dei musicisti (e degli artisti nel loro insieme), cioè coloro che ci permettono di avere a disposizione quel patrimonio irrinunciabile culturalmente, socialmente e individualmente. Inoltre, questi professionisti sono una categoria di lavoratori poco studiati all’interno della letteratura scientifica generale, ma soprattutto in Italia.

Questi sono i principali motivi che hanno spinto un gruppo di ricercatori del dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino a realizzare uno studio, nato per una tesi di laurea magistrale, ma attualmente in prosecuzione, per comprendere meglio che cosa vuol dire essere musicisti in Italia, aprendo così un nuovo filone di ricerca all’interno di questo campo di studi.

La ricerca

Nella fase pilota dello studio, condotta tra febbraio e luglio 2022, sono stati intervistati circa 25 professionisti con almeno dieci anni di esperienza e che lavorano principalmente nel territorio italiano.

I musicisti reclutati hanno un’età compresa tra i 29 e i 75 anni; di questi, 7 su 25 sono musiciste donne (28% del campione totale). Il 56% dei musicisti (14 su 25) risiede in Piemonte, il 16% in Lombardia (4 su 25) e il rimanente 28% in altre regioni del centro e sud d’Italia (2 in Veneto, 2 in Liguria, 2 in Lazio e 1 in Umbria). Per quanto riguarda il titolo di studio, il 72% ha la laurea al conservatorio, che può appartenere al vecchio ordinamento o al nuovo ordinamento (triennio, biennio o entrambi). I musicisti che lavorano all’interno dell’ambiente classico (orchestre, musica da camera, conservatori) ricoprono il 28% del campione; il rimanente 72% lavora per generi e contesti diversi (pop, rock, jazz, blues, elettronica). Tutti i musicisti coinvolti suonano più di uno strumento, in particolare 4 su 25 sono cantanti e 2 musicisti sono anche produttori. Spesso le professioni svolte in ambito musicale sono molteplici: l’84% del campione lavora come insegnante di musica (21 su 25) nei conservatori, in scuole private o nella scuola pubblica, il 60% è un musicista turnista (15 su 25), mentre il 24% dichiara di svolgere anche una seconda professione oltre a quella del musicista (6 su 25), in particolare a seguito del periodo di pandemia da COVID-19.

Le interviste sono di tipo semi-strutturato della durata di circa 60-90 minuti, e la loro analisi è stata effettuata secondo il metodo della Grounded Theory, il quale consente una visione più approfondita di come, e a partire da cosa, il partecipante interpreta ciò che vive.

Dalla fase pilota appena descritta si è deciso di proseguire, per cui la ricerca è ancora in corso con la finalità di ampliare il campione e di tendere ad una saturazione delle categorie, come previsto dal metodo di analisi scelto. Dall’analisi qualitativa delle interviste della fase iniziale sono emerse quattro categorie tematiche principali.

Lo strumento

Per il musicista la propria professione ruota attorno al proprio strumento non soltanto dal punto vista pratico ma anche dal punto di vista psicologico. L’identità professionale e personale dei soggetti, così come i livelli di autostima, sono strettamente connessi al proprio strumento, che diventa un mezzo essenziale per esprimere sé stessi. Il musicista insegue la voglia di “dire la sua”, di sentire di aver qualcosa da dire e di aver bisogno di metterlo a fuoco, e tutto questo processo di ricerca espressiva è mediato dal proprio strumento.

In questa categoria tematica, gli aspetti che più hanno risentito dell’influenza della pandemia sono lo studio personale dello strumento (sia nel senso che per alcuni è stato un ancoraggio di grande aiuto, sia che per altri è stato penalizzato a causa di scoraggiamento e anedonia), i livelli di ansia da prestazione e, infine, i processi creativi.

Oltre il suonare

Si è rappresentato con chiarezza il problema degli aspetti organizzativi e manageriali molto articolati connessi con il mondo della musica. Essi sarebbero oggetto di professioni specifiche ma, di fatto, per gran parte dei musicisti, deve essere assunto come impegno in prima persona, senza aver ricevuto formazione o aiuto per imparare queste competenze.

Questo aspetto della professione musicale richiede moltissime energie e tempo e può spesso sfociare in rabbia e ansia. Esse sono comprensibili soprattutto se pensiamo a quanto tutto ciò che attiene lo “stare vicini al proprio strumento” permetta l’espressione e la realizzazione di sé, mentre ciò che allontana dal proprio strumento e dalla propria dimensione musicale naturale venga esperito come una minaccia alienante alla propria stessa identità professionale ma che, invece, diventa parte cruciale della propria professione.

Inoltre, al di là delle differenze individuali nel fare bene questa parte manageriale, permangono forti sentimenti d’insoddisfazione generati dall’instabilità oggettiva, data dalla mancanza di continuità d’impiego e di un compenso economico adeguato.

La didattica

La didattica risulta essere fondamentale sia nel percorso di sviluppo di un musicista, sia nella carriera professionale come elemento di stabilità economica. È stata riconosciuta una certa frammentazione metodologica e una mancanza di formazione ad essere buoni insegnanti che, ancora una volta, è distinto dall’avere una buona tecnica con il proprio strumento. Come per altre discipline, la mancanza di un metodo didattico condiviso porta i musicisti a dover scoprire da sé il proprio metodo, che può partire dall’emulazione della modalità di insegnamento più o meno efficace che avevano adottato i propri insegnanti.

L’identità

La quarta categoria tematica individuata è lo stretto legame tra l’identità professionale e quella personale. Come descritto in precedenza, fare il musicista è una ricerca espressiva continua, un modo per comunicare e trasmettere quello che si è. Si sono evidenziati in particolare due aspetti caratterizzanti l’identità dei musicisti: la flessibilità/adattabilità alle situazioni esterne e la forte proiezione verso il futuro, da intendere come la continua ricerca della propria identità e la volontà di non fermarsi mai con lo studio.

C’è da sottolineare, però, che la quasi totalità del campione ha riportato una grande sofferenza rispetto allo scarso riconoscimento della loro identità (professionale e, quindi, personale) da parte della società, delle istituzioni e della politica. Tutto ciò si concretizza in una professione molto a rischio di insoddisfazioni e insicurezze sul piano sociale ed economico, così come sofferenze psicologiche che possono sfociare in sfiducia verso di sé, angosce, depressioni e crisi identitarie. Il periodo pandemico ha aumentato notevolmente tali caratteristiche della professione musicale, portandole all’estremo e provocando, in molti casi, forti sofferenze.

Il blocco dell’attività concertistica e la poca tutela verso questa categoria professionale hanno fatto sì che aumentasse il sentimento di incertezza verso il futuro e di insicurezza lavorativa.

Sono, però, emerse delle differenze nei modi in cui è stata vissuta la pandemia a seconda dei fattori di protezione e di rischio interni (psicologici, come la motivazione intrinseca o estrinseca verso il proprio lavoro) o esterni (come il supporto sociale, il sostegno economico).

Conclusioni

I risultati della ricerca forniscono degli spunti per una maggiore comprensione di che cosa voglia dire essere un musicista professionista, e dei problemi concreti emergenti in un contesto lavorativo e psicosociale instabile come quello attuale italiano. È importante studiare e individuare le necessità e i bisogni dei musicisti con ricerche scientifiche a loro dedicate se si vuole proteggere un bene estremamente prezioso per la salute e il benessere di tutti, quale è la musica. Dal presente studio emerge la necessità di maggiori tutele per questa categoria professionale, sia dal punto di vista economico-istituzionale, sia per quanto riguarda sostegno e ascolto psicologico e sociale.

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